Flavio Cattaneo se ne va. Ha risanato la Tim quindi ha concluso la sua missione. Difficile pensare che a 54 anni resti disoccupato a lungo. I risultati parlano per lui.
Non ci sarebbe nulla di strano se la vicenda si concludesse con una stretta di mano, un comunicato congiunto e un congruo assegno che consenta al top manager di mantenere il proprio tenore di vita fino ad una nuova sfida professionale.
Per la quasi totalità dei manager italiani questo è l’epilogo previsto dallo stesso contratto nazionale. Ci sono però le eccezioni: alcuni super manager. Loro si autoescludono da questi schemi. A mio parere, esagerano e andrebbero contenuti ben più severamente. L’accettazione di un incarico da parte loro è quasi sempre preceduta dalle richieste di avvocati super specializzati che prevedono, nella stesura del contratto, tutte le opzioni possibili.
Quindi oltre allo stipendio possiamo trovare welcome bonus, i cosiddetti bonus di benvenuto che, nel caso di Cattaneo sembrerebbe ammontare a 2,5 milioni, benefit sostanziosi di vario genere legati allo status e ai risultati di ogni esercizio e infine tutte le clausole rescissorie con le relative contropartite. Tutto questo anche per evitare qualsiasi contenzioso finale. Sopratutto consente quella “clausola di riservatezza” assolutamente necessaria quando si opera a certi livelli.
Molti, tra i sostenitori dello status quo, ritengono che questi accordi (tra privati) si raggiungono solo con il consenso di entrambe le parti e quindi, sono assolutamente legittimi e non rappresentano alcun problema. Gli oppositori, al contrario, pensano che certe cifre siano comunque fuori luogo anche quando sorrette da risultati eccezionali.
Il caso di Flavio Cattaneo va oltre il caso in sé ed è interessante per una serie di motivi. Innanzitutto, bisogna dirlo in premessa, non siamo in presenza di un bonus erogato comunque pur in presenza di performance negative. Anzi. I dati a disposizione dicono l’esatto contrario. È proprio questa razionalità positiva che, a mio parere, lo rende discutibile quindi ancora di più “irrazionale”. Purtroppo, ed è vero, c’è chi lo ha preso comunque anche in presenza di performance gravemente negative ma quello, a mio parere, è più paragonabile ad un tipo di reato conosciuto: il “furto con destrezza”.
In secondo luogo l’ingresso in Tim risale a soli sedici mesi fa e il piano da lui presentato fissava in almeno tre anni il tempo necessario per il turn around. Infine il record della cifra in sé rappresentato dal rapporto tra l’entità dell’importo e il tempo trascorso in azienda. Qualcuno ha fatto i conti traducendolo in circa 65 mila euro al giorno. Irraggiungibile.
Quindi una realtà come Tim è stata risanata nella metà del tempo concordata con l’azionista. E qui sta la mia prima perplessità. La qualità della valutazione di partenza.
In altri termini sarebbe interessante capire chi ha valutato così complessa e difficile la situazione di un’azienda di queste dimensioni da rendersi necessario un piano su di un arco di tempo, poi dimezzato. Su quali numeri si basava?
E, se i margini a disposizione erano così ampi, visti i risultati, Il corrispettivo concordato non è forse da ritenersi oggi, da entrambe le parti, eccessivamente generoso?
Il risanamento di un’azienda non è una corsa in pista dove conta arrivare prima. È una maratona. Occorre saper dosare le forze per arrivare in fondo. Conosco molte aziende che non accettano facilmente risultati che si discostano (anche positivamente) da previsioni concordate in sede di budget. E spesso i loro manager vengono giudicati negativamente dai rispettivi CDA.
Quindi, se le cose stanno come si legge sui quotidiani, Tim sembra che fosse in una situazione diversa (o almeno con maggiori opzioni a disposizione) di come poteva apparire all’arrivo di Cattaneo. O che presentasse margini di manovra ben più ampi. Forse qualcuno dovrebbe risponderne perché oggi, a seguito di quelle valutazioni, l’azienda è chiamata ad un esborso straordinario. Infine l’entità economica della risoluzione del rapporto di cui scrivono i giornali.
Che sia corretta sul piano di ciò che era previsto negli accordi mi sembra fuori discussione. Quindi se fosse una disputa tra ragionieri saremmo a posto. Sommessamente aggiungo però che chi l’ha concordato, a nome e per conto dell’azienda, mi sembra lo stesso soggetto, diciamo di manica piuttosto larga, che ha giudicato molto più grave la reale situazione economica dell’azienda al momento dell’arrivo del nuovo CEO. Tanto da rendere necessario un bonus stratosferico legato a risultati e tempi di realizzazione medio lunghi.
Personalmente credo che, comunque la si voglia vedere, l’importo, se confermato, sia fuori da ogni logica. Tim è certamente un’azienda privata che (in teoria) può fare quello che vuole però il suo CDA non può pensare di non essere giudicato da un punto di vista etico per questo. Ma inevitabilmente anche lo stesso Cattaneo.
Certi importi non testimoniano la libertà dei manager e delle imprese ma solo la degenerazione di un sistema in disfacimento. Ai top manager, che occupano posizioni di rilievo nella nostra economia, non può essere consentito di fare contratti dove sono chiari (e spesso garantiti) i soli benefit lasciando le eventuali conseguenze negative, sempre possibili ai soli azionisti o ai dipendenti (manager e lavoratori). Troppo facile.
Così come chi pagherà in futuro per eventuali conseguenze negative, su Tim stessa, derivate da scelte che nel breve possono apparire corrette ma nel lungo dimostreranno di esserlo molto meno. In molti contratti paracadute, in molti bonus dei top manager, si legge chiaramente il prevalere del tornaconto personale che a volte solo apparentemente coincide con l’interesse dell’azienda nel medio lungo periodo.
Questo è il punto. Nelle aziende ci sono centinaia di manager (dirigenti e quadri) che devono rispettare obiettivi, coinvolgere i propri collaboratori, essere agenti del cambiamento. Soprattutto credere che i loro top manager siamo preoccupati quanto loro dell’azienda di oggi e di domani. Non solo di se stessi. Ecco perché non ha senso dividersi in cinici realisti e moralisti.
Bisognerebbe, al contrario, dividersi tra chi si ferma davanti alla realtà solo per prenderne atto e chi guarda lontano.
Leonardo Becchetti fa bene a ricordarci che anche Ramsete, il grande Faraone egiziano pensava che Mosé fosse un noioso moralista. Abbiamo visto come è andata a finire..