Quando non tocchi palla è sempre difficile stabilire se è iniziativa dell’avversario o tua difficoltà a fare la partita. O entrambe le cose. Oggi siamo qui. Il Governo sembra muoversi a tutto campo sui temi del lavoro e della previdenza con atti o proposte di merito. O anche semplicemente con annunci. Alcuni importanti contratti nazionali sono stati firmati, altri no e, infine, sul tavolo c’è un documento unitario sulle relazioni sindacali e sulla contrattazione che non sembra incontrare grandi apprezzamenti sul versante datoriale. E questo senza prendere in considerazione il percorso in solitaria che la Cgil sta portando avanti per conto suo in tema di diritti e opposizione alle decisioni presenti e passate del Governo. Ad oggi sembra difficile pensare che la situazione si possa sbloccare a breve. I contratti, dei meccanici e della PA, sono al palo e difficilmente troveranno una composizione tradizionale. Sugli altri contratti aperti è buio pesto mentre il segretario della UIL annuncia la possibilità di uno sciopero generale se la situazione dovesse continuare a restare ingarbugliata. Elezioni amministrative, Brexit, legge di stabilità e referendum spostano indubbiamente l’attenzione dell’opinione pubblica altrove. Nel frattempo i sindacati elencano le loro buone ragioni mentre le imprese non sembrano particolarmente preoccupate del rischio di peggioramento del clima sociale impegnate con determinazione a cogliere ogni possibile segnale di ripresa vero o presunto che possa esserci. In questo contesto è difficile fare previsioni. Anche perché il Governo, non essendo sollecitato a muoversi diversamente da proposte o alternative praticabili, conferma la propria volontà di bypassare sistematicamente ogni confronto con i corpi intermedi. A mio parere non è una situazione positiva. Né per il Governo né per le parti sociali. Per il Governo perché scommettere esclusivamente su “fai da te” e sulla presunta ripresa da zero virgola rischia di eroderne il consenso. Per le parti sociali che restano confinate in panchina ai margini del gioco in attesa di una probabile discesa in campo che non arriva mai. Intanto il Paese si avvita su se stesso. Ma se la politica tenta in qualche modo di uscire dall’impasse così non è per i corpi intermedi. Abituati a difendersi e a contrapporsi l’un l’altro non riescono ad individuare una strategia comune che sappia far convergere tutti su alcuni punti essenziali. Ognuno sembra procedere seguendo un proprio percorso. Alcuni elementi oggettivi, però, dovrebbero portare ad una riflessione comune. Innanzitutto la proposta di “rinnovamento contrattuale” di Federmeccanica che segnala, al di là delle inevitabili dichiarazioni propagandistiche l’esistenza di un problema serio per chi deve affrontare le sfide della globalizzazione e della tecnologia: la necessità che tra capitale e lavoro si trovino nuove convergenze di interesse. Questa sfida il sindacato non sembra comprenderla fino in fondo. Soprattutto non sembra cogliere il rischio che questo comunque avverrà con o senza di loro. Il balletto sulle adesioni allo sciopero sul contratto testimonia un vecchio rito ma non aggiunge nulla di nuovo all’evoluzione del contesto. In secondo luogo la disaffezione, sempre più marcata, di molte imprese in numerosi settori alla contrattazione collettiva. Sia aziendale che nazionale. C’è un problema di costi, ovviamente, ma anche un problema di personalizzazione non colto (coinvolgimento, merito individuale e variabilizzazione) con il quale occorrerà misurarsi. Prima o poi. In terzo luogo c’è un problema di contesto. Che lo si ammetta o meno non emergono complessivamente segnali di forti tensioni sociali che giustifichino linguaggi, atteggiamenti e rivendicazioni tradizionali. Anche solo di carattere difensivo. È un po’ come se si fosse creata una frattura sempre più evidente tra le percezioni e le liturgie dei rappresentanti e dei militanti in senso stretto verso le necessità reali e la disponibilità a mettersi in gioco in prima persona dei rappresentati. E così mentre la società reale vive la necessità di individuare percorsi e soluzioni praticabili oggi, la rappresentanza (in generale) si schiera ipotizzando distribuzioni del reddito, obiettivi contrattuali e linguaggi di difficile comprensione. Anche per i rispettivi e presunti bacini di riferimento. È così alle contraddizioni tra territori e generazioni se ne aggiunge un’altro tra affermazioni e risultati che non aiuta a ricomporre un terreno di iniziativa concreto. Occorrerebbe un passo in avanti che non c’è ancora. Ed è un passo che non si può compiere da una parte sola. E, soprattutto, non si può compiere se si lascia giocare liberamente l’arbitro per mancanza di schemi di gioco. Il Governo lo si “contrasta” con proposte che sappiano andare oltre la semplice difesa delle proprie posizioni e prerogative. Quel tempo è finito. Insistere non serve e non porta a nessun risultato. Grecia e Spagna sono lì a dimostrarlo per chi avesse dubbi in proposito. Ecco perché resto convinto che, in assenza di un passo in avanti di tutti i corpi intermedi, ce ne attendono due indietro. È questa non credo sia una prospettiva utile per il Paese.