C’è solo da scegliere. Si va dall’abolizione della Fornero e del Jobs Act, proposte rispettivamente dalla Lega di Salvini o da “Potere al popolo” all’istituzione del salario minimo da parte del PD. Da una decontribuzione completa per nuovi assunti alle pensioni minime a mille euro proposto da Forza Italia.
Dario Di Vico, nell’editoriale di oggi sul Corriere, ( http://bit.ly/2CVxY4f ) invita la Politica a prendere sul serio il tema del lavoro. Sembra anche disposto a concedere il beneficio del dubbio alla buona fede di alcune proposte nonostante l’evidente strumentalità della maggior parte delle stesse.
A questo occorre aggiungere l’intromissione pesante in alcune vertenze importanti nelle quali alla solidarietà formale e inconcludente del passato si stanno sostituendo sconfinamenti e dure prese di posizione anche contro le stesse posizioni del sindacato. Anzi come se il sindacato fosse un attore non protagonista.
Addirittura due esponenti di Forza italia sembra si apprestino ad affiancare i lavoratori esclusi (momentaneamente) dall’accordo Castelfrigo in un mini sciopero della fame. È il segno dei tempi…
Cosa resterà di tutto questo? Probabilmente poco o nulla.
Però è necessario distinguere. Le boutade elettorali saranno ovviamente ridimensionate dopo il 4 marzo anche perché alcune di queste sono evidentemente spacconate da bar che lasciano il tempo che trovano soprattutto perché propongono di scaricarne i costi su una spesa pubblica non più in grado di offrire sponde sicure.
Mi sorprende, però, la proposta del PD sul salario minimo. In Italia, ci ricorda Marco Bentivogli, l’85% delle aziende è coperto dai contratti nazionali mentre solo il 15% ne sarebbe scoperto.
La logica porterebbe ad estendere l’obbligatorietà dell’applicazione di un CCNL per tutte le imprese all’interno di un processo di semplificazione e riduzione del contratti.
Invece il PD preferisce la strada inversa. Diversi esponenti di quel partito si sono affrettati a dichiarare che questa operazione riguarderebbe solo coloro che non sono coperti da un contratto nazionale.
Nessuna riflessione sui rischi di sfarinamento dei contratti nazionali in essere. Rischio concreto già in corso in numerosi comparti nel completo disinteresse degli organi ispettivi del Ministero del Lavoro.
Marilena Vinciguerra, giuslavorista, sostiene tra l’altro che: ”con il salario minimo legale, le aziende non applicheranno più le tariffe dei Ccnl. E quindi non saranno tenute alla corresponsione di quelle voci prettamente contrattuali come Rol e 14.” E questo è solo uno dei potenziali effetti collaterali.
C’è, purtroppo, una grande sottovalutazione della realtà. Forse una scarsa conoscenza. Temi come l’alternanza, l’apprendistato, i nuovi lavori, le false cooperative, la fatica della ricerca del lavoro e di come oggi si rischia facilmente di perderlo sono trattati con una superficialità che lascia perplessi. Più per dimostrare un interesse e un attivismo sulla materia che con l’obiettivo di individuare soluzioni.
I diretti interessati, imprenditori e lavoratori, sembrano esclusi a priori dalla possibilità di intervenire e fare proposte concrete. Manca, credo, la voglia di ascoltare. Si va avanti così. Il Jobs Act, i grandi accordi confederali, i contratti nazionali stessi continuano a viaggiare fuori sintonia con il mondo reale.
Purtroppo anche i media spesso enfatizzano il nulla. Il rancore sociale nasce e si sviluppa proprio per la distanza che si crea tra la somma dei singoli problemi e le potenziali soluzioni.
I casi recenti come Amazon, Ikea, opposizione al lavoro festivo, ecc. sono lì a dimostrare che l’enfasi sull’avvenimento in sé senza alcun collegamento sulla soluzione possibile porta solo frustrazione e aumento del rancore individuale. Non di quello collettivo. Da qui la scarsa partecipazione agli scioperi. Anzi. I singoli avvenimenti, pur ritenuti gravi in sé, non creano solidarietà collettiva spendibile sindacalmente.
Contribuiscono a creare, al contrario, l’idea che il sindacato non sia più in grado di rispondere adeguatamente e quindi aprono inevitabilmente alla intromissione di altri soggetti che approfittano dell’avvenimento in sé, in buona o cattiva fede, per le proprie esigenze di visibilità.
Una dichiarazione ai media, una presenza sul luogo della protesta e così sono tutti contenti. Meno ovviamente i diretti interessati.
La vicenda Castelfrigo è, da questo punto di vista paradigmatica. L’enfasi su di una lotta estrema, terribile sul piano umano e lo scontro tra sindacati hanno messo sullo sfondo la necessità di intervenire sul tema delle false cooperative.
Adesso la Regione, il mondo cooperativo, Confindustria e il sindacato degli alimentaristi, unitariamente inteso, possono abdicare al proprio ruolo e continuare a litigare aprendo varchi agli strumentalizzatori di professione o fare un passo in avanti.
Se lo faranno potranno recuperare un proprio ruolo e chiudere positivamente una vicenda complessa. L’alternativa, purtroppo, è accontentarsi della solidarietà e delle strumentalizzazioni della Politica in cerca di consenso.
Qui sta il punto.
Un sindacato che pone l’enfasi sulla qualità, sulla quantità o sulla correttezza delle mobilitazioni che propone, forse guadagna i media superficialmente ma rischia di perdere, nel singolo posto di lavoro, l’autorevolezza e la capacità necessarie ad individuare sintesi e soluzioni praticabili.