L’idea è comunque da sottoscrivere. Impresa e lavoro collaborano a tutto campo con un obiettivo preciso: aumentare la produttività, affrontare l’innovazione e i cambiamenti necessari, crescere professionalmente e costruire un welfare moderno e inclusivo.
Il patto di fabbrica può produrre tutti questi effetti positivi e quindi fa bene il Presidente di Confindustria Vincenzo Boccia ad insistere. Per il sindacato potrebbe rappresentare un passo decisivo e definitivo.
Passare, in azienda, da una logica negoziale tradizionale laddove le condizioni, la forza o la capacità del sindacato esterno lo consente ad una logica collaborativa a tutto campo.
C’è però un paradosso. Le aziende si dichiarano pronte e disponibili ma il sindacato ha molti dubbi sulla concreta fattibilità dell’operazione così come proposta. Il sindacato, da parte sua, si dichiara pronto e disponibile ma le aziende hanno molti dubbi sulla concreta fattibilità con questo sindacato.
La contrattazione aziendale di questi ultimi decenni è stata caratterizzata, per dirla con il professor Baglioni, da un modello “partecipativo concessivo”. Urgenze, contenuti, problematiche sono stati posti sostanzialmente dalle aziende.
Salvo in alcune vertenze importanti dove il sindacato ha schierato gli uomini migliori e si è assunto responsabilità pesanti. Non sempre condivise a livello unitario.
Riorganizzazioni, tagli, commesse da gestire, ecc. Il sindacato ha però, quasi sempre, giocato di rimessa. Non è un caso che, le imprese stesse hanno, negli anni, depotenziato i loro ruoli negoziali tradizionali.
Oggi gli addetti alle relazioni sindacali, anche di alto livello, in azienda contano molto poco a differenza che in passato. Quindi, nelle intenzioni e fino a prova contraria, il “patto di fabbrica” confermerebbe questa asimmetria di potere.
Due aspetti importanti potrebbero bilanciare il sistema. L’estensione della contrattazione territoriale laddove quella aziendale non è praticabile e l’introduzione di modelli relazionali di concreta corresponsabilità. O per dirla come la direbbe un sindacalista, di “Partecipazione”.
Non è un caso che su questi due punti, Confindustria non è molto disponibile. Difficile darle torto. Oggi la contrattazione aziendale non supera il 5/6% delle imprese con una tendenza a decrescere. Si va dal 2/3% del terziario al 25/28% dei metalmeccanici. Nelle PMI è praticamente inesistente.
Ampliarla, in assenza di relazioni sindacali diffuse e costruttive sia al centro che in periferia potrebbe essere addirittura controproducente. Inoltre il territorio è un punto di riferimento solo per i lavoratori coinvolti e solo per alcuni comparti. Infine, cosa da non sottovalutare, Confindustria non ha alcun disponibilità ad estenderla o peggio a renderla obbligatoria al di fuori di chi gli conferisce un mandato. Il rischio associativo è evidente.
Sul tema della partecipazione e del coinvolgimento dei sindacati le aziende sono, nella quasi totalità, nettamente contrarie. Qualche passo avanti si potrebbe fare indicando delle sperimentazioni reversibili, individuando come in alcuni comparti (vedi chimici e alimentaristi) settori specifici, materie prioritarie, formazione congiunta, condivisione di informazioni, sistemi premianti, ecc. che indichino una concreta direzione di marcia.
Però su questo punto occorre essere chiari. Non bastano generiche affermazioni di alcuni sindacalisti e neanche di tutto il sindacato confederale per aprire scenari nuovi. La cautela, non solo di Confindustria, è assolutamente comprensibile.
Il sindacato, però, se dovesse decidere di rinunciare a questa prospettiva, corre dei rischi. Le aziende non si fermeranno, questo è chiaro. In assenza del “patto di fabbrica” le stesse recenti conquiste contrattuali rischiano di essere depotenziate.
E questo non sarebbe utile a nessuno. In molte imprese si sta affermando una doppia cultura. Ciò che è necessario e obbligatorio negoziare con il sindacato o discendente dalle leggi vigenti si applica. Ciò che è utile per costruire un coinvolgimento e un ingaggio dei collaboratori si gestisce con ben altra convinzione.
La parte più accorta del sindacato ha capito benissimo che nelle aziende c’è in corso da tempo una sua lenta e progressiva emarginazione. È indubbio, però, che la firma convinta di Federmeccanica con FIM, FIOM e UILM va in ben altra direzione.
E questo è un dato positivo a favore di quanti vorrebbero giocare la partita fino in fondo. Altri restano convinti che, prima o poi, le contraddizioni riemergeranno. E lo schema di confronto cambierà notevolmente.
In questo modo, però, si limitano a segare il ramo sul quale si poggia l’intero sistema. Non mi sembra una strategia accorta.