Risiko sindacale o “rosico” sindacale…

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L’accordo in FCA tra FIM CISL e il sindacato dei quadri AQCF è certamente un passo importante verso un nuovo modello di rappresentanza. Il secondo passo sarà costituito dalla necessità di individuare un diverso equilibrio tra i valori e i principi del sindacalismo confederale e un nuovo modello di “sindacalismo aziendale all’italiana” che sarà comunque destinato ad affermarsi nei prossimi anni. È un passo decisivo che dovrà consentire di evitare il sorgere di una “micronesia” di strutture isolate, non comunicanti ma soprattutto sorde ad una visione solidaristica e generalista tipica dei corpi intermedi di natura confederale in una comunità nazionale che deve comunque dotarsi di pesi e contrappesi politici e sociali per crescere in modo quanto più equilibrato possibile e affermarsi in un mondo sempre più globalizzato. Le reazioni sono state generalmente caute. Soprattutto da FIOM e UILM impegnate in una difficile opera di ricucitura in vista dello sciopero della categoria. Non condividere la scelta della FIM è legittimo. L’uscita su Italia oggi, del segretario generale del FISMIC, Roberto di Maulo, mi sembra, al contrario, fuori luogo. Il modello di sindacalismo aziendale costruito, a partire dagli anni 50, dalla FISMIC non c’entra nulla con la necessità di creare un nuovo sindacato confederale che sappia tenere insieme il nuovo mondo del lavoro indipendentemente delle vecchie categorie professionali mutuate dal secolo scorso o dai comparti merceologici. Oggi FCA produce, anche, automobili. Ma fa molte altre cose che tradizionalmente apparterebbero ad altri mondi, gli stessi confini tra attività industriali e terziarie in una logica di filiere e piattaforme globali cambiano e si integrano. Per questo è necessario un sindacato che superi i confini del passato. L’unità dei sindacati moderati proposta a suo tempo dalla FISMIC era, di fatto, solo tesa ad isolare la FIOM. Non c’entra nulla con la ricerca di un modello nuovo di sindacato confederale. E questa ricerca non dovrebbe escludere a priori nessuno, FIOM compresa. Semmai qualcuno si chiamerà fuori libero di perseguire altre strategie. Quello che mi stupisce è perché la FISMIC anziché “rosicare” e imprecare contro il supposto protagonismo altrui non rifletta sulla profonda differenza tra un sindacato che si è dovuto dividere per decidere e quindi tutelare i propri rappresentati in una particolare fase storica da un sindacato che deve riuscire a ricomporre l’intera filiera del lavoro per rappresentarla e proporsi in una nuova chiave collaborativa e quindi partecipativa. Davanti a questo bivio non c’è solo la vecchia sinistra sociale e sindacale che può decidere liberamente di perseguire la propria irrilevanza nelle imprese e nella società o le formazione “storiche” del sindacalismo aziendale come la FISMIC. C’è l’intero sindacato confederale. Per questo la proposta di Federmeccanica segna uno spartiacque che va oltre le differenze sul salario o sul decentramento della contrattazione. L’associazione delle aziende metalmeccaniche pone innanzitutto una sfida culturale. Respingerla è facile. Fermarla è impossibile. Va colta fino in fondo, se si hanno idee e proposte, per evitare di subirla. Anche in FCA c’era chi pensava fosse facile respingere le proposte di Marchionne al mittente. Abbiamo visto come è andata a finire.

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