La domanda è legittima e in molti se la stanno ponendo. A cosa è dovuto il notevole successo di Marca 2024 in quel di Bologna? Per capirlo occorre fare qualche passo indietro. Per chi non vive quotidianamente il settore, la Grande Distribuzione è semplicemente l’insegna maggiormente frequentata come cliente e cosa si mette nel carrello della spesa. Nelle sue dinamiche interne è, al contrario, un mondo dove tutti si conoscono, si passa professionalmente da un’insegna all’altra, ci si vede ai convegni dove si parla di tutto ma poi si torna a lavorare come sempre. Alcuni piccoli imprenditori sono passati dalla penna dietro l’orecchio al Suv ma restano quelli che sono sempre stati. Altri si industriano, si associano, si alleano e crescono. Si fatica però a superare una certa soglia di fatturato. Pochi hanno una dimensione multi regionale. Le leadership sono essenzialmente locali. Il grande pubblico oltre a conoscere le insegne quando fa la spesa filtra il comparto attraverso gli spot di Conad, Lidl, MD e pochi altri. O le inchieste delle associazioni dei consumatori. Il settore, la comunicazione e la business community vivono dinamiche e liturgie proprie. Hanno un loro linguaggio. Si parlano addosso.
In quello che sembra un “piccolo” cortile dove non succede mai nulla di rilevante accadono tre fatti che lo scuotono dalle fondamenta. Innanzitutto la pandemia. Nella confusione generale che si determina i punti vendita della GDO diventano un servizio sociale. Un punto di riferimento della comunità. Si fanno trovare tutti pronti, perdono la caratteristica di insegna e acquisiscono uno status differente. Le cassiere vengono addirittura paragonate al personale medico per l’abnegazione messa in campo e nonostante i rischi per la loro salute. La spesa per milioni di persone diventa l’unico momento di svago. Ci si mette in fila anche dove non ci si era mai avventurati. Si scoprono i discount e le insegne diverse da quelle abituali.
La ripresa post lockdown cambia lo scenario. Arriva l’inflazione. Le insegne, singolarmente, sono impreparate. I buyer si vedono arrivare richieste dall’industria inaspettate. Si oppongono, pensano ad un fenomeno transitorio. Una speculazione. Sale la tensione. L’industria marcia spedita, alza i listini e preme sulle singole insegne. Comincia la saga del “caro carrello”. Le inchieste puntano lì. Dove si emette lo scontrino. Mentre i media sono alla ricerca del colpevole, la preoccupazione delle insegne, sale. Si comincia a capire, come in un antico gioco di carte, la Peppa Tencia, molto diffuso pur con nomi diversi, in gran parte dell’Europa Occidentale, che l’importante è passare la donna di picche, la responsabilità degli aumenti, a qualcun altro. Altrimenti si viene messi alle corde. L’inflazione è una brutta bestia perché, nell’immediato, conviene. Non solo all’industria. Dà una mano ai conti. E i fatturati, dopo la paura della pandemia e i rischi di chiusura per molte attività cominciano a salire. L’industria, spaventata dal costo delle materie prime, grida: al lupo! E scarica a valle le conseguenze. La GDO inizia a gridare anch’essa ma nessuno l’ascolta. Troppo debole e divisa la sua voce. Allora sceglie di erigere una sorta di linea Maginot facendosi carico di parte degli aumenti richiesti. Comprende immediatamente l’impatto che ci sarà sui consumi. Soprattutto delle famiglie meno abbienti. Inizia il ping pong sulle responsabilità. Lo stesso Governo non sa bene cosa fare. La guerra, il caos geopolitico, i conti pubblici, non permettono grandi manovre.
Dalla Francia arriva l’idea di un intervento calmieratore sui prezzi. Ovviamente la traduzione italica è un po’ meno dirigista e più approssimativa. Ci si appella alla buona volontà. Nasce così il “carrello tricolore”. L’industria di marca si defila mentre 26 associazioni di vario tipo concordano una iniziativa meno formale di quella francese ma comunque utile per veicolare un messaggio rassicurante al Paese in un momento delicatissimo. La Grande Distribuzione, per la prima volta unitariamente, coglie il cambio di contesto. Lo interpreta, lo gestisce. Capisce che quel tavolo è, innanzitutto, politicamente importante. Su questo, va detto, Federdistribuzione è quella che ha tirato la volata. Lì finalmente si comincia a vedere a nome di chi si parla, il perimetro rappresentato, la distintività della GDO, il suo peso, le risposte che può mettere in campo. L’industria alimentare non capisce che, ritirandosi sull’Aventino, perde un’occasione e lascia emergere altri protagonisti. Soprattutto perché l’inflazione sta tornando sotto controllo e questo la costringerà in un secondo tempo ad inseguire la GDO e non più a dare le carte. La famosa “Peppa Tencia” ce l’hanno quindi in mano loro.
La GDO a quel punto gioca il jolly: la Marca del Distributore. Non in modo vessatorio ma collaborativo. Nessuno sa bene cos’è né il suo peso economico complessivo. Né soprattutto come verrà accolta dai consumatori. È la svolta. I risultati si cominciano a vedere. I consumatori se ne accorgono e fanno i confronti del caso. Risultati modesti sul piano pratico ma importanti su quello politico. La GDO ha reagito mettendo sul tavolo l’intero ecosistema che rappresenta. Si comincia a capire che il comparto è un terminale economico di primo piano. Ed è così che si arriva a Bologna. Ci pensano Thea Ambrosetti e Valerio De Molli a predisporre per ADM e per gli osservatori distratti, una ricerca scenariale di notevole profilo (https://bit.ly/4bdWs5Z) che fa emergere una realtà economica e sociale di grande rilievo che sorprende prima di tutto gli stessi protagonisti della GDO che, abituati a vedersi singolarmente o al massimo a osservare i competitor diretti, si vedono inseriti un un contesto di grande protagonismo, caricati di una responsabilità di settore che, forse, non avevano ben compreso fino in fondo e osservati dalle istituzioni e dalla politica che vi si è fiondata immediatamente per condividerne il successo.
Chi ha parlato di inutile “passerella” non ha capito nulla, come al solito. È un riconoscimento normale in tutti i settori economici e come tale va gestito. E ADM incamera un risultato importante quanto inaspettato. Adesso però inizia il secondo tempo. Ora è importante comprendere il cambio di scenario e la necessità di dare continuità a questo rinnovato protagonismo del comparto nel suo insieme. Sia in termini di interlocuzione unitaria di rappresentanza che di ruolo sociale. Le stesse insegne devono credere di più nella loro forza d’insieme. I loro leader devono cominciare a metterci la faccia. Per questo Marca 2024 è a mio parere da ritenersi solo un ottimo punto di partenza. Certo sotto il tappeto restano le solite contraddizioni mai risolte. Il numero delle associazioni, l’ego dei protagonisti, la difficoltà a pensarsi parte di un ecosistema, il nervosismo tra competitor, le vecchie abitudini. La testa sempre nel novecento con specchietto retrovisore annesso. Il 2023 ci ha però detto che un altro mondo è possibile. Vedremo se sarà così e chi lo saprà interpretare.