La GDO rischia, ancora una volta, di restare con il cerino in mano. Promozioni, sconti, “prezzi bassi tutti i giorni”. Ma la polemica sta salendo di tono. Ovviamente non è solo un problema di comunicazione. L’inflazione sarà pure scesa ma i prezzi non l’hanno seguita. La sensazione per i consumatori, è che le cose non stiano cambiando. È, come sempre in questi casi, vince la demagogia. Il “carrello” è caro ma la responsabilità non è solo lì. Sugli scaffali ci sono anche le conseguenze di tutto ciò che avviene a monte. Una banalissima spesa ripetuta non ci dice tutto ma qualcosa, si. Con le consuete polemiche degli esclusi contro le indagini di “Altro Consumo” è meglio premettere che, quello che è arrivato agli onori delle cronache, è solo un test individuale. Però può essere utile per aprire una riflessione. Il “merito” dell’esperimento va al content creator Alessandro Montesi che, avendo ritrovato uno scontrino del 2019, ha deciso di replicare la stessa spesa nello stesso supermercato (leggi qui ). Il risultato? Nel 2019, la spesa totale era di 124€. Nel 2025, la stessa spesa ammonta a 174€, con un incremento di ben 50€.
Lo stesso esperimento ha fatto Mattia Malgara co-founder Malgara Group che, su LinkedIn, sottolinea la differenza di prezzo di uno dei prodotti più noti della Ferrero: il Plumcake Kinder. “A dicembre 2020 su Esselunga Online a 1,49 €. Oggi, a metà marzo 2025, lo stesso prodotto, con lo stesso peso e confezione, costa 1,99 €. Un aumento di 0,50 €, pari al +33,6% in poco più di quattro anni”. Da una parte quindi i consumatori ascoltano le rassicurazioni del Governo sull’inflazione. Dall’altra parte, la realtà. Difficilissimo quindi fare previsioni su come andrà quest’anno.
Pur con qualche segnale di ripresa le retribuzioni in tutta Europa restano stagnanti. Guardando al 2025, si prevede che sia l’inflazione che gli aumenti salariali nominali resteranno un problema nella maggior parte dei Paesi frutto di una indagine interessante di ECA International ( leggi qui). Lo stesso ritorno di Donald Trump alla Casa Bianca sta già evocando timori di una potenziale ripresa inflazionistica, indotta anche dall’aumento del rischio di guerre commerciali. Quindi, sebbene la situazione economica globale sembri sotto controllo per ora, le previsioni su salari e inflazione potrebbero essere messe alla prova da un ritorno dell’instabilità. Aggiungo che le spese imprescindibili degli italiani aumentano sempre più.
Più di quattro euro su dieci tra i consumi delle famiglie italiane se ne sono andati nel 2024 per le spese obbligate. Abitazione, sanità, energia, gas, carburanti e bollette su tutte. Tra il 1995 e il 2024, l’indice dei prezzi delle spese obbligate è aumentato del 122,7%, più del doppio rispetto al 55,6% dei beni commercializzabili. E anche questo modifica inevitabilmente il carrello della spesa della famiglia italiana. Un recente report di Ismea dimostra che, nonostante una stabilizzazione dei consumi, nel 2024 rispetto al 2023, i costi di alcuni prodotti di prima necessità sono continuati a salire. Il Centro Consumatori Italia, preoccupato che al scendere dell’inflazione non segua una corrispondente discesa dei prezzi, segnala che diversi prezzi di generi di prima necessità (o quasi) continuano ad aumentare. ( leggi qui ).
Le grandi città, a cominciare da Milano, meriterebbero poi un discorso a parte. Non c’è solo la lunga coda dei poveri al “Pane Quotidiano”. I prezzi sono schizzati verso l’alto. Bar e ristoranti in 10 anni sono cresciuti del 27 per cento (aumento accentuato negli ultimi due anni). Sono però anche qui le spese obbligate a fare la differenza. Affitti, energia elettrica, gas e altri combustibili hanno fatto aumentare notevolmente i costi per le famiglie. Senza dimenticare il 30 per cento circa di aumento per gli spostamenti: dall’acquisto di auto, motorini e biciclette, fino ai biglietti per i mezzi pubblici. Ovviamente ci si interroga un po’ tutti sul 2025. Secondo le associazioni dei consumatori, le famiglie italiane spendono in media il 15-20% del loro reddito per l’acquisto di generi alimentari. Le famiglie a basso reddito sono ovviamente quelle più colpite, in quanto destinano una quota maggiore delle loro entrate all’acquisto di beni di prima necessità. Questo fenomeno sta accentuando le disuguaglianze sociali mettendo in evidenza l’urgenza di interventi mirati per sostenere i cittadini più vulnerabili. È questo contribuisce a spiegare in parte il successo della MDD e dei discount più di mille ragionamenti sofisticati.
La sfida è però più complessa. Richiede un approccio integrato per essere affrontata efficacemente. Purtroppo per ora le risposte sono tattiche. Promozioni e sconti attenuano il disagio ma servirebbe ben altro. Alcuni Governi si stanno muovendo sul piano fiscale. Altri stanno decidendo cosa fare. L’IVA sui prodotti di prima necessità è la prima indiziata. Pochi giorni fa Viktor Orbán Primo Ministro ungherese, ha dichiarato che i margini dei supermercati ungheresi sui prezzi di acquisto saranno limitati al 10% per una serie di prodotti di prima necessità. Il rischio quindi che interventi ragionati e condivisi dai componenti dell’intera filiera alimentare vengano superati da mosse demagogiche della politica resta alto. Intanto al TG si spara su uova di Pasqua e colombe citando dati a sproposito per alimentare il polverone. Molte insegne sono preoccupate. Forse sarebbe auspicabile un intervento propositivo delle associazioni. Dichiararsi semplicemente non colpevoli sul tema non è mai una buona strategia. Ci si trasforma in indiziati.