Un aforisma attribuito a Robert Kennedy ricorda che “alcuni uomini vedono le cose come sono e si chiedono: “perché?” Altri, davanti alle stesse cose, si domandano: “perché no?”
Era il 27 novembre 1957 quando a Milano, in viale Regina Giovanna veniva inaugurato il primo supermercato italiano di Esselunga. Da viale Tunisia fino a Piazza 8 novembre e su fino a piazza Maria Adelaide di Savoia una folla festante che non voleva perdersi l’avvenimento si era accalcata fin dalle prime ore della giornata.
Esattamente come nei giorni scorsi all’inaugurazione di Starbucks a Milano. Nulla di nuovo o di eccezionale, quindi. Solo un avvenimento altrettanto importante per la nostra città. C’è chi partecipa e vive questi avvenimenti e chi rifiuta, per principio di attribuirgli un valore, un significato che vada al di là dell’avvenimento stesso. Come l’inaugurazione del nuovo Apple Center di piazza Liberty. Una Milano cosmopolita, aperta al mondo che attira investimenti, turisti, progetti e opportunità di lavoro. Esattamente come era successo con Esselunga nel 1957.
Matteo Salvini si è limitato ad un commento tipico di chi osserva il dito scambiandolo per la luna con un tweet: “Due ore di coda per un caffè da Starbucks? Ma nemmeno se mi pagano! Non ho parole…” il Codacons, al contrario, ha sparato a vanvera su di un particolare insignificante: il costo del caffè.
I “bacchettoni” e non solo, quelli che vorrebbero chiudere anche i supermercati tutte le domeniche si sono immediatamente scandalizzati perché, non riescono ad accettare tutto ciò che odora di multinazionali. Per tutti questi non c’è mai rispetto per le passioni o le preferenze altrui. Soprattutto se comprendono luoghi come McDonald’s, outlet o centri commerciali. Figuriamoci se poi gli investimenti sono stranieri.
Starbucks a Milano non ha aperto una semplice caffetteria. Nella nostra città è stato aperto un locale che non ha nulla in comune con gli altri sparsi nel mondo. E’ la prima torrefazione (Roastery) d’Europa. Una fabbrica, una azienda che produce caffè.
Oggi, nel mondo, il consumo di caffè è molto aumentato. Soprattutto grazie a piccoli artigiani e commercianti di diversi Paesi che hanno ricercato una differenziazione proprio per smarcarsi dalle grandi catene (Starbucks, mcCafè, ecc.) proprio sulla qualità dell’offerta. Questo ha spinto il consumatore a interpretare il caffè in un modo diverso; non più un prodotto standard da bere velocemente in piedi ma ricercato con infinite sfaccettature e con una forte identità specifica. Le grandi catene lo hanno capito e stanno a loro volta rilanciando con approcci e proposte diversificate. Il mercato del caffè è cambiato e sta sempre più cambiando in profondità.
Basterebbe, ad esempio, far mente locale alla rivoluzione introdotta da Nespresso, o da Illy o Lavazza anche in quello consumato a casa per comprendere, in parte, le tendenze in atto.
Starbucks con la roastery di Milano va oltre proponendo una gamma di caffè speciali tostati direttamente all’interno del locale (e non in stabilimenti industriali).
Al banco non ci sono apprendisti alle prime armi ma qualificati esperti di caffè in grado, oltre a servire, di descrivere il prodotto al cliente. 30 baristi di diversa etnia con due tostatrici, una libreria (sul caffè), una pizzeria e una pasticceria. In altri termini è una vera torrefazione/caffetteria di forte impatto.
E’ questa la sfida che lancia Starbucks.
Ai tradizionali puristi che apprezzano il caffè come in un qualsiasi bar italiano, può non piacere. Ma sarà un elemento di sfida e di crescita per tutto un settore costretto a misurarsi con questa novità. Starbucks non è un bar. Farne una guerra di religione è una tipica reazione pavloviana di chi guarda la realtà con lo specchietto retrovisore.
Carlo Alberto Carnevale Maffè ci ricorda in un tweet: “Cimbali, Princi, Scolari, Goglio. C’è tutta la tradizione alimentare e la ricerca tecnologica italiana nella Starbucks Reserve Roastery di Milano. Perché chi ha paura e si chiude nell’autarchia, finisce nell’oblio, rancoroso e perdente. Chi accetta la sfida del mondo, vince”.
Per Luca Carbonelli (https://www.lucacarbonelli.it/di-starbucks-a-milano-non-avete-capito-niente/):” Questa operazione, che i più hanno banalmente considerato come l’apertura della prima caffetteria Starbucks in Italia, in realtà farà risparmiare al colosso americano una buona parte dei costi di trasporto del prodotto che sinora arrivava dagli USA al nostro continente”.
Quindi l’investimento in Italia che proseguirà con altre aperture, guarda all’intero continente europeo. Un altro articolo interessante è uscito su “Scatti di Gusto” (https://www.scattidigusto.it/notizie/starbucks-milano-successo/).
Emanuele Bonati conclude così il suo articolo: “Milano ha conosciuto negli ultimi decenni un percorso di deindustrializzazione feroce, che ha portato via l’Ansaldo, l’Alfa Romeo del Portello, l’Innocenti, la Breda, trasformando la città. E il nuovo modello urbano ora vede un’industria gastronomica vera e propria a due passi dal Duomo, a tre dal Castello Sforzesco. In pratica, è il modello Expo2015, che viene forse inconsapevolmente applicato al tessuto urbano”.
Non basterà certo Starbucks, ma Milano sta cercando di sfruttare l’onda lunga dell’Expo per confermare la sua propensione a crescere e attrarre l’innovazione presente in diversi campi. E questo, polemiche strumentali a parte, è quello che importa.