Allora c’era Paolo Scaroni alla testa dell’ENI. Oggi siamo in un’altra era geologica. Però è singolare rileggere con quale veemenza il mondo dei distributori di carburante si scagliava contro la Grande Distribuzione.
Addirittura nel 2011 il più grande gruppo petrolifero italiano, presentò un ricorso urgente al Presidente della Repubblica, chiedendo l’annullamento della delibera che consentiva l’apertura di un nuovo impianto (Conad) a Cesena. La motivazione addotta fu il “gravissimo pregiudizio nell’operatività concorrenziale degli impianti di distribuzione di carburante in Cesena…”. Un gruppo nazionale con 4542 distributori nel 2011presentò quindi un ricorso contro un altro che di pompe allora ne contava solo 11 (da Gdoweek del 1 agosto 2011).
In quegli anni aprire alla grande distribuzione la vendita dei carburanti provocò serrate e forti manifestazioni di protesta dei benzinai. Poi tutto, pur a fatica, rientrò. Adesso c’è Claudio De Scalzi e quei tempi sembrano lontanissimi.
L’ENI cambia strategia e decide di entrare, di fatto, nella Distribuzione Alimentare (https://bit.ly/3lGzXNn) seppure in punta di piedi. Il lockdown ha riportato in primo piano i negozi di vicinato e quindi l’idea di riconvertire le stazioni di servizio Eni (a cominciare dalle città) in stazioni multiservizi ha preso forma. È il progetto “Eni Café Emporium”.
I tradizionali luoghi per il rifornimento di carburanti diventeranno luoghi dove i clienti, oltre a fare il pieno ai propri veicoli, potranno fare la spesa, pagare un bollettino postale, ritirare un pacco Amazon o prendere un caffè. Attualmente gli ENI Café sono circa 600. Il cambiamento ne coinvolgerà parecchi.
L’idea è di mettere a disposizione dei clienti una spesa “comoda e veloce” di beni alimentari di largo consumo selezionati tra i marchi leader del settore e una serie di proposte enogastronomiche. Roma ha fatto da apripista. Milano segue ma sono previste molte altre aperture, con l’obiettivo di implementarle pressoché ovunque. Eni punta anche a selezionare nuove figure imprenditoriali in grado di svolgere non solo le attività tipiche della gestione di un distributore di carburante ma anche in grado di gestirne l’evoluzione garantendo loro una formazione adeguata.
Per Faib, la Federazione dei benzinai allora ferocemente contraria alla GDO e alla possibilità di vendere carburanti nei centri commerciali, questa iniziativa “va nella direzione auspicata di convertire le stazioni di rifornimento in centri multiservizi in grado di creare nuova redditività”. Cosa assolutamente legittima che allora, però, cercarono di negare alla Grande Distribuzione. Questi i fatti.
La GDO non credo reagirà allo stesso modo. In via Forze Armate a Milano tra un PAM e un Carrefour (ex pdv Auchan) ha aperto un ENI Emporium Café. Ad un primo sguardo è una via di mezzo tra un piccolo Autogrill e un distributore automatico di nuova generazione. Al suo interno regna una simpatica confusione.
C’è una signora alla cassa che credo si occupi, oltre ai pagamenti e ai gratta e vinci, delle “specialità” (vedo un cartello con pizza, prosciutto e melone, insalata, ecc. A vista però non c’è nulla) e un signore che tra un pieno e l’altro serve al bar.
Se c’è un luogo dove è difficile prendersi il tempo necessario per scegliere e valutare un prodotto mi sembra proprio una stazione di servizio. Soprattutto se non si è sulla tangenziale e i posteggi non sono un granché di numero.
Ottima idea in tempi di lockdown per acquistare generi di prima necessità e se le code per accedere nei supermercati pur lì vicino sono chilometriche, meno se si deve fare la spesa. Sfruttare meglio gli spazi a disposizione per incrementare la redditività resta un sogno, non solo di tutti i retailer.
Ricordo quando alla Galbani, la Danone propose di riempire il famoso camioncino del piazzista con prodotti aggiuntivi ai formaggi e ai salumi. Lo spazio c’era però fu un flop. Il problema resta l’iterazione tra consumatore, volontà di acquisto e luogo di vendita. Fisico o virtuale che possa essere.
Quindi di professionalità, tipologia dell’offerta, qualità del prodotto e della comunicazione, tempo a disposizione e convenienza. Tutte cose che non si apprendono solo frequentando un corso di formazione. La redditività invocata si raggiunge anche con la passione per il proprio lavoro, l’esperienza e la capacità di gestire le persone. Clienti e collaboratori.
È però interessante notare, al di là del giudizio sulla possibilità o meno di vincere questa scommessa da parte di ENI, che, ancora una volta, il perimetro di attività tra settori confinanti o meno tende a ridursi e le barriere all’entrata diventano sempre più fragili. Non c’è solo Amazon, da un lato, e il piccolo bottegaio che si attrezza, dall’altro.
Non credo che la GDO debba temere l’ingresso di ENI. Però un maggiore livello di attenzione sarebbe auspicabile. Anche i discount furono vissuti all’inizio con sufficienza. Una cosa è però certa. La fidelizzazione dei clienti, la professionalità degli addetti alla vendita, l’attrattività complessiva del punto vendita e l’innovazione tecnologica sono le vere sfide che attendono la GDO.
Concetti tutti da ripensare o d migliorare sono quindi quelli legati alla convenienza, ai luoghi di relazione con il cliente e il territorio, alla tradizionale ossessione sui costi e agli strumenti di comunicazione.
Il fatto che realtà di un certo peso economico estranee al business ritengano di poter giocare le loro carte fa pensare che, vista da fuori, la GDO stessa appare un po’ troppo ferma sulle proprie gambe e debole nell volontà di cambiare e nell’innovazione. Che pure si è vista.
Una delle prime sperimentazioni interessanti è stato il supermercato Carrefour di Corso Garibaldi a Milano: apertitivi, sushi bar e birreria. Una via di mezzo con un luogo di intrattenimento: spazio di coworking (intelligente soprattutto se lo smartworking si dovesse consolidare), pochi lineari, un bar e un’area in cui consumare i cibi appena acquistati. Un concept rivisitato e rilanciato da Esselunga con Esse. Sinceramente l’Emporium non c’entra nulla con tutto questo nonostante l’ambizione della loro pubblicità.
L’atto di acquisto, pur da evolvere e modernizzare, deve poter contare su di un insieme di elementi di contesto che non mi sembrano essere presenti in questa proposta.