Per comprendere cosa muove la Procura di Milano nei confronti delle imprese committenti bisogna partire da chi interagisce oggi sui piazzali della logistica interpretando i tre ruoli principali in commedia: il lavoro povero, chi lo tutela e chi lo sfrutta. Il lavoro povero è anche figlio dell’immigrazione. Decine di migliaia di uomini provenienti da luoghi diversi che dopo difficoltà di ogni genere vengono istradati, da un nuovo profilo di “caporale” che conosce l’ambiente, spesso appartiene allo stesso gruppo etnico, dentro cooperative cosiddette “spurie” che gestiscono il lavoro e, a volte, una sorta di sistemazione abitativa più o meno precaria. Caporali a cui i nuovi immigrati devono tutto o quasi che interagiscono sia con i responsabili delle cooperative e, non di meno, con le organizzazioni sindacali di base che vorrebbero tutelarne gli interessi. Le aziende che utilizzano determinati servizi logistici terziarizzati spesso si trovano di fronte questa situazione.
Queste cooperative offrono ovviamente prezzi altamente competitivi rispetto ad altre imprese che, più correttamente, applicano il CCNL della logistica e non il multi servizi, il più basso in circolazione, e puntano ad una gestione del personale più improntata alla selezione e alla retention delle risorse umane. Alcune di queste cooperative spurie vanno anche oltre. Nascono, muoiono e rinascono dopo aver sfruttato i lavoratori lasciando buchi contributivi e contenziosi con l’agenzia delle entrate. A quel punto le persone che vi hanno a che fare vengono traghettate da un posto all’altro spesso inconsapevoli di ciò che è avvenuto sopra le loro teste per una questione di lingua, di necessità o di fiducia in chi li gestisce.
Quando questo equilibrio strumentale si spezza per qualsiasi motivo l’attività si blocca. Nascono problemi di gestione interna alle cooperative, partono scioperi e blocchi delle merci improvvisi, interviene la magistratura. O perseguendo i malavitosi, o assolvendo i promotori dei blocchi o, infine, cercando di individuare, a mio parere, strumentalmente un legame tra committente e cooperative che spesso non c’è.
Quando sento parlare di mancati controlli delle insegne, di fogli Excel con nominativi e turni, ricordo le enormi difficoltà con cui mi sono dovuto misurare a Lacchiarella dopo aver fatto costruire reti invalicabili per evitare improvvisi cambi di personale nottetempo tra regolari e irregolari, visionato elenchi con migliaia di nominativi improbabili provenienti da Paesi dell’Africa sub sahariana impossibili da verificare e subìto scioperi per aver cercato di bloccare il via vai di merce sottratta dai depositi. Questa volta è toccato ad Aspiag. Prima erano state coinvolte altre insegne a vario titolo.
Il punto di vista del PM Paolo Storari è quindi semplice e si riproduce in fotocopia. Per il magistrato, la responsabilità del reato è dunque condivisa comunque dal committente a cui viene comminata in partenza e a prescindere una forte sanzione. Quest’ultimo anziché poter difendere le sue ragioni nelle sedi di giudizio deputate, è di fatto costretto a convenire in qualche modo e a correggere in tutto o in parte una situazione di cui non è accertata la responsabilità seguendo le indicazione del PM perché solo così potrà continuare la sua attività. È, contemporaneamente viene sbattuto in prima pagina per subire una condanna popolare, a prescindere. La realtà però è più complessa. Ci sono, come in questo caso, una o più cooperative che gestiscono i cosiddetti “serbatoi di manodopera” dove passano migliaia di lavoratori. I lavoratori di queste cooperative lavorano nei magazzini per numerosi committenti trai quali ci sono anche aziende della GDO. Vanno e vengono senza alcuna responsabilità dell’azienda committente né possibilità di controllo.
Nell’ultimo caso, che ha coinvolto l’azienda bolzanina, la Procura contesta un presunto reato, alle “due agenzie del lavoro, che, secondo gli inquirenti, avrebbero omesso sistematicamente di versare contributi e oneri previdenziali dei facchini, accumulando in pochi anni debiti Inps e Agenzia delle Entrate per quasi 25 milioni di euro, e lo hanno fatto anche perché ‘la normativa in tema di appalti non contempla alcuna forma di responsabilità in capo al committente’ per ‘l’omesso versamento di ritenute fiscali e contributi previdenziali su personale somministrato’, come invece accade per le SRL o altre tipologie di impresa dove esiste la cosiddetta ‘responsabilità solidale’ del committente”.
Quindi il reato, da ciò che leggo, sarebbe in capo ai due fornitori Mag Servizi srl e Delivery One srl. Queste due realtà avrebbero utilizzato fra 2021 e 2023 una percentuale di lavoratori interinali in media del 50% sul totale della forza lavoro con picchi di oltre 20mila operai somministrati. Molto probabilmente all’insaputa della committente. Il Nucleo di polizia economico finanziaria della Guardia di Finanza di Milano, ha però eseguito un decreto di sequestro preventivo d’urgenza per frode fiscale a carico di Aspiag service srl, concessionaria del marchio dei supermercati Despar, per un valore di circa 8 milioni di euro.
Per Storari la manodopera sottopagata e impiegata lavorerebbe solo formalmente per le cooperative coinvolte, ma in realtà lo farebbe per conto delle realtà più note del settore quindi, Aspiag, per procurarsi «indebitamente il vantaggio di disporre della forza lavoro con continuità e nella flessibilità desiderata, ha omesso di applicare rigorosamente le disposizioni contenute nei contratti stipulati con le sue appaltatrici», di cui avrebbe dovuto «controllare i versamenti Iva delle controparti e il rispetto del divieto di utilizzo di lavoratori diversi da quelli inquadrati con rapporto di lavoro subordinato».
Questo è un punto centrale. La titolarità del rapporto di lavoro e la gestione di un appalto di servizi ha confini molto chiari. Questi vanno accertati. Non va dato per scontato, come fa il PM che i confini non esistono. Da un lato c’è la necessità dell’azienda committente di disporre di un servizio legittimo fornito dalle imprese appaltatrici e, dall’altro, gli obblighi (o meno) previsti dalla legge sugli eventuali controlli da esercitare. Mag Servizi e Delivery One avrebbero informato Aspiag “periodicamente” dei “soli contributi e ritenute versate” per i “dipendenti” diretti, trasmettendo invece per i lavoratori somministrati solo “elenchi excel del personale” e le “buste paga”. Un meccanismo che Aspiag avrebbe “di fatto” accettato nonostante i contratti non prevedessero “l’impiego di lavoratori interinali” nei propri magazzini, “omettendo di esercitare qualsivoglia controllo, anche a campione” (dal Fatto Quotidiano).
Altro punto dirimente. L’organizzazione del lavoro nei magazzini non era in capo ad Aspiag. Occorrerà verificare in sede di giudizio se i contratti stipulati escludessero categoricamente la presenza di lavoratori interinali o al contrario si limitassero a non prevederli. Un altro elemento che invita alla riflessione è perché questi forti interventi avvengono solo nel perimetro di competenza della procura milanese o poco più. È un problema che si manifesta in un perimetro territoriale preciso o esiste il rischio che, fatto salvo l’accertamento di presunte pratiche illegali, l’attività imprenditoriale subisca trattamenti differenti a seconda di dove viene esercitata? Non è una domanda di poco conto.
Certo, nelle gare d’appalto, il costo vero del lavoro e del servizio è un indicatore da cui non si dovrebbe mai prescindere. Ma spesso è una cifra corretta. Non sempre è un indicatore sufficiente a fronte della spregiudicatezza dell’appaltatore che all’interno del proprio perimetro di responsabilità si muove come meglio crede. I controlli sono assolutamente necessari ma qui siamo di fronte ad un fenomeno trasversale e settoriale che coinvolge tutti i cosiddetti “serbatoi di manodopera” e che andrebbe riportato all’interno di un approccio gestionale regolato contrattualmente in modo serio. Il cosiddetto lavoro povero sarà centrale e tenderà ad aumentare nei prossimi anni accompagnando anche i flussi migratori che copriranno tutta la fascia bassa del mercato del lavoro. Va compreso, studiato e contrattualizzato in modo da non lasciarlo diventare un elemento di concorrenza sleale tra imprese senza emettere sentenze mediatiche prima ancora di aver verificato i fatti e celebrato i processi.