Dobbiamo voler guardare avanti.

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La convinzione che nel nostro passato c’erano uomini (e donne) di grande valore di cui sentiamo l’umana mancanza è sicuramente condivisibile. Lo è meno se insistiamo con parallelismi improponibili. Se oggi ritornassero tra di noi i migliori dirigenti sindacali e politici del dopo guerra o della prima repubblica, a mio parere, verrebbero messi inesorabilmente in panchina. Vediamo la sorte che sta toccando al nostro ex Presidente Giorgio Napolitano. Invocato da tutti nel momento del bisogno, dimenticato o addirittura osteggiato dai più quando la politica ha cambiato priorità e convinzioni. È una legge inesorabile. Per quanto si creda il contrario è il contesto sociale, politico ed economico che modella le diverse tipologie di leadership e non viceversa. Le esalta o le appiattisce rendendole funzionali a sé. Ho imparato da tempo che, come ci ricorda il priore di Bose, “ogni stagione ha i suoi frutti”. Il sociologo Luca Ricolfi ci aveva già provato ad attaccare la leadership di Susanna Camusso, segretario generale della CGIL, proponendo una sorta di rievocazione nostalgica a favore dei sindacalisti della Cgil del passato, della loro leadership e della loro capacità di proposta e di mobilitazione. Anche Dario Di Vico ha manifestato una certa nostalgia auspicando una potenziale utilità contemporanea di Luciano Lama. Come se si potessero separare gli uomini dal contesto che li ha messi in luce. Non credo sia possibile. Inoltre, per quanto può valere, stimo Susanna Camusso con la quale ho negoziato e discusso accordi sindacali complessi in passato. Per come si è mossa la ritengo una leader riformista e capace che è riuscita a traghettare la Cgil dalla stagione degli accordi separati e dell’emarginazione a quella propedeutica a un nuovo percorso unitario. Ovviamente non condivido quasi nulla delle scelte politiche e sindacali di quella Confederazione ma questo non significa che io non sia in grado di comprenderne la qualità della leadership, la capacità di riposizionamento nel contesto dato, l’investimento sul rinnovamento delle risorse dell’organizzazione e l’apertura di un confronto positivo con Cisl e Uil dopo la nefasta stagione delle rispettive derive identitarie. Sicuramente lo ha fatto di più e meglio di altri se non altro perché lo ha dichiarato esplicitamente. Nel mondo non esistono più leader politici e sindacali di vecchia generazione, impiegabili oggi. È dunque il contesto che genera il profilo dei leader. Ad esempio Clinton e Sanders si confrontano da tempo ma oggi, il secondo ha nettamente oscurato il primo. Un tempo sarebbe stato semplicemente ridicolo pensarlo. Così come Corbyn rispetto a Blair. L’Europa in crisi di identità e alle prese con la globalizzazione non tollererebbe più un Kohl, un Adenauer, uno Spinelli o un Delors. Al massimo può rimpiangerli in qualche convegno. Oggi tocca ai leader “invisibili” e non eletti dai popoli come Yellen, Draghi, Lagarde. Sotto di loro i singoli capi di Stato e di Governo che ammortizzano le loro decisioni nei rispettivi Paesi con i Parlamenti ridotti sostanzialmente al ruolo di notai. Cosa dovrebbero fare i sindacati? Proporre scioperi generali a raffica come in Grecia o in Portogallo? O, al contrario, appoggiare acriticamente il Governo Renzi? Con il PD a pezzi, una parte della stessa CGIL sull’orlo di una crisi di nervi e l’opposizione politica in mano a Salvini e Grillo? E, non meno importante, con Cisl e Uil in una fase di evidente transizione sul piano organizzativo. Una auspicabile svolta unitaria e riformista non si improvvisa. Si costruisce. Certo il tempo a disposizione purtroppo non è molto ma la strada è segnata. Il Paese non può permettersi il declino dei corpi intermedi. Il giro di boa è rappresentato dal referendum di ottobre dove la vittoria del “SI” segnerà un chiaro spartiacque. E in vista di quella scadenza alcune “intemperanze disintermediatrici” del nostro Premier Renzi si affievoliranno lasciando spazio ad una maggiore consapevolezza sul ruolo dei corpi intermedi. Sia datoriali che sindacali. Se l’insieme delle parti sociali saprà cogliere l’importanza di questa nuova e indispensabile convergenza si creeranno le condizioni affinché ciascuno possa mettere in campo il proprio contributo. A meno che ci sia qualcuno che pensa che l’obiettivo di rendere più competitivo il nostro Paese, affrontarne i nodi gordiani che lo rallentano e portarlo definitivamente in Europa sia possibile farlo con un uomo solo al comando o con la semplice manutenzione delle regole che abbiamo oggi. Questo è il punto. Il confine tra riformisti e conservatori passerà da lì. C’è spazio per tutti. Soprattutto per chi vorrà giocare la partita.

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