Qualcuno E’ GIA’ nel nido del Cuculo…

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Gli svizzeri, nostri vicini di casa, gli hanno addirittura costruito intorno un orologio chiamandolo “a cucù”. il regista Forman  ci ha vinto cinque Oscar. L’espressione “nido del cuculo” è una forma gergale che indica un “manicomio”.

Sarà un caso ma per chi studia i comportamenti di alcuni politici nostrani  potrebbe costituire un indizio concreto. Il cuculo, d’altra parte, deve la sua notorietà al cosiddetto “parassitismo di cova”.

Le uova, in genere, si assomigliano con quelle della specie “ospite”. Alla schiusa, il piccolo del cuculo si sbarazza delle altre uova non ancora schiuse presenti nel nido rimanendo unico ospite. I genitori adottivi vengono ingannati da questo comportamento e nutrono il cuculo come se fosse un proprio piccolo. Difficile immaginare un paragone più azzeccato.

Le elezioni del 4 marzo avevano certificato un importante ma insufficiente  17% per la Lega Salviniana dovuto più alla crisi di Forza Italia e alla inconsistenza di Fratelli d’Italia che alla credibilità del suo leader Matteo Salvini. La scena era interamente occupata dal movimento 5S vero vincitore della contesa.

Un insieme di anime di diversa provenienza unite solo dalla volontà di smarcarsi dal passato e da quello che era ritenuto il suo interprete principale, il PD.

Un movimento, i 5S,  simile ad un bruco. Tante gambe e poca testa.

Una vittoria voluta e cercata dalla sua leadership ma alla quale il movimento è arrivato impreparato, senza classe dirigente e con un gruppo di intellettuali di terza fila raccattati nell’estremismo inconcludente del secolo scorso.

E così, mentre Forza Italia attendeva il “che fare” da un Berlusconi impietrito perché preoccupato da ciò che i grilli i avrebbero potuto causare  alle sue aziende e il PD nel nuovo ruolo di vite coclea in permanente e definitivo avvitamento su se stresso, Matteo Salvini, con la sua indubbia rapidità di manovra ha colto immediatamente l’opportunità di intestarsi la vittoria occupando il vuoto di classe dirigente e di strategia del movimento.

E’ bastato provocare una reazione pavloviana sventolando un drappo rosso davanti ad un elettorato che aveva ormai maturato un’odio viscerale contro il PD e i suoi gruppi dirigenti, presenti e passati,  per avere campo libero.

Occupare il nido 5S è stato più facile del previsto.

Troppa differenza di peso politico, di capacità di movimento nelle istituzioni nazionali e non solo, di rapporto privilegiato con un blocco sociale di riferimento fortemente radicato nel nord produttivo.

I 5S sono arrivati al Governo del Paese senza alcuna capacità e possibilità di governarlo. Per questo si sono lasciati sedurre dalle scorciatoie di Salvini proponendo un “Contratto di Governo” che, nei punti per loro più importanti, accettavano, di fatto,  una declinazione al futuro al contrario delle proposte Salviniane che miravano solo ad allargare il consenso sulle proprie tesi in vista di una prossima contesa elettorale, non a risolvere alcunché. Il piano, è indubbiamente riuscito soprattutto perché mentre l’opposizione intera si è occupata del dito (le stranezze o le dichiarazioni dei  5S) Salvini si è occupato della luna trasformandosi nel leader di un disagio che ha radici profonde e diffuse.

Chi non ha mai abbandonato lo sguardo dal problema principale è stato il nostro Presidente Sergio Mattarella. Fortunatamente.  In questo sorretto non solo da una fetta comunque significativa dell’opinione pubblica ma anche da quella parte di società civile non solo del nord che ha scelto la Lega per il buon governo locale, il fisco opprimente, la necessità di mettere sotto controllo la spesa pubblica ma anche per la paura del cambiamento indotto dalla globalizzazione e dai nuovi modelli di  competizione.

Una pezzo di società che non ama né una destra proiettata verso avventure ad alto rischio economico e sociale né una sinistra che preferisce continuare a farsi del male da sola gelosa di ciò che è stato ma poco credibile per il futuro.

Questa parte importante della nostra comunità vuole restare in Europa pur pretendendola diversa, chiede  però più sicurezza, più solidarietà concreta e punta contemporaneamente a modelli collaborativi con il mondo del lavoro per competere sui mercati.

Dario Di Vico con il suo consueto pragmatismo lo ha  chiamato il “Partito del PIL”. E’ una scelta, a mio parere, senza alternative. Dovrebbe coinvolgere tutti coloro che hanno a cuore il futuro del nostro Paese. Gianfranco Rotondi, ormai assurto al ruolo di maître à penser social, ha parlato della necessità di una Woodstock degli europeisti convinti.

C’è un Paese che non vuole avventure né ritorni indietro. Non vuole, però, riedizioni di Forza Italia o del PD. Cerca altro. E lo cerca presto.

I sovranisti nostrani, e non solo, hanno messo le loro carte sul tavolo. Adesso tocca a chi non le condivide. Altrimenti oltre alla figura dei CuCù che faremmo tutti noi ne pagheremmo pure le pesanti conseguenze.

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