LEGO. Dai nipotini ai pensionati. Un futuro oltre la plastica…

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In effetti pensare che l’azienda Lego in solitudine  potesse sobbarcarsi un esborso così rilavante era difficile da comprendere. Nel 2018 quando avevamo, come CFMT, messo in palio nel business game BIG un viaggio per la squadra vincente proprio nella sede dell’azienda in Danimarca a Billund ci avevano informati che, la crisi che stavano attraversando rendeva difficile programmare una visita alla fabbrica.

E così portammo i nostri vincitori alla Lego House. Una esperienza comunque straordinaria. Roberto Panzarani docente di Innovation management che li ha accompagnati in questo learning tour ha confermato che:  “La Lego, con la sua apertura al mondo esterno, ha la capacità di navigare all’interno di un modello di business in cui i fornitori, i clienti e i collaboratori costituiscono i protagonisti dell’“ascolto” aziendale. L’attenzione all’attività di learning della Lego è fondamentale per fornire prodotti ad alto contenuto cognitivo per i suoi clienti, ma è innanzitutto una prassi all’interno dell’azienda, dove tutte le attività organizzative si basano sul concetto di apprendimento continuo”.

L’idea dell’operazione credo sia venuta alla famiglia del fondatore Ole Kirk Kristiansen insieme al fondo Usa di private equity Blackstone e il fondo pensione canadese Cppib, attraverso Berkeley Bidco,  il veicolo individuato dai tre partner per il buyout da Merlin Entertainments società specializzata in gestione di parchi di divertimento nella quale la famiglia del fondatore aveva già una quota rilevante di circa il 30%.

E’ la presenza del Canada Pension Plan Investment Board, società che gestisce 220 miliardi di euro della previdenza sociale canadese che fa sorgere qualche domanda. Nel 2013 rilevò insieme a un fondo di private equity  per 6 miliardi di euro, la catena di grandi magazzini Neiman Marcus ceduta nel 2017 a Hudson’s Bay dopo aver accumulato oltre 5 miliardi di perdite.

Certo un investimento può andare male ma è difficile  giudicarlo  in linea con la missione di un fondo pensione. Al di là di questi dubbi i pensionati canadesi diventano, in quota, proprietari con l’obiettivo di sviluppare sempre più il marchio Legoland a livello globale. Da oggi possono finalmente giocare con i loro nipoti. Con i famosi mattoncini. Mercato cinese compreso.

Oltre a Gardaland la società comprende circa 130 parchi, alberghi e numerosi  villaggi vacanze in una trentina di paesi. A livello europeo è la numero 1. La seconda a livello mondiale dopo la Disney.

Nel 2006 il gruppo Merlin ha acquistato il famoso parco Italiano Gardaland nato nel 1975, dalla famiglia Zaninelli. Allora copriva un’area di 90 mila metri quadrati. Oggi è di circa 500 mila. Ancora una volta un imprenditore italiano visionario che intuisce la possibilità di costruire un business importante sull’intrattenimento.  E poi, purtroppo,  cede prima di provare a crescere. 

La passione per i mattoncini Lego coinvolge milioni di persone di tutte le età e in tutto il mondo. L’operazione mira proprio a caratterizzarne il brand.  I parchi Legoland in Europa sono oggi, oltre alla Danimarca, in Germania e in Inghilterra. Il più grande è, però, in Florida. Probabilmente arriveranno anche da noi. La scommessa vera però resta la Cina. Un mercato enorme.

La presenza della famiglia del fondatore fa pensare ad una strategia di lungo periodo. La cosa interessante di questa operazione è che un’azienda che ha fatto la sua fortuna sulla plastica non si limita a studiare nuovi prodotti o nuovi materiali per continuare la sua storia, ma cerca di andare oltre.

Comprende che deve diversificare, evolvere prima di restare prigioniera del suo successo. La Lego non vuole fare la fine della Kodak. E la plastica è il passato. Non c’è solo Gardaland.  Ci sono alberghi, villaggi vacanze, il museo delle cere Madame Tussaud e la ruota panoramica London Eye. L’idea è di mettere salde radici nel mondo di parchi divertimento.

Sviluppare così il turismo commerciale. Su 23 milioni di pernottamenti sul lago di Garda la metà sono turisti tedeschi. E’ una delle sfide che da noi hanno colto solo gli outlet. In totale solitudine. E, purtroppo, senza rendersi conto di cosa potrebbero diventare come promotori di sviluppo territoriale  se si muovessero in sintonia con il contesto. E il contesto con loro.

In termini di visitatori, gli outlet, l’ho già scritto, superano di gran lunga ogni metà turistica nazionale ad eccezione del Colosseo. Il problema è che le amministratori locali spesso non ragionano sul potenziale di sviluppo connesso ma sugli oneri di urbanizzazione, sulle assunzioni  e sul traffico.

E il Governo solo sulle domeniche da chiudere e sulle festività. Eppure basterebbe molto poco in termini di visione. Il turismo commerciale è un pilastro importante ancora tutto da sviluppare. Adesso ci danno la sveglia  i pensionati canadesi e la lungimiranza della Lego.

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