La partita che si gioca oggi nelle piazze non influenza minimamente l’esito del campionato. L’estremismo inconcludente e parolaio trascina nei suoi cortei e mostra a tutti anche una parte degli ultimi. Quelli che, ogni giorno, ci sforziamo di non vedere.
Però chi li dirige non è uno di loro. Ultra garantiti del settore pubblico e parapubblico e vecchie glorie dell’estremismo sindacale d’antan guidano la protesta.
Obiettivi politici, totalizzanti, impossibili e onnicomprensivi, come sempre. Una grande confusione che nasconde l’assoluta mancanza di soluzioni possibili.
Per molti giovani bikers di Foodora il termine USB è più che altro associato ad una chiavetta da inserire nel PC mentre, per chi aderisce allo sciopero nazionale indetto proprio da questa sigla e dal variegato mondo del sindacalismo estremista ha ben altro significato.
Sono generazioni e mondi diversi. È però singolare la concomitanza dei due avvenimenti. Da una parte chi sta ottenendo “ben” 4 euro lordi a consegna. Dall’altra chi è riuscito a mettere insieme intoccabili del settore pubblico, marginali del lavoro dipendente, immigrati disperati inquadrati in cooperative di vario colore intrisi da una retorica buona per tutti. I primi, se va bene, avranno ottenuto di dare maggiore dignità alla cosiddetta gig economy con ben 7.20 netti all’ora, la possibilità di rivolgersi a riparatori di biciclette convenzionati e un’assicurazione se dovessero provocare danni a terzi per la fretta con cui saettano per la città. Nell’altro caso a detta degli stessi organizzatori lo sciopero è indetto con lo scopo di paralizzare il Paese.
C’è un po’ di tutto e di più nella protesta. “Per l’occupazione, il lavoro e lo stato sociale, contro le politiche economiche del governo Renzi dettate dalla UE; per la difesa e l’attuazione della Costituzione ed il NO al Referendum; per la scuola e la sanità pubbliche ed il diritto all’abitare; contro l’attuale sistema previdenziale e la controriforma Fornero, la riforma Madia, il jobs act, l’abolizione dell’art.18, la precarietà, l’attacco al Contratto nazionale; per il rinnovo dei contratti del pubblico impiego, per l’aumento di salari e pensioni, per il reddito, per la sicurezza sul lavoro e nei territori; contro le privatizzazioni, la deindustrializzazione, e per la nazionalizzazione di aziende in crisi e strategiche; contro la Bossi-Fini e il nesso permesso di soggiorno–contratto di lavoro; contro la guerra e le spese militari; per un fisco giusto senza condoni agli evasori; per la democrazia sui posti di lavoro ed una legge sulla rappresentanza che annulli l’accordo del 10 gennaio 2014.
Dietro questa sproporzione siderale tra le richieste e i risultati di cui dovranno accontentarsi i bikers torinesi e le rivendicazioni politiche dei cosiddetti sindacati di base c’è il nostro Paese.
Un Paese fragile, che rischia un declino vero mentre sembra sentirsi a proprio agio in una perenne assemblea di condominio sui media e nelle piazze dove a tutti è consentito di urlare la propria rabbia e il proprio dissenso ma a condizione che nulla venga risolto se non a danno del vicino. Su altri tavoli, ad esempio, i sindacati confederali dei metalmeccanici stanno cercando di rinnovare il loro contratto con passione e serietà, altri lo hanno già fatto e altri ancora seguiranno.
E le richieste sono innovative, compatibili e costruttive. Io credo che, ciascuno di noi, dovrebbe fare di più per scrollarci di dosso, questa parte del Paese inconcludente, parolaia, benaltrista e rancorosa. Proprio per voltare pagina, insieme. Anche perché, l’Italia insoddisfatta, non è tutta lì. Un’altra parte, ben più consistente vagola a destra o altrove nel nostro panorama politico.
A mio parere chi vuole un Italia diversa, positiva, accogliente, costruttiva e integrata in Europa è comunque la stragrande maggioranza del Paese. Possono stare a destra come a sinistra o in centro. Hanno scelto i sindacati confederali, le associazioni datoriali o mille altre realtà dove fare volontariato e impegnarsi per sé ma anche per gli altri.
Sono convinti che la solitudine e la mancanza di risposte credibili porti inevitabilmente chi non ha nulla da perdere in quelle piazze o ingrossi sentimenti di isolamento e quindi di rancore sociale. E li rende facili prede di strumentalizzazioni di ogni genere.
Chiedono solo di poter credere in una buona politica rinnovata e concreta che sappia indicare un percorso difficile ma credibile. Come i bikers di Torino che, in fondo, volevano solo risposte concrete, non dotte disquisizioni o convegni sulla natura del loro rapporto di lavoro. E l’azienda sembra averlo capito immediatamente. Adesso spetta ad altri consolidare e costruire un quadro di riferimento credibile per questi come altri nuovi mestieri.
Certo non tutti i bikers saranno soddisfatti. L’idea che si possa tentare un rilancio o ottenere di più sfruttando il momento propizio dell’unità e della protesta potrebbe anche prevalere. Ma il vero negoziatore sa che una forzatura nel momento di maggiore forza verrà pagata con gli interessi quando questa forza cambia segno.
E questo vale per tutti i negoziati. L’altra strada, quella praticata da molti dei marciatori odierni, è quella di fuggire dalla responsabilità di decidere e di scegliere dietro slogan del tipo: “diciamo basta, vogliamo tutto”. Ma un Paese non cambia dando poco a tutti o tanto a pochi ma dando il giusto a ciascuno.
E il giusto deve essere la Politica a determinarlo. Quindi, non ciascuno di noi chiuso nel suo particolare, ma tutti noi come parte della stessa comunità in cammino.