A Chia Laguna in Sardegna si celebra ogni anno una sorta di Woodstock del terziario associato. Meno nota dell’appuntamento di Cernobbio che resta un appuntamento più politico e istituzionale, vicino a Cagliari, la Confederazione che vanta il numero più alto di imprese iscritte si interroga al proprio interno sul contesto economico, sociale e mette a terra la strategia necessaria per affrontare l’anno che verrà.
Quasi 800 persone provenienti da tutto il Paese ascoltano le testimonianze degli esperti invitati alle tavole rotonde, ne discutono le tesi, vivono insieme due giornate intense che consolidano i rapporti associativi e consentono di condividere esperienze e progetti.
L’appuntamento non ha alcuna eco esterna, non ci sono giornalisti presenti e, forse per questo, consente di percepire, più che altrove, la consistenza di quell’impasto di umanità, professionalità e impegno quotidiano che costituisce la colonna vertebrale della Confederazione. Qui forse più che altrove, si cerca di ascoltare, proporre e osservare il mondo per quello che è anche quando rende evidente i limiti e la fatica della rappresentanza.
Il tema delle chiusure domenicali non poteva non animare un confronto acceso tra rappresentanti delle federazioni e delle associazioni territoriali per come è stato posto dall’agenda della politica. E’ un dibattito difficile tra chi vorrebbe ritornare a ben prima delle liberalizzazioni e chi cerca di individuare una soluzione praticabile.
E’ chiaro che l’uscita di Federdistribuzione del 2011 ha lasciato il segno in molti territori. Personalmente credo non abbia fatto bene né a loro né a Confcommercio che si trova inevitabilmente più sbilanciata nel confronto interno. Non è facile, e questo va detto, gestire un confronto equilibrato in una Confederazione che associa alcuni tra i più importanti giganti del web, imprese e gruppi della GDO, rappresentanti dei piccoli esercizi e federazioni che hanno subito una moria di associati impressionante.
Assistervi è comunque un privilegio perché fa emergere e comprendere asprezze, diffidenze, rancori di chi fa impresa.
E’ un confronto vero. Confcommercio avendo sempre sostenuto il pluralismo distributivo si è trovata spesso in contrasto, a livello locale, con i progetti di espansione della grande distribuzione.
Ma questo non ha impedito una convivenza competitiva tra la rappresentanza della grande distribuzione e i rappresentanti del commercio tradizionale. La dialettica anche accesa che pure ci è sempre stata, ci consegna però oggi un comparto complessivamente indebolito. Diverso da quello che, nel 2011 aveva provocato la separazione.
Il CCNL di settore che non c’è ancora, l’interlocuzione istituzionale è debole e frammentata, l’autorevolezza del comparto si è ridimensionata. Inoltre una avversione nei confronti della GDO è indubbiamente cresciuta. Quindi la divisione non ha pagato. Se non si parte da qui non si capisce come uscirne. Il primo passo non può che essere quello di parlarsi e recuperare un minimo di unità di azione.
“Marciare divisi per colpire uniti” mi sembrerebbe un buon punto di partenza. Le diverse associazioni, almeno sul terreno delle chiusure festive, dovrebbero trovare un punto di mediazione comune. Assistere al triste spettacolo di aziende che vanno per conto loro, regioni più o meno sensibili ad approvare le chiusure proposte o a doversi inventare zone turistiche dedicate, non porterebbe da nessuna parte. Così come lasciare spazio agli estremisti di entrambe le tesi.
Occorre lavorare per una soluzione condivisibile pena il lasciare alla politica la decisione finale. E non sarà una decisione irrilevante per chi fa impresa. L’onorevole dei 5S Massimiliano De Toma ex presidente di Federmoda a Roma presente al dibattito oltre a ribadire con forza la posizione del suo movimento ha annunciato che le audizioni previste sul tema sono ben 45. Un dato di per sé incredibile.
Ad horas servirebbe una posizione convergente delle principali associazioni che non c’è ancora. E questo non è un bene vista anche l’intransigenza della politica nel voler legiferare sul tema in senso dichiaratamente abolizionista.
Carlo Sangalli, Presidente di Confcommercio ha ribadito anche oggi che: “Occorre trovare un punto di equilibrio tra le esigenze dei consumatori, la libertà di scelta delle imprese e la giusta tutela della qualità della vita di chi lavora nel mondo del commercio”.
Una posizione indubbiamente molto difficile la sua. Una parte della base associativa preme per scelte più radicali più in sintonia con gli abolizionisti. Questo è certamente un momento molto delicato.
I fautori della decrescita felice hanno ripreso vigore e attaccano proprio sui consumi, prima scatenandosi contro il rapporto a monte con l’agricoltura, poi inventandosi inutili salassi economici sui sacchetti bio e infine mischiando in un crescendo rossiniano diritti dei lavoratori, unità delle famiglie e utilizzo del tempo libero.
E tutto questo in un contesto economico di difficoltà dei consumi, di rischi di aumento dell’IVA, di innovazione e cambiamenti profondi del retail e di squilibrio competitivo con i giganti della rete. Quindi il rischio di finire in un vicolo cieco che non gioverà né ai grandi né ai piccoli è molto forte.
E’ il momento di mettere in campo pazienza, buon senso e capacità negoziale. Doti che non dovrebbero mai mancare ai leader delle associazioni di rappresentanza.