Lo sciopero generale del 29 novembre. Le conseguenze inevitabili sul sindacalismo confederale

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C’è qualcosa  di profondamente diverso e preoccupante nella stagione sindacale  che arriva. La divisione del sindacalismo di matrice confederale porta inevitabilmente con sé due effetti.  Da un lato rischia di spingere  CGIL e UIL nel campo presidiato dai sindacati di base, tutt’altro che marginali in alcuni settori e, dall’altro ripropone la necessità di certificare la rappresentatività delle organizzazioni sindacali che rischia di coinvolgere anche le singole categorie e quindi le dinamiche dei futuri rinnovi dei CCNL. 

Maurizio Landini ha evocato addirittura la necessità di una  “rivolta sociale”. Rivolte che, come la Francia a volte ci mostra, nascono generalmente dal basso, dalle contraddizioni sociali  senza essere annunciate, evocate o previste dall’alto come in questo caso. Il 29 novembre ci sarà una verifica non tanto del malessere presente nel mondo del lavoro che è evidente ma della capacità di interpretarlo da chi ha proposto la mobilitazione a partire  dalla partecipazione dei diretti interessati, i lavoratori dipendenti,  allo sciopero generale di otto ore indetto da CGIL e UIL (la CISL non ha aderito).

Contemporaneamente si è messa in movimento anche la galassia del sindacalismo di base, Cub, Sgb, AdL Cobas, Confederazione Cobas, Clap, Sial Cobas, presenti nei servizi, nel pubblico impiego, nei trasporti  e nella logistica, che ha anch’essa  indetto lo sciopero generale per l’intera giornata del 29 novembre contro la manovra e la politica socio-economica del Governo. Ovviamente quest’area prova ad alzare la posta puntando a  far emergere le contraddizioni presenti nel sindacalismo confederale non volendo delegare loro la protesta sociale e la decisione sulla prosecuzione delle iniziative dopo lo sciopero.

Come ho già scritto, più che la roboante dichiarazione in sé, preoccupa la deriva imboccata dalle due sigle del sindacalismo confederale. Che ci stiamo dirigendo più o meno consapevolmente verso il rischio di una pericolosa lacerazione del tessuto sociale mi sembra evidente. Aumento dell’area della  povertà, preoccupazioni per il futuro che lambiscono anche il ceto medio, crisi del welfare state, sono sotto gli occhi di tutti. Mi lascia però perplesso la convinzione di Landini che sia necessario evocare la rivolta sociale e che  lui e Bombardieri possano presentarsi come i possibili interpreti.

Affermare ad esempio che i salari sono fermi da qualche decennio e la precarietà nel mondo del lavoro è una costante, risponde al vero ma è difficile addebitarla a questo Governo e non ad una serie di ragioni e responsabilità che risalgono nel tempo. O che esistano scorciatoie per risolverla e soluzioni semplici a portata di mano. E queste responsabilità non esonerano né i governi precedenti né gli stessi Sindacati confederali che in questi decenni non erano su Marte. Difficile quindi chiamarsi fuori.

Rocco Palombella della UILM (i metalmeccanici della UIL) che è un sindacalista intelligente ha  capito benissimo dove rischia di portarli Maurizio  Landini quando evoca  la “rivolta sociale”. Manovra economica a parte la dimensione dei problemi, soprattutto sul settore dell’auto, è tale che senza un’alleanza tra Governo, aziende della componentistica e sindacati confederali tutta da costruire la rassegnazione e la sconfitta costituiranno l’inevitabile risultato  finale. La Cisl ormai sta andando per conto suo. La firma sEnza le altre due confederazioni nel CCNL del pubblico impiego è un segnale evidente. Capisco la voglia di alzare il tiro della CGIL per essere protagonista dell’opposizione al Governo ma questa trasformazione del ruolo del sindacato rischia di vanificarne il ruolo e di chiudere una prospettiva di autonomia dalla politica e di proposta su cui il sindacalismo confederale ha costruito la sua ragion d’essere.

L’antagonismo sociale espresso dal sindacalismo di base punta, al contrario, ad obiettivi  chiaramente irraggiungibili  e identitari e  a far emergere le contraddizioni di una mobilitazione che CGIL e UIL, hanno indetto con l’obiettivo di cambiare la manovra di bilancio, considerata del tutto inadeguata a risolvere i problemi del Paese (qui il volantino ). Ma il rischio che la palla di neve possa sfuggire di mano e trasformarsi  in valanga pesa su certe affermazioni.

Dario Di Vico  affronta proprio il tema che coinvolge  i due massimi dirigenti sindacali Landini e Bombardieri. “Da un punto di vista squisitamente lessicale non si può non annotare come l’incitamento di Landini si ponga al di fuori della tradizione classica della Cgil, attenta nelle formule della protesta a restare sempre dentro il perimetro della democrazia strutturata. “Rivolta sociale” inequivocabilmente, invece, sa di protesta slabbrata, di insurrezione, e quindi finisce per evocare le parole d’ordine dell’Autonomia dello scorso secolo o quelle dei Cobas di oggi. Landini è convinto di essere il leader naturale di un’ampia coalizione di associazioni che va dai centri sociali ai movimenti cattolici del terzo settore ed è in qualche modo a essi che ha scelto di parlare.

In Cgil sanno che lo sciopero generale contro il governo indetto per fine mese, quasi come fosse un rito a cadenza annuale, non avrà ampio seguito nei luoghi di lavoro. Sarà comunque uno sciopero di minoranza. E proprio per questo c’è bisogno di de-sindacalizzarlo e di politicizzarlo vieppiù, chiamando in piazza la galassia dell’antagonismo e del pacifismo. Del resto anche nella scelta di non firmare il rinnovo del contratto degli statali la Cgil si è trovata a fianco, oltre alla fedelissima Uil di Pierpaolo “Che” Bombardieri, proprio la Usb. Ma l’insieme di queste mosse tattiche finisce per riscrivere la mappa di quello che è stato il prestigioso sindacalismo italiano e attesta la maggiore confederazione sempre più lontana dalla Cisl e sempre più vicina ai Cobas. Con tanti saluti a quelle battaglie sociali (in primis il potere d’acquisto dei salari) che avrebbero bisogno di unità e massa critica”.

Se la scelta del 29 novembre apre ad una fase  di lotte sociali lo capiremo presto. Sicuramente rischia di mettere una pietra tombale sul modello di sindacato confederale che abbiamo conosciuto con ciò che potrebbe determinare sui CCNL, sui sistemi bilaterali, sugli enti e fondi paritetici derivati dai contratti stessi, mettendo in discussione l’intero sistema delle relazioni industriali nel nostro Paese…

 

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