Riflessioni sulle leadership…

Tweet about this on TwitterShare on FacebookShare on LinkedIn

L’assemblea annuale di Confcommercio, al di là dell’attualità dei contenuti proposti dalla  relazione, ha riportato sotto i riflettori l’importanza della leadership nelle dinamiche politiche e sociali attuali.

La standing ovation finale riservata al Presidente Carlo Sangalli dal “suo popolo” ne ha segnalato plasticamente l’attualità e l’importanza . Lo stesso Carlo Calenda (indubbiamente un leader di nuovo conio e spessore) che aveva recentemente duettato con Vincenzo Boccia nella assemblea di Confindustria si è misurato, con diversa considerazione, sia con la platea attenta ed esigente di Confcommercio che con il “suo” Presidente cogliendone la differenza sostanziale tra i due mondi.

Ryszard Kapuściński, scrittore polacco autore dell’interessante “In viaggio con Erodoto”, racconta che T.S. Eliot nel saggio su Virgilio del 1944, mette in guardia contro un tipo particolare di provincialismo, quello del tempo.

“Nella nostra Epoca in cui la gente tende sempre di più a confondere la saggezza con il sapere e il sapere con l’informazione, e in cui cerca di risolvere problemi esistenziali in termini meccanicistici, nasce un nuovo tipo di provincialismo che forse merita un nome nuovo.

È un provincialismo relativo non allo spazio bensì al tempo, che considera la storia una pura e semplice cronaca degli accorgimenti umani i quali, una volta compiuta la loro funzione, sono finiti nella spazzatura. Un provincialismo secondo il quale il mondo sarebbe una proprietà esclusiva dei contemporanei dove la continuità con il passato non esiste. Dove l’esperienza non detiene quote di mercato.

Conclude Kapuściński: “Esistono quindi i provinciali dello spazio e i provinciali del tempo. Basta un mappamondo per dimostrare ai primi quanto siano ciechi e fuorviati dal loro provincialismo; basta una pagina di storia per dimostrare ai secondi che il presente è sempre esistito”.

Vecchie e nuove generazioni si sono sempre affrontate per poi passarsi, al momento giusto, il testimone. Nella politica, l’età non è mai stata, di per sé, un’elemento di garanzia. Anzi. L’età non conta, ad esempio, per Bernie Sanders, senatore del Vermont dal 2007 che con i suoi 76 anni nella corsa alla Casa Bianca è riuscito a trascinare l’entusiasmo dei giovani democratici americani.

Oppure per James Corbyn che ha conquistato il Labour Party dopo i 65 anni in alternativa agli eredi di un mostro sacro del revisionismo socialdemocratico come il giovane (a suo tempo) Tony Blair ed è riuscito a rimontare in modo impressionante su Theresa May.

Giovani e meno giovani se le sono sempre cantate e suonate. Quando il democristiano Mariano Rumor lancia “Terza Generazione”, ad esempio, era poco più che trentenne così come quando Forlani, De Mita o Craxi, sotto i quaranta, tentarono, a volte con successo, altre volte meno, di scalare i rispettivi partiti hanno sempre posto al centro anche la questione generazionale. Con tutta la strumentalità del caso.

Per non parlare del mondo delle imprese dove i passaggi generazionali sono a volte traumatici e spesso mettono a rischio migliaia di posti di lavoro. Marco Bentivogli della FIM CISL con una dura quanto azzeccata metafora sui cosiddetti “figli di papà” trasmette un sentimento purtroppo diffuso: “I padri, pancia a terra in officina mentre i figli pancia al sole a Formentera”. Non è sempre così, fortunatamente.

La giovane età, in sé, non è mai stato un fattore di successo. Anzi, aver vissuto solo il presente non abilità ad alcuna corsia preferenziale per affrontare il futuro. L’esperienza, la capacità di non farsi abbagliare dal nuovismo e di saper dosare e affrontare i rischi di una decisione sono fondamentali per chi ha ruoli di leadership vera.

Un altro elemento determinante che non ha alcuna relazione con l’età è la capacità di parlare al cuore della propria gente più che alla testa, tipica dei leader consumati. In tempi di imbonitori e di venditori di fumo cinici e spregiudicati l’aver vissuto e condiviso storie personali ed esperienze di vita fa ancora la differenza. E questa non si improvvisa.

Oggi in politica, nelle associazioni e nelle imprese c’è, al contrario, carenza di leadership vere, forti e visionarie. C’è spesso una esagerata presenza sui media, tanta comunicazione unilaterale, scarsi risultati concreti. In questo modo, però, le leadership si logorano velocemente e indeboliscono le loro organizzazioni o i movimenti che le esibiscono.

La disintermediazione assume una sua ragion d’essere anche a causa di queste fragilità. Ed è stata ridimensionata  nel nostro contesto anche perché si è trovata di fronte movimenti radicati e leader riconosciuti.

Eppure le leadership longève restano punti di riferimento fondamentali in una società complessa. Napoleone definiva i leader “commercianti di speranza”. Io la trovo una definizione stupenda. I grandi imprenditori o i manager di imprese globali guidano, ingaggiano e trascinano migliaia di persone pur di differenti nazionalità e radici indicando strategie, unificando linguaggi e culture. Questo è possibile solo coinvolgendo i propri collaboratori attraverso momenti specifici, forme sofisticate di comunicazione e sapendo creare momenti di condivisione collettiva.

Nonostante questo le aziende sono però molto meno complesse delle associazioni di rappresentanza e dei partiti, che, a differenza delle imprese stesse, devono (necessariamente) fare i conti anche con il consenso democratico, quindi con opinioni diverse, correnti organizzate, localismi, gruppi di interesse che rendono le leadership ancora più determinanti per governarli.

Da qui nasce l’importanza delle squadre che si costruiscono intorno alle leadership che ne possono potenziare ruolo e carisma oppure offrirne una immagine a volte inconsistente o sbiadita. Per queste ragioni le grandi organizzazioni politiche e sociali tendono a creare rapporti di fiducia e di stima nel tempo nei confronti del proprio leader oltre la qualità delle squadre di vertice stesse. È questo che da la cifra del loro successo.

Le  leadership vere ciascuno se le tiene strette riproponendole nel tempo. Peter Duker ci ricorda che “I leader più in gamba non pronunciano mai la parola io. Non lo fanno non perché si sono esercitati a non dire io ma perché, semplicemente, non pensano in termini di io ma di noi, in un’ottica di squadra”. Ed è questo che crea fiducia, rispetto, identificazione e continuità nel tempo. Ed è quello a cui si è assistito e respirato nell’auditorium di via della Conciliazione intorno al Presidente di Confcommercio Carlo Sangalli.

Tweet about this on TwitterShare on FacebookShare on LinkedIn

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *