Gli articoli che si sono susseguiti in queste settimane sulla vicenda Esselunga si sono giustamente concentrati sulla figura di Bernardo Caprotti, sulla sua famiglia e sul futuro di una delle aziende più importanti della GDO italiana. Qualche articolo si è spinto a osservare l’azienda anche dal punto di vista dei clienti particolarmente soddisfatti di un’insegna che, soprattutto a Milano, rappresenta qualcosa di più di un supermercato. Mi ha sorpreso che nessuno ha preso in considerazione il ruolo del management e dei dipendenti nel successo dell’azienda. Solo il dottor Caprotti, nel documento diffuso dalla stampa, ha invece manifestato la riconoscenza e quindi la preoccupazione per il futuro dei suoi oltre ventimila collaboratori. Esselunga è un’azienda solida. Lo è innanzitutto per merito del suo fondatore ma anche perché le scelte operate dai suoi collaboratori principali sulla qualità delle risorse umane hanno consentito di individuare, formare e gestire professionisti di grande spessore umano e professionale. Basta entrare in un loro punto vendita per comprenderne il livello. Se poi anziché entrare in un solo punto vendita se ne frequentano diversi con un occhio mediamente esperto e si confrontano con i punti vendita di alcuni concorrenti si ha modo di rendersi conto della differenza qualitativa. Non sto parlando, ovviamente, di qualità dei prodotti, incisività delle promozioni, fatturato per metro quadro, format commerciali e quant’altro dove ogni azienda può optare per strategie differenti. Mi voglio concentrare su un argomento sempre sottovalutato: il valore del capitale umano nel successo di un’impresa. Chiunque ha lavorato nelle risorse umane sa come è difficile costruire una squadra. Ingaggiare persone, condividere con loro valori e quotidianità, renderle orgogliose di appartenere ad un grande progetto indipendentemente dalla dimensione dell’azienda. Certo la figura del leader è fondamentale e la storia di successo che lo ha accompagnato è sicuramente un plus indiscutibile. Ma la squadra che intorno a lui ha avuto il compito di trasmettere questi valori, di viverli quotidianamente fornendo esempio e coerenza, non è da meno. La vera modernità di Esselunga è di averlo capito prima di tutti. È così mentre altri hanno scelto la strada dell’avvitamento continuo causato dal taglio dei costi come antidoto alla riduzione delle vendite optando per modelli di gestione del personale tardo fordista, loro hanno puntato sulla cura del servizio e del dettaglio in ogni operazione di vendita. È difficile nella GDO innovare i format di vendita, migliorare la qualità e la tipologia del servizio al cliente e mantenere elevato l’investimento sulle risorse umane. Chi lo ha fatto o lo sta facendo oggi ha un importante vantaggio competitivo. E questo è tutto merito del management che, in queste grandi imprese distribuite sul territorio non è concentrato in poche mani ma deve, necessariamente, comprendere tutte le figure che gestiscono risorse siano esse dirigenti, quadri, responsabili di punto vendita o capi reparto. Esselunga non è la sola, altre si sono da tempo avviate su questo terreno. Oggi mi sembrava giusto dare merito a chi non è sotto i riflettori perché di fronte alla scomparsa del suo fondatore è giusto che non lo sia. Ma va tenuto presente nei prossimi passaggi che coinvolgeranno il futuro di questa impresa. È un capitale che non va disperso né sottovalutato perché è parte fondamentale del successo di Esselunga. Ed è una sfida per tutte le imprese.