L’elezione all’unanimità del Presidente di Confindustria Carlo Bonomi è un segnale da non sottovalutare. Non solo perché cade in un momento particolare della vita del nostro Paese ma soprattutto perché il suo mandato coinciderà probabilmente con l’ultima opportunità concessaci per affrontare alla radice i problemi strutturali e agganciare così la nostra sorte a quella dei Paesi con i quali ci misuriamo quotidianamente.
Bonomi non è un industriale che fa politica. Ce ne sono stati altri prima di lui. È piuttosto un industriale che si aspetta che la politica faccia il suo mestiere. L’unanimità l’ha raggiunta proprio perché siamo ormai al livello di guardia. È un pò come se tutti gli imprenditori si fossero accorti che è arrivato il momento di scendere in campo insieme. Non come lobby tradizionale ma come protagonisti responsabili.
Per fermare il declino in atto, per contrastare una cultura anti impresa estremamente pericolosa, per dare una prospettiva nuova al Paese ad un passo dal baratro. Credo che Bonomi tutto questo ce l’abbia molto chiaro.
Il covid-19 ha messo a nudo le criticità del nostro sistema, la sua farraginosità, la sua subalternità ad una pericolosa cultura assistenzialista. Messa di fronte ad una scelta la politica, puntando al consenso a breve, si sta predisponendo a distribuire a pioggia risorse che si trasformeranno in debiti per le future generazioni. Il covid-19 taglia trasversalmente il Paese tra chi guarda lontano e chi vorrà ritornare semplicemente a prima dell’esplosione della pandemia.
Una rappresentanza datoriale autorevole è fondamentale per provare a tenere la barra dritta. Questo sarà un quadriennio che dovrà anche semplificare inevitabilmente l’intera rappresentanza. Così com’è, non credo abbia un futuro. Accusare la burocrazia e la politica come frenatori dello sviluppo restando ancorati al novecento nella rappresentanza non porta da nessuna parte.
L’esperienza fatta in Assolombarda sarà molto utile. Partito in sordina si è fatto strada a suon di risultati posizionando la propria organizzazione come interlocutore autorevole dentro tutti i processi di cambiamento della città. Quindi anche come sintesi dell’intera rappresentanza.
La sua sortita sui contratti “Il Governo agevoli quel confronto leale e necessario in ogni impresa per ridefinire dal basso turni, orari di lavoro, numero giorni di lavoro settimanale e di settimane in questo 2020″ ha provocato la reazione di Maurizio Landini “Non c’è da revisionare nulla, a Confindustria dico di rinnovare i contratti nazionali. Lì dentro possiamo trovare tutte le risposte ai problemi nuovi che stiamo discutendo: come si fa la formazione, come si gestiscono gli orari di lavoro, come si aumenta l’utilizzo degli impianti, come si riconosce la professionalità e come si danno diritti a chi lavora da casa. Attraverso i contratti che ci sono e al sistema contrattuale vigente abbiamo tutte le condizioni per affrontare questo nuovo processo”.
Carlo Bonomi però non ha parlato a caso. Ha dalla sua un’idea pragmatica e innovativa delle relazioni industriali. Per comprenderla meglio bisognerebbe ritornare al 4 ottobre 2019 giorno in cui è stato siglato un accordo importante a Milano (https://bit.ly/36l08lu) tra Assolombarda e CGIL-CISL e UIL territoriali che fa seguito al c.d. “Patto della Fabbrica” firmato da Confindustria insieme a CGIL-CISL e UIL il 9 marzo 2018 (https://bit.ly/2LPb4yf).
La stessa riconferma di Maurizio Stirpe come vicepresidente di Confindustria con delega al Lavoro ed alle Relazioni Industriali va nella direzione di una continuità che ha al suo centro l’esigenza di un cambiamento profondo del sistema.
Messa in soffitta la concertazione con le sue liturgie, il mondo delle imprese propone ai sindacati maggiormente rappresentativi un nuovo terreno di confronto che mette al centro la competitività delle imprese e la valorizzazione del lavoro. Questo risultato è ottenibile solo puntando decisamente verso un modello di confronto decentrato in grado di coinvolgere i lavoratori, quindi maggiormente partecipativo e soprattutto teso a valorizzarne il contributo, le competenze e il merito.
Quando Bonomi sollecita a riflessione e un confronto sulla natura dei contratti nazionali ha in mente questo percorso e, a mio parere, fanno male i sindacati a sottovalutarlo. I contratti nazionali si stanno “sbriciolando” da soli. Commercio, turismo e industria alimentare sono lì a dimostrarlo e la contrattazione aziendale sta perdendo di incisività proprio quando dovrebbe accadere il contrario.
Ci sono confini di settore da riposizionare, argomenti su cui impostare nuove sfide (previdenza, sanità e formazione), diritti e doveri da ridisegnare fuori e dentro i luoghi e i tempi tradizionali di lavoro. Tipologie e modalità da aggiornare.
La crisi provocata dal Covid-19 potrebbe spingere la maggior parte delle imprese, soprattutto quelle più piccole, a scelte di arroccamento che provocherebbero solo un dilatamento infinito dei contratti peraltro in buona parte già scaduti. L’idea del sindacato che “prima si rinnovano poi si discute” nasconde la solita tecnica di non farne poi nulla per l’intera durata dei contratti.
Bonomi ha fatto bene a porre la questione sul tavolo ancora prima della sua elezione. C’è un Paese da far ripartire, ci sono scelte da fare e priorità da decidere. Farlo insieme significa disegnare necessariamente un nuovo sistema di relazioni industriali. Stabilire contenuti, pesi, priorità è fondamentale. Ma prima serve capire se la direzione di marcia è la stessa.
L’asimmetria che oggi domina il sistema delle Relazioni Industriali rischia di aprire scenari più complessi che impatterebbero pesantemente sul tessuto economico e sociale del nostro Paese. Ai gruppi dirigenti della rappresentanza economica e sociale spetta il dovere di comprenderlo e di guidare il cambiamento necessario. Non di subirlo.