Quando il coronavirus sarà argomento di ricordo ormai fortunatamente alle nostre spalle ci resteranno impresse innanzitutto l’abnegazione del personale sanitario ma anche la grande prova di tenuta delle strutture pubbliche. Ci racconteremo che non ce l’avremmo mai fatta senza di loro. E poi passeremo alle inevitabili conseguenze.
Sull’economia, su quanto i nostri comportamenti e come si sono modificati nella vita di tutti i i giorni, nel lavoro e nelle nuove priorità di create da questa prova epocale. Forse non ci ricorderemo dei tanti che, grazie al loro lavoro, ci hanno reso la nostra vita meno pesante nella quotidianità. E sono tanti.
Per loro lo smart working è rimasta una parola priva di significato. E non parlo di coloro i quali hanno subito un contraccolpo economico e personale immediato perché il loro lavoro si è fermato o fortemente rallentato. Insieme al loro reddito. Piccoli imprenditori, lavoratori autonomi, partite IVA. Interi settori precipitati nell’indeterminatezza più assoluta per i quali dovranno essere trovate le risposte adeguate.
C’è un’altra categoria di persone; quelle che “devono” lavorare. Sono quelli che incontriamo tutti i giorni sulle strade per la nostra sicurezza, gli uomini e le donne dei carabinieri, dell’esercito, della polizia anche locale. Sono i trasportatori impegnati a consegnare le merci e tutti coloro che ci consentono di vivere l’emergenza con i minori disagi possibili.
Se dovessi però scegliere una categoria che mi ha colpito in modo particolare, e che rischia di essere invisibile ai più, segnalerei gli uomini e le donne che lavorano nei supermercati. Nessuno di loro si può tirare indietro. E nessuno di loro lo sta facendo. Dagli area manager che non si limitano allo smart working di cui tanto si parla e non sempre a proposito costretti a girare come trottole a presidiare la fluidità dei rifornimenti ai punti vendita, ai responsabili di filiale, ai capi reparto ma, soprattutto al personale di vendita.
Vederli con i guanti e le mascherine impegnati a gestire clienti tesi e preoccupati per le distanze da tenere, i soldi da scambiare, i contatti da evitare in un’atmosfera surreale, fa riflettere. Certo è lavoro povero, invisibile, sottovalutato. Ma l’impegno è lo stesso. Così come i rischi.
A Trento per evitare i contatti tra i dipendenti dei trasporti e i viaggiatori hanno addirittura deciso di rendere gratuiti i mezzi pubblici. Nei supermercati evidentemente questo non si può fare e quindi l’impegno degli addetti non può non essere sottolineato. Non dimentichiamo che l’intera GDO si sta dimostrando fondamentale nella gestione di questa crisi. Aperture h24, nastri orari garantiti, fine settimana compresi, lineari riproposti rapidamente dopo i “saccheggi” di quella parte dei consumatori che si costringono a lunghe file non necessarie e che magari non rispettano le disposizioni fondamentali per contenere l’espansione del virus.
Ma gli addetti indipendentemente della loro collocazione professionale e alla loro volontà sono evidentemente tra due fuochi. Costretti ad una normalità apparente dalle quale non si possono sottrarre ma preoccupati per sé, per le proprie famiglie come e quanto qualsiasi altra persona.
Ecco, mentre facevo acquisti all’Iper Poli di Malè circondato da turisti polacchi e residenti con mascherine improvvisate e sciarpe che lasciavano intravedere solo gli occhi, in fila a due metri di distanza uno dall’altro, tra contenitori di amuchina e rotoli di carta a disposizione del pubblico vedere questi giovani ragazzi e ragazze preoccupati ma professionali come sempre dotati di mascherine e guanti per mantenere almeno una parvenza di distacco mi ha fatto pensare che un posto nei ricordi futuri spetterà anche a loro.
E un po’ mi meraviglio che anche chi si occupa di grande distribuzione fatichi a fermarsi a riflettere su questo punto importante. Sulle persone che rendono possibile tutto questo. Il loro lavoro, il loro impegno ma anche il loro sorriso. Che non manca mai. Anche quando è difficile pretenderlo.
Il mio è un commento che magari non è attinente all’articolo.
I mezzi pubblici sono un ricettacolo di batteri e virus. Bisogna fermare tutto (dopo aver dato possibilità di fare scorte alimentari per 15 gg)come se avesse fatto due metri di neve da Aosta a Trapani.. Ricordiamoci di oggi per la prossima epidemia. La Protezione civile deve proteggerci, non deve fare la conta dei decessi e dei guariti; deve avere sempre a disposizione 60.000.000 di mascherine con filtro. E tutte le persone devono essere obbligate ad indossarle.
Poi bisogna indagare su chi ha veramente creato questo virus sconosciuto, se davvero un pipistrello oppure alcuni scienziati.
Queste crisi vanno lasciate gestire dalle autorità. A noi resto solo attenersi alle disposizioni emanate.
Giusto. Il mondo globalizzato é un bene finché tutto va bene. Ma appena qualche ingranaggio si inceppa il danno è per tutti i 7 miliardi di persone che ci vivono.