I segnali, purtroppo, ci sono tutti. Dalla lettera autogol dei sindacati della Reggia di Caserta, al tentativo della FIOM di rientrare in partita sorvolando sul fatto di essersi messa fuori gioco da sola nella vicenda FCA. Ma anche l’idea di presentare una piattaforma unitaria che, pur rappresentando un atto positivo in sé, per il suo valore simbolico, in mancanza di interlocutori interessati rischia di essere ricordato come un esercizio di stile fine a se stesso. Comunicare, come fosse un successo politico, l’incontro con la CONFAPI e la sua presunta disponibilità a proseguire il confronto di merito è un altro segno di grande debolezza. Così come l’irritazione di Gigi Petteni per il mancato coinvolgimento del sindacato sul decreto del Governo previsto per la prossima settimana in tema di detassazione dei premi di produttività. Da questi esempi sembra emergere da più parti una vera difficoltà del sindacato confederale a ridisegnarsi un ruolo propositivo e costruttivo in un contesto diverso dal passato. Dall’altra parte sia il ministro Poletti che il sottosegretario Nannicini in diverse occasioni hanno sottolineato la disponibilità del Governo a confrontarsi con le organizzazioni sindacali a fronte di proposte di merito in sintonia, ovviamente, con un percorso di rinnovamento delle relazioni industriali che sappia superare tutti i suoi limiti attuali. Nell’ultimo confronto tra Tommaso Nannicini, Marco Bentivogli della FIM e Marco Gay presidente dei giovani imprenditori di Confindustria il tema è emerso in tutta la sua portata. Non esiste alcuna volontà di emarginazione ma semmai esiste una indisponibilità a percorrere strade che non porterebbero da nessuna parte. Personalmente credo che il punto vero stia proprio qui. O le organizzazioni sindacali confederali unitariamente decidono di imboccare un percorso nuovo senza sommare le rispettive debolezza e senza nascondere i problemi sotto il tappeto o il rischio di auto condannarsi alla irrilevanza è molto concreto. L’esempio della FIOM è paradigmatico. Dura e pura, minaccia fuoco e fiamme ma non riesce a toccare palla. Sotto questo punto di vista il rinnovo del contratto dei metalmeccanici sarà un grande banco di prova. La tentazione in entrambe le delegazioni di utilizzare lo specchietto retrovisore è ancora forte e, ad alcuni di loro, suggerirà avvincenti scorciatoie, toni sopra le righe e metafore guerresche tipiche della tradizione classica. Ma quello che è successo in FCA e che rischia di succedere altrove è lì a dimostrare che solo dove esiste un sindacato che comprende la profondità del cambiamento in atto e lo accompagna nell’esclusivo interesse dei lavoratori c’è un futuro per la rappresentanza altrimenti c’è solo lo spazio per una sterile quanto miope difesa dell’esistente. Finché dura. Ma, come abbiamo visto, in questo contesto, è un atteggiamento che rappresenta solo l’altra faccia dell’irrilevanza.