Ho letto con grande attenzione il “MANIFESTO PER LA COSTITUZIONE DI UNA LISTA UNICA DELLE FORZE POLITICHE E CIVICHE EUROPEISTE ALLE ELEZIONI EUROPEE” ( https://www.siamoeuropei.it/ ). L’ho trovato interessante e, per buona parte, condivisibile nel merito. Inevitabile per certi versi.
La forma organizzativa proposta, al contrario, non mi convince per nulla. La trovo ambigua. Il documento sul punto recita: “Per questo è necessario costruire alle prossime elezioni europee una lista unitaria delle forze civiche e politiche europeiste. La sfida sarà vinta solo se riusciremo a coinvolgere i cittadini, le associazioni, le liste civiche, il mondo del lavoro, della produzione, delle professioni, del volontariato, della cultura e della scienza, aprendo le liste elettorali a loro qualificati rappresentanti”.
Quindi un cartello elettorale con il PD come azionista di maggioranza seppure con proposte condivise con altre forze per cambiare l’Europa che verrà. Lo stesso documento chiarisce che ognuno potrà mantenere il proprio simbolo e rientrare, dopo le elezioni, nei rispettivi gruppi parlamentari in Europa seppure con la missione di cambiarli.
Da dove nascono le mie perplessità?
Personalmente mi aspettavo una lettura diversa di ciò che il cosiddetto “Partito del PIL” ha messo in campo in questi mesi. Una volontà di capirne la novità, la volontà di protagonismo dal basso, la ricerca di una nuova offerta politica, non di chiudere la partita mettendogli semplicemente sopra un vecchio cappello politico.
La crisi tra il vecchio leghismo legato al territorio e il nuovo sovranismo leghista è solo all’inizio e verrà nascosta dal successo salviniano alle elezioni europee anche a sud del Rubicone. Così come il grillismo in affanno nel nord, si radicherà comunque nel sud. Per questo il cosiddetto “fronte repubblicano” così come è stato concepito non può funzionare. Assomiglia troppo ad una sorta di Fort Alamo.
Su questo punto condivido la preoccupazione di Enrico Letta. Manca la capacità/volontà di disarticolare il fronte avversario. In Italia, a differenza che altrove, il fronte sovranista ha già vinto. E’ al governo e ci resterà.
Semmai, dopo le europee rischiamo di trovercene forse uno più in linea con il nuovo centro destra continentale. Con un grillismo che probabilmente tenterà un ritorno alle origini. Un’altra Europa è tutta da costruire. Ci vuole tempo. Capisco la volontà di rivincita ma in tutta Europa la sinistra vecchia e nuova è in crisi profonda.
Perché bruciare un progetto che avrebbe dovuto andare ben oltre l’opposizione politica attuale per costruire qualcosa di nuovo, aperto ai giovani, alle donne, alle nuove generazioni con facce e idee diverse?
Perché non prendere atto che la riproposizione di una cartello elettorale dove la mancanza di coraggio di una parte del PD lo renderà lento, pesante e inviso comunque al grosso dell’elettorato? E dove i giochi sulle candidature rischieranno di svilirlo pesantemente?
All’ultima manifestazione di Torino nessuno ha contestato la presenza della Lega. Anzi. Nessuno l’ha vissuta come provocatoria visto le decisioni contenute nella legge di stabilità. Occorre comprendere che è cambiato qualcosa di profondo nel Paese. Altro che opposizione politica tradizionale!
Banalizzare le scelte dell’avversario, ridicolizzarlo, auspicarne la caduta grazie allo spread o alla borsa sono pie illusioni. L’Italia dal 4 marzo, checché se ne pensi si è spostato ancora più a destra, nonostante tutto. L’unica novità è che una parte del Paese, oggi identificabile nel nord, nelle imprese, nelle professioni e nel lavoro, sta lanciando segnali di grave preoccupazione sul presente e sul futuro. I corpi intermedi lo hanno in parte capito e stanno cercando nuove sintonie. La Politica, no.
Da lì, forse, bisognerebbe partire. L’Europa che verrà dovrà dare risposte nuove anche alle disuguaglianze generazionali e territoriali ma dovrà saper ragionare come Europa. E’ l’unica alternativa vera al sovranismo. Non ci devono essere ambiguità su questo punto. Per questo è un errore pensare di dividerla. Anche sulle diverse velocità sarei cauto. Tra qualche anno il rischio lo corriamo più noi di altri.
Bisogna convincersi che indietro non si torna. La nuova politica in Italia e in Europa deve rinascere dal basso. Dalle amministrazioni locali, dai territori, da corpi intermedi anch’essi rinnovati, dai mestieri e dal lavoro. Se non sarà così ci dovremo rassegnare ad una turbolenza continua e al declino.
Le prossime elezioni scuoteranno fortemente le fondamenta europee. Sarà un segnale forte e chiaro. A tutte le forze politiche la possibilità di ascoltarlo o di ignorarlo. Per questo la posta in gioco è molto alta.