La domanda che si pone oggi il sempre più interessante Mario Sechi sul Foglio sulla vicenda Alitalia è centrale: “Perché il mercato globale delle compagnie aeree ha registrato nel 2016 profitti netti aggregati pari a 35,6 miliardi di dollari e invece Alitalia sta(va) per fallire?”
Prima dell’arrivo di Luigi Gubitosi il piano era già scritto da settimane sui giornali: duemila esuberi e il taglio del 30 per cento dello stipendio dei piloti. Del piano industriale, intendendo con questo un piano di vera svolta, nessuna traccia.
Anche oggi di quel piano non se ne sente parlare. Ovviamente non un progetto generico scritto per non turbare la politica in altre faccende affaccendata o i sindacati preoccupati per l’insieme dei lavoratori ma un piano vero, oggettivo, utile ad uscire finalmente dalla drammatica situazione in cui l’azienda è costretta. Oppure in grado di annunciare verità ormai non più rinviabili per i costi che il nostro Paese deve e dovrà continuare a sopportare in mancanza di scelte definitive.
Nelle ristrutturazioni aziendali di grande portata la qualità e la competenza del management messo in campo sono fondamentali. Così come la conoscenza del contesto politico/sociale e del comparto economico relativo. Oltre ai freddi numeri che hanno solo lo scopo di delineare il nuovo perimetro aziendale occorre saper proporre una visione, ingaggiare chi deve sostenerla e convincere i sindacati che la strada che si vuole intraprendere è inevitabile ma anche positiva per quella parte dell’azienda che resta è che quindi è chiamata a scommettere sulla prospettiva.
Per poter realizzare tutto questo la missione affidata dal consiglio di amministrazione ai migliori cacciatori di teste è di individuare i manager più performanti sul mercato internazionale che possano dimostrare, nei progetti seguiti e attuati, le loro attitudini e capacità di muoversi in contesti complessi portando qualità e innovazione strategica. A questo dovrebbe seguire un assessment di tutto il management interno con lo scopo di valutarne la qualità e le caratteristiche in relazione al piano industriale da predisporre. Convinta, ingaggiata, resa protagonista e messa bordo la nuova prima linea è l’unica e la sola referente dell’insieme dei collaboratori.
Da qui in poi il confronto con il sindacato, soprattutto se l’azienda è in “zona Cesarini” cioè ad un passo dai libri in tribunale, deve essere costruttivo, serio e trasparente. La vicenda Alitalia non sembra avere nulla di queste caratteristiche forse perché, per alcuni autorevoli osservatori, non esiste già più alcuna possibilità di ristrutturazione e di rilancio anche perché le scelte fatte fino ad ora, sembrano piu in linea con il passato, che in sintonia con un futuro auspicabile.
Personalmente non ci voglio credere. Un vecchio proverbio arabo recita: “Tra morto e morto e sepolto c’è un’enorme differenza.” Alitalia non è e non sarà più l’azienda con oltre ventimila dipendenti né la compagnia di bandiera.
È un’azienda che oggi non supera i dodicimila e che perde ogni giorno centinaia di milioni di euro Dispone di una flotta di 121 aerei e, nel 2016 ha trasportato 22,6 milioni di passeggeri Conta circa 8o destinazioni ed ha 6 basi di riferimento sul nostro territorio. Il fabbisogno economico, da qui alla fine dell’anno arriverebbe a circa 900 milioni.
Per banche e creditori vari l’unica soluzione è il taglio dei costi che, da solo, non porta probabilmente da nessuna parte anche perché siamo quasi ad aprile. I ministri dello Sviluppo economico, Carlo Calenda, e dei Trasporti, Graziano Delrio, in un comunicato diffuso al termine dell’incontro con i vertici della compagnia aerea hanno dichiarato: “È un piano molto ampio che contiene numerosi elementi da approfondire e che richiede un’implementazione rapidissima».
Il neo presidente Gubitosi non è Marchionne e l’Alitalia non è la Fiat. E non vedo sindacalisti direttamente coinvolti in grado di assumersi responsabilità in prima persona come hanno fatto FIM e UILM nella vicenda FCA. Inoltre il Governo, oggi, non può permettersi né di avallare un’uscita dal contratto nazionale né un piano indigeribile per i sindacati.
Eppure la vicenda Alitalia è paradigmatica di quello che oggi è il nostro Paese. Ed è per questo che la soluzione marcherà in modo indelebile la qualità di chi si siede fa al tavolo. Politici, sindacalisti, azionisti e banche.
Abbiamo davanti a noi le vicende che hanno coinvolto compagnie in situazioni veramente critiche come Swiss Air, Iberia, Vueling i cui vertici hanno saputo puntare su piani aziendali innovativi seppur molto pesanti.
Di fronte a questa azienda e ai suoi problemi ci si può rassegnare alla sua fine ineluttabile accettando un piano che va bene a tutti ma che pregiudicherà, posticipandone solo la fine, il futuro per migliaia di lavoratori. Oppure fare ciò che serve.
Il punto, però, non è trovare un accordo a qualsiasi costo. È scontato che lo si troverà. Il punto è che questo accordo segni finalmente una svolta vera utile all’impresa, ai lavoratori che resteranno e al Paese.