Per il momento sulla certificazione della rappresentanza non c’è nulla in dirittura d’arrivo. I sindacati confederali hanno fatto le loro proposte mentre le associazioni datoriali, chi più, chi meno, non sembrano intenzionate a fare un passo in avanti. I CCNL sono passati in sette mesi da 888 a 909 di cui il 54% scaduti. Secondo il CNEL almeno nove milioni di lavoratori hanno il contratto in scadenza.
Un’ambiguità di fondo caratterizza questa reticenza. Un accordo presupporrebbe una maggiore trasparenza. Sul reale numero degli associati e su come contarli, sul peso nei diversi sotto settori, sulle entrate e sulla loro finalizzazione. Numeri che non tutti sono disposti a mettere sul tavolo. È quindi molto probabile che, al di là delle parole, anche la prossima stagione contrattuale si svolga nel solco della tradizione.
Non essendoci coperture nella legge di bilancio non credo ci potranno essere defiscalizzazioni o decontribuzioni collegate ai rinnovi stessi. Quindi il Governo si terrà a debita distanza. Semmai, alla prima occasione, rilancerà il tema del salario minimo come panacea della palude delle accuse reciproche in cui rischiano di finire i rinnovi stessi.
Come nelle stagioni migliori è toccato ai metalmeccanici aprire le danze. Una piattaforma certamente meno brillante e innovativa di quella che l’ha preceduta tenta comunque di rompere il freddo intenso che sta calando sul rapporto tra le parti sociali. Nonostante il fiume di parole che annuncerebbero il contrario. In questi mesi sono state molte le occasioni di convergenza e di possibile intesa. La sostanza però resta un’altra.
È vero la crisi dell’automotive e dei consumi non aiuterà ma quello che si comincia a percepire è che si sta aprendo un varco sempre più netto tra ciò che la rappresentanza concorda e costruisce nei contratti e i comportamenti delle rispettive basi di riferimento. Imprese e lavoratori sembrano ormai viaggiare su lunghezze d’onda differenti rispetto alle indicazioni concordate dai loro rappresentanti.
In altre parole è ormai evidente che ciò che viene concordato nei contratti, nella migliore delle ipotesi, viene gestito direttamente dalle imprese coinvolgendo i propri lavoratori ma escludendo, laddove se ne può fare a meno, lo stesso sindacato. La verifica sugli impegni dell’ultimo rinnovo del contratto dei metalmeccanici ne rappresenta uno spaccato interessante.
Sui temi centrali dal ruolo della contrattazione aziendale, della produttività, al diritto soggettivo alla formazione fino alla necessaria evoluzione dell’inquadramento professionale le imprese sono andate avanti rispettando il contratto ma tenendo però a debita distanza il sindacato nelle sue articolazioni.
Hanno interpretato in chiave aziendale il senso di quanto concordato. I superminimi aziendali e le job description hanno riparato il vetusto inquadramento professionale, la formazione aziendale è stata programmata in modo significativo, la contrattazione aziendale è stata sostituita da un approccio meritocratico con valutazioni oggettive.
È così mentre si continua a misurare con assoluto tempismo il tasso di disintermediazione della politica rispetto ai corpi intermedi si sottovaluta un meccanismo ben più efficace che sta escludendo il sindacato dalla vita delle imprese e assegna al sistema della rappresentanza datoriale il compito di neutralizzarne il ruolo cogliendone l’essenza delle sue proposte nei contratti nazionali. Non certo gli impegni di coinvolgimento.
Lo stesso sindacato sta sottovalutando questa deriva. Continua a leggerla con occhiali vecchi. L’idea che lo pervade è che si possano innovare i contenuti delle richieste ma non gli strumenti. E’ un po’ il limite di quest’epoca. Pensare di poter fare cose nuove con vecchi strumenti.
Contrattare la partecipazione è già di per sé un ossimoro. Mettere la persona al centro con un’impostazione culturale che ha sempre sacrificato le esigenze dell’individuo al contesto nel quale è inserito è molto difficile. Le imprese sono più avanti nella gestione delle persone e non intendono attendere che il sindacato colmi i propri ritardi.
Quindi il modello contrattuale che si sta affermando assegna ai rappresentanti dei lavoratori il compito di partecipare alla definizione del quadro di riferimento, verificarne l’attuazione, gestire il welfare contrattuale e di governarne le contraddizioni sul piano occupazionale. La persona la sua crescita professionale, il suo livello di contribuzione e di coinvolgimento alla vita aziendale non è ritenuta materia sindacale. Almeno per le imprese.
Marco Bentivogli, leader della FIM, dovrà affrontare un paradosso. Da una parte non può rinunciare al merito comune di aver contribuito ai risultati importanti che il vecchio contratto ha comunque prodotto per i lavoratori e, dall’altra dovrà affrontare e recuperare quella diffidenza delle imprese sulla capacità/volontà del sindacato di interpretare unitariamente un ruolo nuovo.
L’importanza del CCNL dei metalmeccanici sta in fondo tutta qui. Capire che oltre ai contenuti occorre modificare strumenti, linguaggi e comportamenti. E fidarsi reciprocamente. Altrimenti le soluzioni verranno affidate esclusivamente ai rapporti di forza.
E questo rischia solo di allungare i tempi, aumentare i costi e peggiorare i contenuti. Come sempre.