Ad un passo dalle elezioni francesi e dopo il dibattito televisivo tra Le Pen e Macron i media italiani sembra abbiano rallentato la caccia all’identikit dei potenziali Macron e Le Pen italiani.
A destra il sosia c’è ed è Salvini. Anche lui, tra l’altro destinato ad un sostanziale ridimensionamento e ormai surclassato da una forma più moderna di populismo internettiano interpretata, sul suolo italico, dai pentastellati.
Per la maggioranza degli osservatori sono Renzi e Letta i due politici più segnalati per i loro punti di contatto con il probabile vincitore del ballottaggio francese.
Il primo come anticipatore di Macron attraverso l’idea (mai tramontata) del cosiddetto Partito della Nazione. Il secondo per la sua indubbia statura politica e la sua credibilità internazionale.
Entrambi però, a differenza di Macron, sono un prodotto della Politica le cui radici sono tutte nel 900. Quindi figli di una grande tradizione popolare che ne condiziona il pensiero ma, soprattutto, la conseguente incisività nell’azione di Governo.
Macron è, al contrario, un prodotto della globalizzazione sia per la sua provenienza che per il suo modo di pensare. È fuori dagli schemi destra/sinistra tradizionali, è un prodotto del nuovo capitalismo che guarda all’Europa in modo nuovo ed è il segno della presenza di una diversa generazione di tecnocrati di nuovo conio e di spessore stanca della politica tradizionale e desiderosa di proporre un disegno riformista di grande respiro.
La Francia delle banlieu, delle contraddizioni etniche, del terrorismo e del declino industriale si trova a dover fare i conti con un profilo di manager e di politico diverso dal passato. E questa Francia sembra essersi convinta di aggrapparsi a questo progetto e non a farsi attrarre dalla vecchia politica litigiosa e inconcludente seppur rappresentata dai Melanchon, dai Fillon o dalla Le Pen stessa.
Un Paese in crisi di identità che sceglie di raddoppiare la posta anziché accomodarsi nelle braccia del demagogo di turno o di chi rappresenta una onesta continuità con il passato.
E in Italia? Forse dobbiamo partire dal fatto che la matrice del nuovo modello di candidato francese è rappresentata da tre caratteristiche fondamentali: essere di nuova generazione, non provenire dalla politica tradizionale e possedere un CV professionale significativo. Se questo è vero non è difficile individuare, anche da noi, chi ha quel profilo.
Innanzitutto dobbiamo scartare chi è partito troppo presto come Stefano Parisi. Ottimo candidato ma divisivo sia a destra che a sinistra.
Poi chi ha un ottimo CV ma non le altre caratteristiche richieste come, a suo tempo, Giannino, o Boeri, o Passera ma anche lo stesso Sala. Anche Renzi, pur essendo di nuova generazione, manca comunque degli altri elementi della matrice. Così come Letta per gli stessi motivi. Due candidati che possono certamente rientrare in campo. Ma non in questo giro.
A questo punto ne resta solo uno: Carlo Calenda. Esponente della nuova generazione, ministro, scarsi contatti con la politica tradizionale e ottimo CV ne fanno un profilo di grande interesse con una biografia familiare e professionale di tutto rispetto.
L’Italia non è la Francia, questo è vero però è anch’esso un Paese che deve rassegnarsi all’idea che la “ricreazione” sta finendo e presto suonerà la campanella. La vicenda Alitalia e la prossima legge di stabilità, a mio parere, segneranno lo spartiacque tra il ministro Calenda e il PD.
Renzi, che lo voglia o meno, dovrà reggere, fino alle elezioni, uno scontro durissimo con Grillo e con Salvini. Dovrà rassegnarsi a spostare un po’ più a sinistra l’asse interno del Partito per tenerlo unito quindi difficilmente potrà essere il candidato premier al prossimo giro.
Per questo Carlo Calenda ha fatto bene a declinare l’endorsement di Berlusconi. Io credo che presto si farà da parte dall’attuale Governo per poter giocare al meglio le sue carte.
Per chi crede nella nuova Europa e nell’irreversibilità, pur riveduta e corretta, della globalizzazione è un punto di riferimento con tutte le caratteristiche necessarie.
Dovrebbe solo essere un po’ meno confindustriale nell’atteggiamento e nei giudizi perché va bene accusare il management Alitalia per l’arroganza e gli errori compiuti consentendo così ai sindacati confederali di rientrare in gioco ma dietro a quei manager c’era anche un Consiglio di Amministrazione che ha approvato sistematicamente tutte le decisioni. E, in quel CDA c’erano anche persone con cui lui ha condiviso una parte del suo percorso. E su questo non può che esserci un giudizio altrettanto netto che non c’è ancora stato. Vedremo comunque le prossime mosse.
Si è però aperta una fase indiscutibilmente nuova della politica italiana dopo le primarie del PD. La legge elettorale (qualunque essa sia) ci consegnerà un Paese a cui un popolo disorientato e preoccupato assegnerà, ad una classe politica che crede nell’Europa e nella globalizzazione (seppur corretta), l’ultima chance di successo ma gratificherà i suoi avversari con un forte risultato.
Lo stanno facendo, i nostri cugini in Francia e, sarà così, molto probabilmente, anche in Italia. Per questo bisogna prepararsi per tempo evitando le nostre ridicole beghe da cortile. E questa, credo, sia l’unica cosa che non possiamo più permetterci.