La Marca Del Distributore, per la GDO, ha ormai assunto le caratteristiche della “pietra filosofale”. Sembra fornire un elisir di lunga vita per le insegne che la propongono e per le imprese industriali che ne condividono la partnership. C’è chi la interpreta come un successo indiscutibile per la GDO. Chi come la “lepre” che, pur senza volerlo, stia tirando la volata ai discount. Chi rischia di esagerare nel travestirsi troppo da discount facendosi del male e chi, come Mauro Lusetti, presidente di ADM, nelle sue conclusioni alla conferenza di apertura di Marca 2025, la legge anche come un nodoso bastone che non è male tenere metaforicamente sul tavolo nelle trattative con l’industria di marca. Un dato però è indiscutibile. Girando per i capannoni della fiera di Bologna incontriamo un’energia imprenditoriale diffusa, caratteristica della nostra economia, che andrebbe dispersa in mille rivoli se non fosse canalizzata dalla GDO. Piccole realtà industriali del Made in Italy, costruite intorno ad un’idea di prodotto che non varcherebbe i confini del territorio di produzione che spiccano il volo grazie ad un lavoro comune con la GDO nazionale e internazionale. Marca ne rappresenta plasticamente l’impasto riuscito.
Ai due estremi, nel mondo, troviamo da un lato la “No Name” della catena canadese Loblaws, lanciata nel 1978, con un packaging anonimo nero e giallo e con la promessa di costare fino al 40% in meno dei prodotti di marca. Dall’altro sulla fascia alta Eataly che ha deciso di spendere addirittura il suo prestigioso marchio su numerosi prodotti garantendo direttamente il top di gamma della categoria. Se si dimostrerà un azzardo o meno lo vedremo presto. In mezzo ai due estremi, tutti gli altri. Dalla fantasia dei marchi proposti dai discount fino a denominazioni studiate per suggerire ai consumatori il posizionamento premium del prodotto. Conad si presenta da leader della MDD con i suoi 6,3 miliardi di euro di fatturato, realizzati con oltre 700 imprese partner di tutta Italia. Oltre 5.300 referenze rappresentative di ben 300 categorie merceologiche, dai freschissimi, alla drogheria, fino al non food. Un vero e proprio elemento distintivo dell’identità del Consorzio.
A Bologna, i protagonisti c’erano un po’ tutti. Si aggiravano tra 9 padiglioni e 35.000 mq di esposizione in rappresentanza di oltre 1.300 aziende e 24 insegne GDO. Un’edizione da record che viaggia in parallelo con l’ottimo andamento della Marca del Distributore, in forte crescita. Gli ultimi dati Circana, registrano nei primi 11 mesi del 2024 un incremento a valore per la MDD del 2.4% a totale Omnichannel con circa 26,6 miliardi di euro di ricavi complessivi e 30 punti di quota. Aumento confermato nei volumi, che segnano un importante +3,3% (26 miliardi di euro di cui 14,2 GDO e 11,8 discount).
Resta il dubbio sul reale giro di affari. Alla domanda di Emanuele Scarci (Distribuzione Moderna) nell’anteprima milanese di presentazione alla stampa, le risposte non sono state del tutto convincenti. Le singole insegne hanno dichiarato per il 2024: Conad 6,3 miliardi, Coop 4,5, Selex 2,3 e Despar 1. Solo queste 4 insegne totalizzano oltre 14 miliardi, senza contare Esselunga, VéGé e le altre. Cifre ben diversecdallecrilevazioni NielsenIQ. Mauro Lusetti ha ipotizzato che potrebbero essere stati considerati, dalle singole insegne, prodotti non confezionati che non vengono rilevati da NielsenIQ. Mentre Valerio De Molli, ceo di Teha, ha detto che questa metodologia, pur parziale, è l’unico modo per rendere comparabili i dati italiani a livello europeo.
La media europea è del 35,8%, con in testa paesi come la Svizzera (52,3%), la Spagna (45,6%) o i Paesi Bassi (45,2%). Dietro di noi Svezia (28,8%), Ungheria (27,9%) fino ad arrivare alla Norvegia (21,4%). colmando il gap con i Top 3 UE la MDD supererebbe i 50 miliardi di fatturato al 2030. Tra le linee di offerta della MDD, la più dinamica risulta essere quella dei prodotti di Primo Prezzo, buone performance anche per le linee di alta gamma nei segmenti Premium e Funzionale, mentre rallenta la crescita delle linee Bio/Eco.
Dalla ricerca di THEA, presentata dal CEO Valerio De Molli, emerge che più di 8 italiani su 10 acquistano nei punti vendita della distribuzione moderna: il 65% tra supermercati e ipermercati, mentre il 16% preferisce il discount. Il restante 20% circa di consumatori frequenta piccoli negozi, mercati rionali o direttamente i produttori anche attraverso i GAS (Gruppi di Acquisto Solidale). I risparmi generati dalla MDD dal 2020 al 2024 per i consumatori sono pari a 20 mdi, 150 euro all’anno a famiglia. Secondo THEA, le aziende che lavorano come fornitori della GDO per i prodotti a marchio, dal 2015 al 2023 hanno aumentato del 7,8% il loro fatturato (rispetto al 3,9% dell’industria alimentare), gli occupati (+4,5% contro lo 0,4% sempre dell’industria alimentare). Un dato che sfata la tesi interessata di chi sostiene che la GDO si limiterebbe a sfruttarne la difficoltà strutturale e dimensionale. In realtà siamo spesso di fronte a partnership di lunga data. La Distribuzione Moderna stimola i piccoli operatori della filiera all’adozione di processi produttivi più sostenibili attraverso standard e linee guida ed esercita un ruolo di educazione del consumatore finale con best practice di tutela ambientale.
Il Trend delle emissioni di CO2 sul fatturato della Distribuzione Moderna (kg. di CO2 per Euro generato), 2013-2022 si è ridotto del 30%. La Distribuzione Moderna può incidere sulle emissioni dell’intera catena di fornitura considerato che le emissioni dello Scope 1(Emissioni dirette dell’attività del punto vendita) rappresentano l’1%. Quelle relative allo Scope 2 (Emissioni derivanti dalla generazione dell’elettricità e del riscaldamento acquistati) per il 4% mentre lo Scope 3 (Emissioni accumulate lungo la catena di fornitura e i servizi a valle che la Distribuzione Moderna può influenzare per il 95% del totale). Quindi un ruolo decisivo.
Il 58% dei partner MDD ritiene che sia proprio la Distribuzione Moderna ad influenzare le loro decisioni strategiche in termini di sostenibilità. L’innovazione può agire trasversalmente come fattore abilitante che consente di integrare pratiche sostenibili nel business e come strumento per raggiungere obiettivi concreti di sostenibilità attraverso un rafforzamento del dialogo con gli operatori a valle della filiera per comprendere le esigenze del consumatore finale e modulare l’offerta di conseguenza reazione di una divisione dedicata all’innovazione di prodotto e/o processo all’interno dell’azienda Creazione di meccanismi di coprogettazione con altri operatori (a monte o a valle della filiera). La sostenibilità non sarà più una scelta, ma un requisito necessario. In questa visione, l’impresa adotta pratiche sostenibili per differenziarsi attivamente dalla concorrenza.
La sostenibilità è un elemento valoriale che crea vantaggio competitivo con importanti ricadute sulla reputazione del brand e esternalità positive in termini di innovazione di prodotto/processo. Nella nuova prospettiva, la sostenibilità non sarà più solo un elemento di differenziazione bensì un requisito minimo, un nuovo standard condiviso che definisce le regole del gioco. Tutti gli attori del mercato si confronteranno su precisi criteri ESG e metriche comuni di rendicontazione.
Un quadro quindi importante grazie ad un grande lavoro di ricerca e analisi prodotto da THEA soprattutto se lo si considera nel suo insieme e nel potenziale che esprime che dimostra un perimetro economico e sociale decisivo per il Paese a cui non corrisponde, purtroppo, un adeguato ruolo politico che più che elemento di rassegnazione e presa d’atto collettivo andrebbe finalmente costruito. O no?