Durante e dopo uno sciopero dei trasporti al massimo si apre un dibattito. Chiacchiere. I giuslavoristi dicono cosa si potrebbe fare, si intervistano i cittadini infuriati, si mostrano le file interminabili in attesa di mezzi sostitutivi.
Tutti concordano che quello sciopero sarebbe stato meglio non farlo. Ma che nulla e nessuno lo avrebbe potuto impedire se indetto nel rispetto della legge.
Soprattutto se il sindacato promotore, pur insignificante, sul piano organizzativo ha ottenuto adesioni significative.
Sono esattamente 27 anni che ci si occupa del problema. Prima di quella data ci si accontentava dell’autoregolamentazione. Che naturalmente non funzionava.
Checché se ne pensi se il problema resta come aggirare il dettato costituzionale temo sia solo tempo perso. Con le leggi attuali il diritto di aderire o promuovere uno sciopero resta un diritto individuale.
Se il sindacato che lo indice riesce, ad esempio, a paralizzare i trasporti di una città o addirittura di un Paese significa che riesce a convincere i lavoratori ben oltre il proprio perimetro organizzativo.
E se lo promuove nel rispetto della legge c’è poco da fare. Ha ragione Marco Bentivogli “certi scioperi sono il miglior attacco al diritto di sciopero”. È così.
Nel 2017 siamo ancora qui. A chi non piace lo sciopero (comunque) diventa motivo di attacco ai sindacati. A tutti i sindacati. I sindacalisti seri, quelli che ne conoscono l’importanza, le conseguenze e il costo per i lavoratori non sanno bene che dire.
Personalmente credo che lo sciopero abbia fatto il suo tempo. Soprattutto da quando se ne sono impadroniti categorie privilegiate o altre che operano in mercati protetti, pubblici o parapubblici.
Lo sciopero dei bikers di Foodora al contrario ha suscitato solidarietà. Quel giorno almeno. Per come è concepito oggi, per come è indetto e gestito, lo sciopero procura danni economici essenzialmente a chi vi partecipa.
La retorica sindacale non lo ammetterà mai ma è così. I sindacati confederali, anche per questo, li indicono con grande parsimonia. Fare un passo in una nuova direzione significa individuare nuove regole per la risoluzione dei conflitti.
Non basta voler abolire gli scioperi. Occorre trovare risposte alle ragioni che li generano. Innanzitutto affrontando il nodo del peso dei sindacati certificandone la reale rappresentatività.
In secondo luogo prima della proclamazione andrebbe indetto un referendum. In terzo luogo la nuova regolamentazione dovrebbe tenere conto della avvenuta proliferazione delle sigle ben maggiore di quelle che, negli anni 90 hanno ispirato la legislazione in vigore. Infine occorrerebbe individuare forme di arbitrato che consentano di non far marcire i problemi e quindi di fornire alibi o strumentalizzazioni alle formazioni minoritarie. Definendo bene anche le materie di pertinenza.
Certo fra qualche giorno e fino al prossimo sciopero tutto sarà dimenticato. Per molti esperti della materia è la migliore soluzione. Parlare d’altro. È un grave errore. Oggi i mezzi pubblici li usano proprio le persone più deboli.
Lasciare che pensino che un autista dell’ATAC sia un nemico e come lasciargli pensare che anche un immigrato lo sia. È molto pericoloso.
A lungo andare non ci guadagna nessuno. Neanche la democrazia di cui la nostra Costituzione con l’articolo 40 è uno dei baluardi più importanti.