Il welfare aziendale sta assumendo una nuova importante dimensione per le imprese e per i lavoratori. Gli accordi si moltiplicano e diventano pratica quotidiana.
Gli sgravi previsti e le opportunità consentite spingono le parti, a livello aziendale, a comprendere nuovi interessi e nuove idee attraverso i quali motivare i collaboratori, dare maggior valore alle risorse disponibili e migliorare così il clima aziendale.
Siamo solo all’inizio, credo, di un fenomeno che produrrà anche inevitabili effetti collaterali sulla cultura del lavoro del nostro Paese. Non solo perché rimette in discussione il concetto stesso di retribuzione totale (costruita nel passato sul salario e sul suo costante e inevitabile aumento) spingendo il lavoratore a considerarne il controvalore effettivo ma anche perché lo predispone a partecipare alla sua definizione complessiva, a cosa destinare al suo incremento e quindi a stabilire una relazione nuova tra impegno personale, produttività, clima aziendale, valorizzazione dell’impresa nella quale lavora. Ma anche un nuovo ruolo del sindacato e della contrattazione aziendale.
Tutto questo mette in moto una maggiore consapevolezza perché spinge a riflettere, a scegliere, a raggiungere gli obiettivi concordati perché, tra le altre cose, la contropartita è chiara, modificabile nel tempo e sempre più personalizzabile. Avvicina, in sostanza, impresa e lavoro e ne favorisce la collaborazione.
Cosa non riuscita, almeno fino ad oggi, al welfare contrattuale definito nella contrattazione nazionale. Innanzitutto perché è stato percepito come calato dall’alto in una fase storica diversa dove non tutto il sindacato lo ha affrontato e proposto con la stessa convinzione.
La preoccupazione che dietro il welfare contrattuale ci fosse l’accettazione di una sorta di smantellamento del welfare pubblico ha frenato soprattutto la CGIL e alcune sue categorie ma anche molte imprese hanno vissuto quelle intese come improprie, come un costo che, in qualche modo sottraesse risorse altrimenti meglio impiegabili.
Questa visione ha impedito una comunicazione positiva e comune, un coinvolgimento utile a migliorare il clima e a rafforzare un sistema di relazioni che non ha certo giovato all’affermazione stessa del welfare contrattuale.
E questo ha trasformato una brillante intuizione, oggi sempre più fondamentale, in una sorta di tassa aggiuntiva per le imprese e per i lavoratori che faticano, se non lo utilizzano concretamente, a considerarlo di grande interesse e valore.
Soprattutto non ha contribuito a cambiare nulla sul piano culturale e partecipativo delle imprese e del lavoro. Da qui, credo, occorra, oggi, ripartire. L’importanza del welfare contrattuale è decisiva sia nelle grandi aziende che nelle PMI. C’è un problema di masse critiche, di governance e di qualità dell’offerta.
Confcommercio e Confindustria, ad esempio, hanno tutto l’interesse a continuare a parlarsi proprio per le prospettive che possono essere messe a fattor comune, così come il sindacato confederale.
Con una governance moderna, una gestione trasparente e una comunicazione condivisa ed efficace il welfare contrattuale può fare un salto di qualità di cui ce ne è assolutamente bisogno. Sia per valorizzarlo nel confronto con il Governo in termini di servizio e di fiscalità, sia per consentire alle imprese e ai sindacati di valorizzarlo all’interno di un progetto comune nazionale e territoriale di rilancio della contrattazione.
Trovare un equilibrio nelle proposte di welfare (contrattuale e aziendale) che valorizzi meglio entrambe le fonti, renda meno facoltative quelle che influiscono sul futuro previdenziale o sanitario degli individui, le integri meglio lasciano al singolo la libertà di scelta attraverso meccanismi (tipo ticket restaurant) flessibili erogabili anche attraverso convenzioni meno aleatorie o parziali di quelle oggi in essere potrebbe rappresentare una nuova sfida per le parti sociali.
Soprattutto perché l’universalità degli strumenti messi a disposizione, la loro efficacia anche in presenza di discontinuità sul mercato del lavoro, deve essere garantita non tanto e non solo dalla applicazione di un contratto specifico o dall’appartenenza ad un’azienda illuminata ma da un sistema che ne favorisca la flessibilità di utilizzo e quindi dia certezze che solo le parti sociali possono garantire in un contesto evolutivo dei nuovi assetti contrattuali.