Dopo Confcommercio anche Confindustria ha messo sul tavolo le sue carte. Non c’è più tempo da perdere. Di fronte ai rischi di disgregazione presenti sia a livello europeo che nazionale la ricetta per affrontare con determinazione i problemi del Paese deve far convergere tutti i protagonisti principali sulla necessità di dare il via ad una grande stagione della responsabilità. Della politica, innanzitutto ma anche dei corpi intermedi che sono disponibili a portare il loro contributo per cambiare, insieme, il nostro Paese. Nel discorso del nuovo Presidente di Confindustria non ci sono stati né arroccamenti né recriminazioni. Un’Europa che deve ritrovare nel pensiero di Jaques Delors la sua missione così come in quello di Papa Francesco la sua vocazione ad aprirsi a chi fugge dalle guerre e dalla fame. Un’Europa unita, moderna e votata alla crescita economica dove il nostro Paese può giocare un ruolo importante. E, in questa nuova stagione, che insieme si vuole aprire, c’è spazio per tutti, anche per un rilancio propositivo del dialogo tra le parti sociali. È un segnale importante. Non c’è stata una sottolineatura di forte delusione, come nel discorso di commiato di Giorgio Squinzi, per lo stato dei rapporti con i sindacati confederali. C’è semmai una disponibilità offerta sulla necessità di una collaborazione a 360 gradi per continuare il processo di cambiamento del Paese. È una sfida importante che potrebbe aprire scenari nuovi. Tre punti su tutti. La centralità delle risorse umane per l’impresa di oggi è di domani, l’esigenza di un confronto vero sulla innovazione e sulla produttività delle imprese ma anche del Paese e infine la riconosciuta importanza che questi strumenti possano essere individuati tra le parti sociali evitando l’intervento del legislatore. È una apertura di credito significativa che consente a tutti i soggetti sociali disponibili di rientrare in gioco con proposte credibili e atteggiamenti responsabili superando pregiudizi e pessimismi di varia natura. Ma questa apertura di credito è stata accompagnata da un chiaro avviso ai naviganti. Di metodo ma anche di merito: il decentramento contrattuale è un obiettivo da realizzare in alternativa al contratto nazionale che però può e deve restare sia per le norme di carattere generale che per le imprese che non sono in grado per vari motivi di passare alla contrattazione aziendale. Quindi nessuna concessione ai fautori del doppio livello contrattuale. E questo è un elemento che, più di altri, dovrebbe far riflettere i negoziatori impegnati nel rinnovo del contratto dei metalmeccanici. Confindustria si schiera su una posizione molto simile a quella espressa da Federmeccanica. E annuncia che attenderà l’esito di quel confronto prima di aprirne un’altro al proprio livello. Quindi il rischio del muro contro muro è inevitabile? Non credo. Personalmente sono convinto che lo scontro sul salario che sembra essere al centro del rinnovo sia ricomponibile con una mediazione tutto sommato accettabile. Trovo molto più complessa una mediazione su altri punti centrali come, ad esempio, sui contenuti, sul peso e sulla natura dei nuovi livelli contrattuali. E quindi sul ruolo stesso e sui confini di azione del sindacato. Il presidente Boccia ha parlato chiaramente di “collaborazione per la competitività”. Questa è la sfida. Non c’è più spazio per modelli sindacali che ritengono possibile includere tutto e il contrario di tutto. Adesso è il momento delle scelte. Questa è la sfida per il sindacato. D’altro canto l’errore che non dovrebbe fare Federmeccanica e quello di sottovalutare le dinamiche di cambiamento che sono in atto nelle organizzazioni sindacali privilegiando un atteggiamento tattico a discapito di un disegno strategico che, di fatto, favorirebbe un inutile e tardivo ritorno al passato. Le condizioni per aprire una nuova stagione di collaborazione ci sono tutte. Adesso la parola passa a chi deve tradurre l’importanza di certe affermazioni e le aperture di credito in azioni e scelte concrete. Vedremo chi ne sarà capace.