La chiusura del contratto nazionale gas e acqua segnala, ancora una volta, la volontà di seguire una traiettoria precisa che ha animato tutta la stagione dei rinnovi contrattuali in questa fase.
Restano ancora situazioni aperte che segnalano un disagio, sul fronte datoriale che non va sottovalutato. Soprattutto in vista dei prossimi rinnovi. Alcuni elementi comuni hanno caratterizzato questa fase.
Innanzitutto l’idea condivisa da entrambe le parti che i contratti nazionali possono mantenere una loro validità di base importante. Superarli significherebbe affidarsi inevitabilmente a produzioni legislative di dubbia utilità visto lo stato di divisione e di contrapposizione politica presente nel Paese o rassegnarsi a rischiose situazioni di dumping tra imprese.
Questo non significa che non vadano profondamente rivisitati o che non vadano individuate competenze e specificità da assegnare ai differenti livelli.
In secondo luogo questi rinnovi non sono stati determinati, in nessun comparto, dai rapporti di forza in campo. Dove ciò si è verificato i contratti non si sono ancora rinnovati.
Un altro elemento caratterizzante è stato il ruolo determinante e propositivo della stragrande maggioranza delle associazioni e federazioni datoriali. Condividere con le singole imprese (in assenza di pressioni significative e di bassa inflazione) la necessità di chiudere comunque i contratti, di farlo con tutto il sindacato confederale impegnandosi a condividere le soluzioni individuate, è stato un atto di lungimiranza.
Così come quello di evitare di contribuire ad innescare un disagio sociale che si sarebbe saldato con un evidente disagio politico già fortemente radicato nel Paese. La riflessione, adesso, si deve spostare sul futuro.
Questo perché non è pensabile ipotizzare una prossima tornata sulla falsariga di quella conclusa oggi. Una fase si è indubbiamente chiusa.
Tre termini con i quali dovremo misurarci sempre più spesso ne anticipano l’esigenza e ne accompagneranno il dibattito: personalizzazione, territorio, welfare.
Il fordismo contrattuale ci ha costretto a categorizzare il lavoratore. Dall’addetto alle pulizie, alla dattilografa al quadro fino ad arrivare ai dirigenti, il 900 ci ha raccontato che, al lavoro, siamo potenzialmente tutti uguali. Poi ci siamo accorti che alcuni sono diventati più uguali degli altri. E altri meno.
Le più svariate tipologie contrattuali hanno corretto, nel bene e nel male, quello che la rigidità degli schemi contrattuali classici non potevano consentire.
La stessa CGIL, in fondo, con la “carta dei diritti” assume essa stessa la necessità di spostare in capo all’individuo quelle tutele che il contratto non è più in grado, da solo, di rendere universali anche all’interno della stessa impresa o dello stesso luogo di lavoro.
La personalizzazione, però, ha due facce. Quella della garanzia di una serie di tutele di base che attengono alla dignità, al rispetto della persona e alla sua retribuzione ma anche quelle relative al suo percorso professionale. La crescita, le transizioni da un posto di lavoro ad un altro, il riposizionamento economico e lavorativo, la sua reversibilità, il merito, l’impegno, la condivisione dei risultati. Tutti argomenti che lo schema fordista non poteva prevedere.
In secondo luogo il territorio ritorna ad essere centrale. Temi come l’alternanza scuola lavoro, la formazione professionale e manageriale, le politiche attive, ecc. trovano la loro composizione all’interno dei singoli territori.
Come farlo, con che vincoli e con quali opportunità per le imprese e per i lavoratori non può essere solo materia da convegni.
Infine il welfare. Argomento centrale. La crisi e quindi il necessario superamento dei cicli di vita su cui abbiamo costruito i sistemi di protezione sociale pubblici e privati del novecento è ormai evidente.
È vero che questi sono temi che necessariamente travalicano i contratti nazionali ma, all’interno degli stessi sono state individuate, nel tempo, risposte integrative che, se non alimentate e gestite correttamente, rischiano di trasformarsi in un boomerang difficile da governare sia in termini di costi che di reali benefici.
Quindi tre temi prioritari che necessitano approfondite riflessioni propedeutiche ai futuri rinnovi contrattuali.
Alcuni di questi temi sono entrati, seppure parzialmente, negli ultimi rinnovi. Altri saranno sviluppati attraverso gli impegni assunti reciprocamente agli stessi tavoli negoziali. Altri ancora necessitano di una visione che travalica le singole categorie.
L’ampiezza e la profondità della riflessione dipenderà dalla volontà e dalla capacità delle parti di scommettere, o meno, sulla qualità delle relazioni sindacali.
I rinnovi che abbiamo alle spalle ci confermano un approccio unitario positivo e costruttivo del sindacalismo confederale e una risposta delle organizzazioni datoriali altrettanto pragmatica ed efficace.
Per i prossimi rinnovi non credo sia sufficiente una dose, più o meno significativa, di buona volontà. Occorrerà, per tempo, decidere la direzione di marcia.