È abbastanza ovvio ma anche singolare che la pubblicazione della proposta unitaria di Cgil, Cisl e Uil di riforma della contrattazione abbia suscitato reazioni essenzialmente negative. Pochi hanno colto la volontà di chiudere un’epoca di divisioni e l’intenzione comune di avviare una nuova stagione. È come se fossimo in presenza di un forte pregiudizio a prescindere su tutto ciò che proviene da quel mondo. Il paradosso è che molti tra coloro che chiedono, a parole, al sindacato di cambiare lo hanno già riposto in soffitta tra i ricordi del ‘900 e quindi non sono disposti a rimettere in discussione le proprie consolidate convinzioni. Io penso sia un errore grave perché il sindacato, pur ancora diviso, in crisi di strategia e di credibilità, provato da molte battaglie è in campo con i suoi milioni di iscritti, il suo radicamento nel mondo del lavoro e i suoi legami nei territori. Considerarlo sconfitto o marginale nella costruzione del futuro del nostro Paese in nome della disintermediazione non porterà a nulla di buono. Un altro aspetto curioso è che la stessa severità utilizzata da molti per giudicare la proposta sindacale non esiste sul fronte opposto. Non c’è alcuna proposta datoriale unitaria. Confcommercio ha la sua strategia confermata nella recente firma del CCNL del terziario che fa perno su flessibilità, derogabilità del CCNL a livello locale, rafforzamento della bilateralità e del welfare contrattuale. Non a caso il tanto citato accordo di Treviso ne è una dimostrazione evidente. Nello stesso settore Federdistribuzione si accontenterebbe, al contrario, di una semplice, quanto improbabile, “resa” dei sindacati. Nell’industria Federmeccanica ha una proposta compiuta, pur di difficile attuazione ma Federchimica ha un’altra impostazione vista la recente firma del CCNL di comparto. Potrei continuare con molti altri esempi. Confindustria sta per sedersi ad un tavolo dove, nella migliore delle ipotesi, si limiterà a mettere in discussione la proposta di Cgil,Cisl e UIL sperando che la minaccia di un possibile intervento governativo costringa a miti consigli i negoziatori sindacali. Direi un modo curioso di aprire una fase nuova. Ma questo è probabilmente dato dal fatto che tutti vorrebbero cambiare un sistema che ci ha accompagnato per oltre 50 anni ma nessuno vuole prendersi la responsabilità di indicare la vera direzione di marcia. Se il Paese ha bisogno di condivisione e coinvolgimento si sceglie una strada altrimenti se ne sceglie una opposta. Oggi tutto questo non c’è ancora. Di Vico ha ragione: non è più tempo di riti e liturgie. Occorre muoversi. Per le parti sociali è fondamentale il riconoscimento e il rispetto reciproco. Se qualcuno, nei sindacati o nelle organizzazioni datoriali, pensa che una parte possa decidere nell’interesse di tutti, sbaglia perché è interesse di tutti crescere, confrontarsi e trovare nuovi equilibri positivi. Le sfide che abbiamo di fronte si vincono con un sistema di relazioni industriali moderne ma soprattutto condivise. Questo è il compito che hanno di fronte i negoziatori. I giudizi lasciamoli alla fine.