Da un lato la responsabilità di chi le convoca. 43 associazioni che a vario titolo si contendono la rappresentanza sociale ed economica del Paese nel loro segmento di attività sono una manna assoluta per chi vuole decidere di testa propria. Non sono tutte sullo stesso piano, ovviamente, però basta fingere di tenercele per neutralizzarle rendendo afono qualsiasi confronto. Annacquandolo quanto basta.
Convocarle tutte insieme rappresenta già una scelta precisa. Farlo, scavalcando il Governo è, nelle intenzione degli organizzatori, uno spot che deve spostare l’attenzione dell’opinione pubblica sulle cose da fare in vista della prossima scadenze. O meglio sulle cose che il partito di Salvini vorrebbe apprestarsi a dire (più che a fare). E quanto, delle richieste delle 43 associazioni, è disposto a condividere. Almeno a parole.
Com’è evidente, sarà un esercizio di stile. Lo stesso Dario Di Vico si pone il problema dello sbocco pratico dell’incontro (http://bit.ly/2YYD47O). Ma se sono chiare le ragioni di Salvini sul piano politico, sulla necessità di togliere un po’ di pressione dai suoi dossier ma soprattutto dalle sue inclinazioni in politica estera alquanto spregiudicate, non sono altrettanto chiari i motivi di questa “corsa allo strapuntino” delle parti sociali. Soprattutto di quelle più rappresentative.
L’incontro è sostanzialmente inutile. Per la sede, per il momento politico ed economico e per la parzialità delle istituzioni coinvolte. Porta sicuramente acqua a Salvini ma non porta nulla alla credibilità della rappresentanza coinvolta. Anzi. Il rumore del chiacchiericcio di quella sala sovrasterà i contenuti. E soprattutto metterà a nudo la modestia complessiva della rappresentanza al di là delle singole sigle, offrirà uno spettacolo di inconsistenza e fragilità delle loro leadership in rapporto alle scadenze del Paese.
Il fatto stesso che esserci e avere tre minuti di tribuna per i media e nei confronti di Salvini sia ritenuto più importante che vedersi prima per costruire una posizione comune allargata, almeno a chi ci poteva stare, la dice lunga. L’incontro, a quel punto, avrebbe avuto ben altro senso e peso. Ma così non è stato.
Il Ministro degli interni fa il suo gioco. Da leader politico si vuole intestare la proposta dell’incontro, il suo svolgimento e la lettura dei risultati che deciderà di dare. E questo lasciando nell’opinione pubblica l’idea che i 5S e lo stesso Presidente del Consiglio siano comunque residuali già nella fase di ascolto. Figuriamoci nelle decisioni. Consente, sempre allo stesso, di farsi scudo di alcune esigenze di singole associazioni per continuare con la sua propaganda elettorale e di sostenere, a buona ragione, che la rappresentanza sociale è divisa, rinchiusa nel particolare e quindi non c’è nulla, dal basso, che possa entrare in concorrenza o creare problemi alla politica.
La rappresentanza, dal canto suo, continua nell’avvitamento, ciascuna dentro il proprio silos organizzativo, dimostrando ancora una volta di essere legata a schemi verticali abbondantemente superati. Come se ne esce? Su questo ho un’opinione diversa da Di Vico. Salvini, a mio parere, non corre alcun rischio. La garanzia è proprio nelle 43 associazioni il cui chiacchiericcio sovrasterà tutto e tutti.
Lo correrebbe se queste ultime ritrovassero, tutte o parte di esse, un fil rouge almeno il giorno dopo di proposta ma anche di protesta nel caso vengano disattesi i loro dossier. Il fatto che nessuna delle principali organizzazioni si sia dissociata e che, per molte delle 43, esserci rappresenta l’obiettivo massimo di riconoscimento di risultato di un intero mandato dei loro dirigenti politici, la dice lunga.
Ma soprattutto che rappresentanti delle imprese, dei lavoratori e di molte delle associazioni presenti manifestino un tasso anomalo di schizzinosità nel ragionare e convergere su proposte comuni mentre le loro basi lo hanno già tranquillamente fatto nelle differenti prove elettorali in direzione dei partiti di Governo rende ancora più grottesca la situazione.
Il Paese non riparte. Questo è il punto. Soprattutto non riparte se il leader del partito più rappresentativo ha bisogno di nascondersi e strumentalizzare, scegliendo di fiore in fiore, tra 43 visioni parziali per giustificare il suo prossimo percorso e capitalizzarne il massimo possibile in vista delle prossime scadenze economiche e politiche. La partecipazione alla processione di oggi è un errore.
Un altro colpo alla credibilità complessiva della rappresentanza. Sottovaluta la percezione dell’opinione pubblica su queste ammucchiate inutili. Un altro punto segnato per i fautori della disintermediazione. Purtroppo.