Bisognerebbe che qualcuno rileggesse “l’Orlando Furioso” di Ludovico Ariosto. L’opera narra delle gesta di cavalieri cristiani e musulmani abituati a fronteggiarsi. Tra questi c’era Agramante, il re dei mori che era riuscito a riunire eserciti molto diversi tra di loro accomunati però dalla stessa fede, pur essendo di etnie diverse abituati a dilaniarsi attraverso continue lotte intestine. La Grande Distribuzione è sempre stata così: litigiosa e incapace di darsi una strategia comune. Finalmente le sue tre espressioni più importanti (Federdistribuzione, Conad e Coop) hanno trovato un punto di incontro nell’interlocuzione politica con il Governo dopo un periodo più o meno lungo dove ciascuna insegna ha cercato di arrangiarsi a fronte delle richieste di aumento dei listini che da monte ricadevano come un fiume in piena sugli scaffali della GDO ingenerando nei consumatori la convinzione che le responsabilità fossero esclusivamente a valle.
L’industria alimentare è da sempre portata ad atteggiamenti più sobri e misurati. Ha dalla sua la filosofia della lobby ben organizzata. Sa di avere il fiato sul collo di Coldiretti e le ragioni della filiera a monte ma non si aspettava che la GDO, per la prima volta, tenesse unitariamente la posizione con il Governo. Le richieste di aumenti dei listini (non sempre giustificati) tutto sommato accettati nelle singole insegne, la durata eccessiva dei contratti in tempi di inflazione non contestati e la mancanza di visione politica di insieme di quest’ultima l’hanno convinta a tenere duro anche questa volta nella certezza che il fronte si sarebbe, prima o poi, sgretolato. D’altra parte gli aumenti richiesti, in buona parte oggettivi, seguivano gli aumenti delle materie prime, dell’energia e dei trasporti rendendoli pressoché inevitabili. Altri meno. Soprattutto le differenze di impatto tra i diversi sottosettori.
Centromarca, l’associazione più titolata, ha però puntato troppo alto. Ha rifiutato prima un dialogo con la GDO teso a costruire un percorso comune e poi ha pensato di replicare lo stesso atteggiamento con il Governo alzandosi dal tavolo e ribadendo l’intenzione di non sottoscrivere alcunché. La GDO non si è scomposta ed è rimasta seduta al tavolo. Chi si alza ha sempre torto.
Com’era prevedibile più si avvicina settembre, che segnala la data di scadenza per aderire o meno al patto anti inflazione, più c’è chi cerca di seminare confusione nel campo di Agramante. Se però oggi le polemiche feroci sul “caro carrello” non colpiscono (almeno dal versante politico) la GDO lo si deve a Federdistribuzione, Coop e Conad che hanno ben compreso la necessità di un dialogo costruttivo con l’Esecutivo. Indipendentemente dal suo colore. Questo si chiama “far politica” cosa sconosciuta (salvo in Coop e, in parte in Conad) nel mondo associativo della GDO fino a qualche tempo fa. Risultato che va ben al di là da ciò che l’operazione sui prezzi potrà garantire concretamente.
La GDO è quindi in campo mentre Centromarca dovrà trovare il modo di rientrare. L’interlocuzione con il Governo sull’inflazione e sugli interventi possibili non è quindi materia esclusiva di Confindustria e Confcommercio che ovviamente non hanno interesse a snobbare l’Esecutivo e, oggi, sono ben defilati sulla vicenda. C’è in gioco il sostegno all’economia, l’intervento sul cuneo fiscale, i rispettivi ruoli sul PNRR e tanto altro.
Il Governo in carica, soprattutto il Presidente del Consiglio, ha una sua forza intrinseca perché non ha alternative almeno fino a quando le alleanze internazionali sul conflitto ai confini dell’Europa detteranno l’agenda politica ed economica. Tra l’altro sotto accusa non c’è la GDO ma le multinazionali. Obiettivo naturale (da sempre) per la destra sovranista nostrana che ne propone quasi sempre una caricatura ridicola. Un gravissimo errore colpevolizzarle da parte di esponenti del Governo. Un errore altrettanto grave da parte loro interpretare il ruolo di chi spinge per rifiutare il confronto. In Francia le polemiche sono più o meno le stesse: “I distributori hanno fatto un buon lavoro fin dall’inizio con il trimestre anti-inflazione. I produttori sono stati un po’ più difficili da convincere, ma hanno seguito”, ha commentato Bruno Le Maire su RMC e BFMTV. Tranne…tranne “quattro o cinque grandi gruppi”, multinazionali che coprono diversi settori, alimentare, prodotti per l’igiene e la pulizia, che “non stanno al gioco” e di cui potrebbe rivelare i nomi “la prossima settimana” per “torcergli il braccio”. Mi immagino le reazioni da noi se un politico dovesse permettersi simili affermazioni…
Lo scorso maggio Le Maire aveva già minacciato di fare i nomi. Olivia Grégoire, ministro delegato alle PMI, aveva riassunto con un’espressione carica di significato: “nome e vergogna”. Per la Francia la posta in gioco è tanto più grande in quanto, in una nota pubblicata il 26 giugno , il Fondo monetario internazionale (FMI) ha affermato che “i profitti rappresentano il 45% dell’aumento dei prezzi dall’inizio del 2022” nella zona euro. Quasi la metà dell’inflazione è quindi attribuibile alla strategia delle aziende di aumentare i propri margini. Per questo le multinazionali, hanno compreso benissimo la posta in gioco. Anche chi si è per il momento defilato. Da noi, no. I reticenti hanno mandato avanti Centromarca.
Sostenere che sono mercati e prodotti differenti va bene nelle chiacchiere tra buyer e NKA dell’industria al tavolo delle trattative sui listini. Non tra soggetti associativi che fanno politica e che, le loro ragioni, le devono ribadire ai tavoli ministeriali comuni e non tramite i loro media di riferimento. C’è un Paese che, dopo la pandemia e la ripresa si appresta a rientrare al lavoro tra aumenti vari delle spese fisse, tentativi di recuperare margini troppo rapidamente, carburanti e carrello della spesa pesanti per i bassi redditi e, mentre Federdistribuzione, Coop e Conad hanno dichiarato la loro disponibilità ad un confronto costruttivo, Centromarca insiste nel voler marcare l’indisponibilità al confronto. Giratela come volete ma questo è il messaggio che esce.
Anche in Francia Le Maire sta puntando fondamentalmente a dare un forte segnale politico al Paese. La richiesta in Italia come in Francia è un impegno a non aumentare i listini per i prossimi mesi. È incomprensibile come, i difensori della posizione della stessa industria di marca, che giudica superfluo l’intervento perché prevedono che l’inflazione diminuirà per proprio conto rifiuti comunque di sostenere che questa tendenza va accompagnata con un atto politico condiviso. A me non sembra una buona idea. E, tra l’altro, qui da noi, non sono nemmeno previsti grossi interventi di censura per chi non dovesse attenersi.
Oltralpe, la paura delle reazioni popolari alle multinazionali ha reso tutti più ragionevoli. Qui da noi l’industria alimentare dimostra di non comprendere la posta in gioco quasi non fossimo in una situazione di grande affanno politico e sociale. Un’inflazione che scende nelle statistiche citate spesso a sproposito ma non nelle tasche delle famiglie con gli stipendi e le pensioni al palo chiede uno sforzo di comprensione e di responsabilità maggiori. Prima o poi lo capiranno tutti? Io credo che alla fine sarà così.
L’inflazione 2023 ha fatto un po’ comodo a tutti. Meno ovviamente ai consumatori soprattutto quelli a basso reddito. Al Governo per l’effetto sulle entrate IVA e sui conti pubblici. Alle imprese sia industriali che della GDO che hanno realizzato risultati economici interessanti (la tabella del FMI lo dimostra) al di là degli effetti sui volumi. Così come nell’industria non tutti i sottosettori hanno avuto gli stessi vantaggi. Il probabile calo nel trimestre prossimo non peserà allo stesso modo sui consumatori. Quindi l’accordo “politico” è altra cosa rispetto al “laissez faire” al mercato che propone chi è contrario all’accordo. Risolverà alla radice il problema sul tappeto? Certo che no. In Italia come in Francia. Rappresenta però un segnale di attenzione del Governo, un’assunzione di responsabilità condivisa con le imprese attraverso le loro associazioni di riferimento.
Certo il Governo ne menerà vanto. Probabilmente oltre il consentito. Ma tant’è. Quindi da ottobre un adesivo che segnali in modo chiaro ciò che è incluso nell’operazione, un paniere mirato che accompagni le scelte già in essere nella GDO da aggiungere alla card “dedicata a te” che, dal 18 luglio, i Comuni hanno inviato ai nuclei familiari con un ISEE fino a 15.000 euro con i requisiti previsti. Una postepay precaricata con l’importo di 382,50 euro. Nulla di stravolgente. Personalmente aggiungerei come deterrente un elenco di chi si chiama fuori. Come minacciano di fare in Francia. Ma so che non ci sarà.. L’autunno è ormai dietro l’angolo con tutte le incognite sul piano economico e sociale a cui si aggiungono quelle determinate dalla situazione geopolitica. Cerchiamo di non dimenticarlo.