Vista la reazione un po’ moscia seguita alla firma del contratto nazionale dei metalmeccanici nelle Confederazioni sindacali e in quelle datoriali il titolo dell’ultimo libro di Giuseppe Sabella (Rivoluzione Metalmeccanica Ed. Guerini e Associati) potrebbe sembrare eccessivo.
Il termine di “Rivoluzione” forse può spaventare. Soprattutto in un mondo paludato e poco portato ai cambiamenti profondi come quello delle relazioni industriali del nostro Paese. Personalmente lo trovo azzeccato.
Se togliamo settori protetti e quindi non giudicabili come il pubblico impiego (allargato) sono rimaste sostanzialmente due categorie importanti dove le dinamiche sindacali esercitano ancora un ruolo in linea con la loro storia: i chimici e i metalmeccanici.
I primi riformisti e collaborativi (unitariamente) da sempre e per scelta, i secondi in cerca di una nuova identità da costruire sulle macerie del ciclo precedente che si è andato via via spegnendosi incalzato dalle ristrutturazioni e dalle riorganizzazioni aziendali imposte dalle crisi che si sono succedute dalla metà degli anni 90 in poi.
Una categoria in cerca di una nuova identità che non ha scelto di ripiegare su se stessa nella nostalgia di un “decennio irripetibile” ma di interpretare ciò che ci ricorda Marcel Proust e cioè che “Il vero viaggio di scoperta non consiste nel cercare nuove terre, ma nell’avere nuovi occhi”.
E di farlo insieme cercando di trovare ragioni e convenienze comuni che permettessero di mettere da parte (non di dimenticare) tensioni e difficoltà che altrimenti avrebbero impedito qualsiasi conclusione del percorso.
Federmeccanica, e gliene va dato atto, è stata determinante non per rimettere banalmente insieme i tre sindacati, ma per il livello e la qualità della sfida lanciata. E, soprattutto, per essere riuscita ad ingaggiare anche le sue imprese su un terreno non facile da metabolizzare.
Giuseppe Sabella, autore del libro, è stato molto bravo a decidere di percorrere una intera storia fatta di uomini e avvenimenti in mancanza della quale la conclusione di questo contratto potrebbe essere male interpretata.
E non è un caso che gli estimatori della svolta, a parte le imprese e i lavoratori del settore che lo hanno approvato a larghissima maggioranza, sono sostanzialmente estranei al ristretto mondo delle relazioni industriali tradizionali avvezzo alla continuità e non alla discontinuità. E soprattutto poco avvezzo a riconoscere i meriti altrui…
Sabella ci ricorda con particolari interessanti il clima, la fatica, la drammaticità di scelte e la qualità degli uomini che le hanno compiute in situazioni politiche e sociali oggi, per molti, inimmaginabili. Una storia che, senza il contributo fondamentale dei metalmeccanici, avrebbe preso, forse, ben altre strade.
Una storia di conquiste ma anche di errori che l’autore non omette riuscendo in questo modo a sottrarre questo libro dalla retorica sessantottina che caratterizza quasi tutta la produzione letteraria sull’argomento.
Togliere sacralità al contratto nazionale, spostare il baricentro negoziale laddove la ricchezza si crea concretamente, investire in un welfare integrativo e nella formazione è stata una operazione complessa perché si è posta l’obiettivo di creare una nuova cultura nel sindacato e nelle imprese.
Una cultura, come sottolinea con forza l’autore, che scommette sulla responsabilità delle persone più che sulle regole. Questa mi sembra la vera novità da sottolineare. Per questo il “trio Metal” (Bentivogli, Landini e Palombella) esce sicuramente rafforzato da questa prova.
Marco Bentivogli lo sottolinea quando afferma che: “c’è la consapevolezza, in alcuni più avvertita, in altri presente forse solo in embrione, che sia ormai tempo di lasciarsi alle spalle un modello che non tiene più, per far posto ad un modello fondato sulla cooperazione, nella loro autonomia, tra le parti e un forte tentativo di rigenerazione delle relazioni industriali”.
Così come Fabio Storchi, Presidente di Federmeccanica, che lascia al suo successore un impegno vero sintetizzato così: ”Concetti come centralità del lavoro e della persona, condivisione degli obiettivi e dei rischi, partecipazione attiva, fabbrica a misura d’uomo, entrano così a pieno titolo nel lessico dell’industria italiana considerata nella sua totalità e, dunque, senza distinzione tra datori di lavoro e organizzazioni sindacali”.
È indubbio che Giuseppe Sabella, con questo libro non ha solo intuito la presenza di nuovi protagonisti sulla scena che inducono a pensare che il sindacato, pur provato da mille battaglie, da vittorie e da sconfitte, continui a mantenere una sua vitalità e una sua visione riuscendo a trovare sempre, dentro se stesso, i valori e gli uomini destinati a viverli concretamente ma ha anche indovinato il titolo del libro perché questo rappresenta, per la categoria, la volontà di tentare un salto di paradigma. Quindi una vera e propria “rivoluzione metalmeccanica”. Culturale, negoziale e strategica.