Imprenditori immigrati e commercio tradizionale…

Oggi nessuno fa più caso se la pizza è sfornata da un pizzaiolo egiziano o napoletano. Ci abbiamo messo qualche decennio a capire che una pizza fatta bene e il pizzaiolo che la prepara sono due cose diverse. Secondo un’elaborazione  della  Camera di commercio di Milano su dati del registro imprese a Milano ci sarebbero 119 pizzaioli egiziani contro 31 campani e 10 napoletani doc A Roma il 18,1% delle pizzerie e’ gestita da egiziani e il 10% nella provincia di Monza e Brianza. La tradizione resiste ancora a Napoli dove solo due egiziani risulterebbero titolari di un ristorante e nessuno registrato come pizzeria.

Se guardiamo i dati al 31 dicembre 2023 in Italia ci sono 775.559 imprenditori nati all’estero (10,4% del totale) e 586.584 imprese a conduzione prevalentemente straniera (11,5%). Negli ultimi dieci anni (2013-2023), appare evidente la diversa tendenza tra imprenditori nati in Italia (-6,4%) e nati all’estero (+27,3%). Anche nell’ultimo anno il numero di immigrati è aumentato (+1,9%), mentre quello dei nati in Italia ha subito un lieve calo (-0,6%). (Elaborazioni Fondazione Leone Moressa). 2,4 milioni di lavoratori immigrati, producono 154 miliardi di PIL (9%). Sono previsti almeno altri 574 mila ingressi per lavoro tra il 2023 e il 2026. E  il fabbisogno di manodopera rimane alto a causa di crisi demografica e gap di competenze.

La popolazione straniera residente in Italia si conferma stabile a quota 5 milioni ad inizio 2023, pari all’8,6% del totale. L’età media degli stranieri è 35,3 anni, contro i 46,9 degli italiani. In Europa, i Paesi con più immigrati per lavoro sono Polonia, Spagna e Germania. In Italia, il rapporto tra ingressi per lavoro e popolazione residente (11,3 ogni 10 mila abitanti) rimane per ora inferiore rispetto alla media Ue (27,4). Il primo canale d’ingresso in Italia, infatti, rimane il ricongiungimento familiare (38,9% del totale). L’incidenza sul PIL aumenta sensibilmente in Agricoltura (15,7%), ed Edilizia (14,5%). In dodici anni (2010-22), gli immigrati sono cresciuti (+39,7%) mentre gli italiani sono diminuiti (-10,2%). Incidenza più alta al Centro-Nord e nei settori di Costruzioni, Commercio e Ristorazione.

Nel commercio alimentare, da noi, per ora sono essenzialmente piccoli negozi a conduzione familiare situati in centri commerciali periferici o in quartieri periferici frequentati prevalentemente da immigrati asiatici, o nord africani. Nonostante la loro recente crescita, questi negozi rappresentano ancora una percentuale estremamente modesta sul totale dell’intero comparto alimentare. Oggi temo che chi osserva i fenomeni si limita a guardare il presente proiettandolo nel futuro.  A mio parere il destino del commercio, piccolo o grande che sia,  è ben diverso. Oggi non parlo di omnichannel, multinazionali o tecnologia. Né di affermazione o crisi di formati distributivi, di sconti o di promozioni. Penso però che tra i diversi fenomeni da analizzare, dovremo fare i conti anche con altre situazioni  a cui non siamo ancora preparati. Negozi per ora, che sembrano lontani anni luce, dalle nostre abitudini. Leggi tutto “Imprenditori immigrati e commercio tradizionale…”

Destini incrociati. Walmart risponde ad Amazon..

In linguaggio calcistico, Amazon è stata “immarcabile” per tutto il primo tempo della partita di un campionato tutt’altro che concluso. Ha dominato l’online e insidiato l’offline con la sua pattuglia di negozi fisici. Walmart in quella prima fase non ha toccato palla. Oggi le parti  si stanno  invertendo. Amazon sembra aver rallentato l’iniziativa nel retail USA decisa a riflettere bene prima di piazzare le prossime mosse. Ha ingaggiato un’ottima squadra esperta di negozi fisici e si prepara a rilanciare. Nel frattempo l’avversaria più importante ha replicato mettendo in campo tutta la sua forza.

Secondo  Panos Mourdoukoutas, in un recente intervento su Forbes, proprio  nell’omnichannel, Walmart starebbe assaporando  la sua rivincita su Amazon. Contando sulla forza e sulla numerica dei suoi negozi fisici e dopo anni di investimenti in tecnologia e capacità digitali, i risultati cominciano a vedersi. “C’è stato un tempo in cui la leadership di Walmart stava perdendo colpi. Amazon l’ha presa in contropiede, ha invaso il suo  spazio cambiando le regole del gioco e dando l’impressione ai concorrenti tradizionali, che l’online, anche nel food,  avrebbe prevalso in tempi brevi. C’è voluta la pandemia e le cautele degli investitori nel  post pandemia per rallentarne la marcia e consentire  così a Walmart di riprendere il campo” ha concluso il professor  Mourdoukoutas.  Il retailer ha investito cifre folli  per risalire la china. Ha ingaggiato i migliori talenti dello sviluppo software, ha acquisito capacità digitali per espandere la sua presenza nell’online e ha sviluppato la sua versione del programma Prime di Amazon. Inoltre, il gigante di Bentonville  ha lanciato Walmart Connect. Una piattaforma di pubblicità digitale che consente agli inserzionisti di accedere alle proprietà online di Walmart, incluso il suo sito web, l’app mobile e altri canali digitali, rivolti alla enorme base di clienti dell’azienda. 

Più recentemente, Walmart ha acquisito VIZIO HOLDING CORP per circa 2,3 miliardi di dollari per accelerare ulteriormente Walmart Connect negli Stati Uniti. L’acquisizione di VIZIO e del suo sistema operativo (OS) SmartCast consentirà a Walmart di connettersi e servire i suoi clienti in modi nuovi, tra cui la televisione innovativa,  l’intrattenimento domestico e le esperienze multimediali. Il retailer  “tradizionale” sta lentamente iniziando ad assomigliare alla start-up online che ha cercato di portare via il suo mercato. “Sì, Walmart sta iniziando ad assomigliare di più ad Amazon”, ha detto Michael Zakkour, un esperto di retai ed e-commerce, alla rivista online International Business Times. “Walmart ha trascorso gli ultimi cinque anni a ricostruirsi, da leader nei negozi fisici a leader nel suo campo  più rivenditore di e-commerce, in un ecosistema commerciale completo”.

Nel frattempo, Walmart sta capitalizzando la sua vasta rete di negozi fisici per cavalcare la nuova tendenza: omnichannel o unichannel che dir si voglia.  “È la fusione delle vendite online e offline e l’integrazione di tutti i canali e dei punti di contatto di scambio. Questo nuovo modello organizzativo  consente al retailer di interagire con i clienti in modo coerente e offrire esperienze rapide, personalizzate e convenienti, guidando in ultima analisi la soddisfazione, la fedeltà e la crescita del business. Ad esempio, i clienti di Walmart possono ordinare la merce online e ritirarla in un negozio  locale o farla spedire loro per la consegna in giornata. È qualcosa che manca ad Amazon, almeno in luoghi in cui non ha una presenza fisica o un magazzino. Leggi tutto “Destini incrociati. Walmart risponde ad Amazon..”

Unire le forze per crescere. Il caso Decò Italia.

Inutile voltarsi indietro. Solo tra il 2012 e il 2023, in Italia, sono spariti oltre 111mila negozi al dettaglio (-20,2%, un’impresa attiva su cinque) e 24mila attività di commercio ambulante. La stessa GDO che aveva rappresentato lo spauracchio del piccolo commercio a partire dagli anni 70 del secolo scorso sta interpretando in termini dimensionali un modello di business  che, complessivamente,  inizia a intravedere il suo capolinea. Pochi si interrogano sul suo futuro. Sia l’incedere lento ma progressivo dell’online con la crescita dei discount che la proliferazione “selvaggia” dei punti vendita nei territori  segnalano che, la fase dove c’era spazio di crescita per tutti, indipendentemente dalla taglia e dalle risorse economiche e umane a disposizione,  si avvia al suo declino.

Sono due, a mio parere,  le domande cruciali che un piccolo imprenditore si trova oggi a dover rispondere. Innanzitutto se l’impresa che ha messo in piedi o ereditato dai suoi genitori e che è stata costruita in un certo modo debba andare avanti sempre così. Se il mantenerla e continuare a gestire avendo la stessa strategia, la stessa idea di fondo e la stesse intuizioni di chi lo ha preceduto anziché un vantaggio competitivo non rischi di trasformarsi piano piano  in un’ossessione etnocentrica. Le imprese sopravvissute o affermate, anche senza necessariamente crescere in doppia cifra, sono quelle dove le generazioni che le hanno ricevute in qualche modo le hanno reinterpretate attualizzandole. In altre parole se da “eredi”  si sono fatti, essi stessi,  “imprenditori”. L’impresa non basta replicarla uguale a sé stessa quando cambia il contesto intorno. Va necessariamente trasformata. La seconda  domanda è se, di fronte agli inevitabili passaggi generazionali  è più importante che sopravviva l’impresa oppure che ci continui a lavorare dentro la famiglia indipendentemente dalla capacità e dalle competenze che esprime. A queste due domande un imprenditore preoccupato del futuro della sua impresa non può sfuggire.

Il 99% del tessuto imprenditoriale italiano è rappresentato da PMI: un esercito di imprese che svolgono un’attività fondamentale per l’economia del nostro Paese. Il punto è come non perdere i vantaggi della dimensione senza subirne i limiti. Penso alla conoscenza del mercato di riferimento, alla flessibilità, al rapporto più stretto e personale con i clienti e con i collaboratori, che si traduce a sua volta in una maggiore fidelizzazione che facilita la personalizzazione dei servizi per soddisfare ogni esigenza e determina nei dipendenti un maggior coinvolgimento nella vita e  negli obiettivi dell’azienda. Creando però, alleanze e sinergie con altre realtà simili, si possono creare condizioni positive sia sui costi che sulla competitività ma soprattutto sulle prospettive future. Avere un partner permette di accedere a nuove risorse inclusi nuovi clienti, tecnologie e capitali. Creare una partnership con altre aziende consente di acquisire nuove conoscenze, condividere i rischi, mitigare le esposizione alle recessioni e ai cambiamenti imprevisti del mercato. La condivisione dei rischi economici e degli investimenti è un volano determinante per la crescita per le piccole insegne. Ciò consente anche  l’ingresso su nuovi mercati e il contatto con nuovi clienti.

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Confcommercio. Si cambia? Si, no, forse…

Per Confcommercio si sta avvicinando la scadenza congressuale.  Un momento importante nel quale il Presidente Carlo Sangalli  deve annunciare cosa ha intenzione di  fare. Il quinquennio che si chiude scade nel 2025 e le grandi manovre interne sono in corso  con l’obiettivo, credo,  di garantire, in prima battuta,  la  sua riconferma (per acclamazione) nonostante al 31 di agosto compirà 87 anni.  Escludo che chiunque, con un minimo di buon senso, compreso il diretto interessato, possa ipotizzare la riconferma per l’intero prossimo mandato visto che, nel 2030,  il presidente raggiungerebbe i 92 anni.

Una sostituzione quindi inevitabile ma non certo facile per come è costruito il potere reale interno alla Confederazione di piazza Belli. Indipendentemente da come la si pensi sull’uomo, Carlo Sangalli, oggi, “è” la Confcommercio. L’ha presa in mano in un momento critico dopo la defenestrazione di Sergio Billé, l’ha gestita, attraverso il suo cerchio magico impedendo, di fatto,  l’emergere di possibili concorrenti in questi vent’anni e si è visto sbriciolare tra le mani, l’unico grande progetto politico in cui ha creduto e si è impegnato  (Rete Imprese Italia) che ne avrebbe consacrato la leadership politica alternativa a Confindustria. Ha navigato con grande cautela il passaggio dalla concertazione alla disintermediazione evitando toni fuori misura nei confronti della politica, vellicando il centro destra senza però  mettere in discussione esplicitamente l’autonomia della Confederazione, ed ha chiuso il cerchio ottenendo, quasi sul filo di lana, la “bollinatura” del Presidente della Repubblica con la sua presenza alla assemblea generale del 2024  dopo le note vicende che ne avevano in parte incrinato il prestigio pubblico.  Carlo Sangalli è nella condizione di decidere cosa fare in assoluta libertà essendo  circondato, da un consenso praticamente  “bulgaro”. Per questo resto convinto   che  punti ad una soluzione transitoria che lo veda protagonista e consenta alla Confederazione  di costruire, una successione morbida in tempi accettabili. 

Confcommercio tra l’altro non sta affatto meglio, sul piano delle adesioni associative nei territori, rispetto a cinque anni fa. Vive una contraddizione evidente tra le entrate economiche che restano sostanziose  grazie anche ai meccanismi legati alla bilateralità discendente dai contratti dei dirigenti e dei lavoratori dipendenti ma il numero delle aziende associate è ormai di molto inferiore a quelle da sempre dichiarate ufficialmente. Crisi piccoli esercizi a parte, le attività di servizi alle imprese nei territori, a causa delle semplificazioni sugli adempimenti fiscali e gestionali intervenuti,  si sono compresse e molte di queste associazioni territoriali dipendono economicamente dalla risorse provenienti dal centro.

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In Europa Conad è in ottima compagnia…

Il futuro è nelle concentrazioni e nelle alleanze. Non solo a livello nazionale. Kaufland la catena dedicata ai formati maggiori del gruppo Schwarz  era da tempo alla ricerca di una nuova collaborazione internazionale. Dal 1 gennaio 2025 entrerà in AgeCore l’alleanza europea fondata nel 2015 e che comprende attualmente Colruyt (Belgio), Coop (Svizzera), Conad (Italia) ed Eroski (Spagna). Kaufland punta a sviluppare sinergie per i suoi acquisti internazionali.

Nel comunicato emesso dalla sede di Neckarsum e pubblicato dalla Lebensmittel Zeitung: “L’orientamento strategico di Agecore e dei suoi soci permetterà a Kaufland di “rispondere ancora meglio alle sfide in un ambiente in rapida evoluzione: Oltre alla cooperazione a lungo termine con i fornitori, anche temi come la sostenibilità, la digitalizzazione, l’IA e l’importanza dei marchi saranno al centro del lavoro dell’alleanza”. Joerg Ossenberg-Engels, Chief Procurement International di Kaufland ha dichiarato: “Attraverso le strutture di acquisto degli altri soci di Agecore, che sono ideali per noi, aumenteremo  la nostra efficienza nel business del marchio a livello internazionale. Di conseguenza, Kaufland, entro la fine dell’anno abbandonerà l’impegno con l’European Marketing Distribution (EMD).

Secondo Lebensmittel Zeitung la pressione competitiva negli acquisti di Rewe (Coopernic, Eurelec che ha da poco associato anche Ahold Delaize) e Edeka (Everest e Epic partner) li aveva messi in affanno. Per quanto riguarda la manutenzione ordinaria dei Pdv in Germania sono cinque le filiali Kaufland messe in discussione già nel 2023 e che chiuderanno   tra il giugno di quest’anno  e marzo 2025. Secondo Heilbronner Stimme nel giugno 2024 hanno già chiuso  Siegen e Greiz. Seguiranno nel settembre 2024 Bochum-Ruhrpark. Nel 2025, a gennaio, chiuderà la filiale del Palais Vest a Recklinghausen e infine Dortmund-Mengede a marzo prossimo. Niente di straordinario rispetto al numero complessivo di punti vendita della catena.

“Con l’entrata di Kaufland, confermiamo la nostra volontà di stringere collaborazioni di lungo termine con i nostri partner-fornitori – ha dichiarato Dirk Depoorter, CEO di AgeCore – Nei prossimi anni tutti noi dovremo affrontare sfide impegnative. Per questo, vogliamo rafforzare ulteriormente la collaborazione ed elaborare soluzioni nuove, volte a incrementare la sostenibilità delle filiere alimentari, avanzare nel percorso di digitalizzazione, guidare l’impatto dell’intelligenza artificiale, ridefinire il ruolo dei brand e sviluppare piani di crescita adeguati, in un momento storico caratterizzato da inflazione e difficoltà economiche.”

Kaufland, è un’insegna della grande distribuzione internazionale, è parte del Gruppo Schwarz, uno dei principali retailer  in Germania e in Europa. Il gruppo, con le sue due insegne, Kaufland e Lidl, è, ormai da anni, il primo retailer del continente. Nel mondo è quarto, dopo Walmart, Amazon e Costco. Kaufland ha la propria sede a Neckarsulm, nel Baden-Württemberg, e offre un ampio assortimento di prodotti alimentari (90%) e di articoli dedicati alle varie esigenze della vita quotidiana. I suoi oltre 1.550 negozi sono frequentati ogni anno da più di 1,4 miliardi di clienti, in Germania e in altri sette paesi. La società è in costante crescita, e nel 2023 ha raggiunto un fatturato di 34,2 miliardi di euro. “Più di 350.000 collaboratori lavorano nei nostri 9.405 negozi Agecore, offrendo un’ampia gamma di prodotti, con l’obiettivo alla crescita delle nostre attività e di quelle dei fornitori. La convinzione di oggi e la sfida per il domani è che questi prodotti soddisfino le esigenze dei nostri 8,5 milioni di consumatori giornalieri”, conferma Dirk Depoorter. Leggi tutto “In Europa Conad è in ottima compagnia…”

Conad. La Grande Distribuzione non è solo un insieme di supermercati…

Ci sono realtà della Grande Distribuzione che segnano il campo da gioco. L’eco di ciò che fanno esce dal solito cortile dove siamo un po’ tutti abituati a parlarci addosso. Conad è sicuramente una di queste. Leader del settore in Italia, con un fatturato di oltre 20 miliardi di euro, in crescita dell’8,11% rispetto all’esercizio precedente, con una quota di mercato di poco al di sopra del 15% sul totale della grande distribuzione italiana. Sul piano occupazionale al 31 dicembre 2023 gli occupati del Sistema Conad sono cresciuti passando dai 74.113 addetti del 2022 ai 77.820 del 2023, con un aumento del 5% rispetto all’anno precedente distribuito nelle 5 cooperative e gestiti dai  2100 soci che vi aderiscono. Conad è presente con 3.300 punti vendita in 1.600 Comuni e 107 province italiane.

Insieme a Esselunga, Coop Italia, Eurospin e Lidl formano il club  di aziende top class per il fatturato e le performance  (l’esclusivo over Five Billions Club). Il resto segue. Le decisioni che vengono assunte da queste insegne e da poche altre, le loro sperimentazioni, i loro investimenti e i loro comportamenti influenzano inevitabilmente a cascata tutto il comparto, e, di fatto,  ciò che succede, a monte e a valle della filiera. Restano le altre, multinazionali a parte,  con profili differenti. Ottime realtà regionali o multi regionali, consorziate in centrali o meno, con o senza franchisee in grado di tenere testa a chiunque nei loro perimetri ma più impegnate a mantenere  le proprie performance, like for like, che a provare ad  uscire, rischiando in proprio, dalla loro zona di comfort. 

Anche per questo  la presentazione del bilancio di sostenibilità del 2023 di Conad, diventa un elemento importante proprio per cercare di comprendere l’approccio su alcuni temi, la convinzione o meno che il comparto stesso assuma determinate priorità fuori dalle logiche di green washing e consolidi un percorso virtuoso che, oltre ai temi dell’innovazione tecnologica e organizzativa, metta al centro la sostenibilità ambientale del proprio agire, la condivisione delle iniziative con i rispettivi fornitori, il rispetto del lavoro nell’intera filiera e il rapporto con le comunità nelle quali ciascun loro punto vendita, opera e interagisce.

Il primo dato che emerge dal Rapporto è l’unità di intenti delle cinque cooperative che ne sorregge l’impianto e la serietà. Non sono certo superati i mal di pancia interni sulla gestione complessiva ma, dalla lettura, emergono valori condivisi, il senso di una  comunità in cammino, la condivisione di una responsabilità politica e sociale e una direzione di marcia assolutamente percepibili negli impegni e nelle azioni contenute nel documento presentato. Un passo in avanti. Dai dati emerge, dal punto di vista ambientale, come Conad abbia completato un ulteriore efficientamento delle proprie attività logistiche. A fronte di un aumento delle merci trasportate del 3,4%, le emissioni di co2 sono aumentate solo dell’1,4%, determinando una crescita dell’efficienza del 2,2%. Ciò è stato possibile grazie alla selezione di fornitori virtuosi per i servizi di trasporto, e grazie alla progressiva implementazione di Conad Logistics, modello unico in Italia basato sul trasporto franco fabbrica, che consente di ritirare la merce direttamente dai fornitori e gestire a livello centrale i trasporti verso i centri di distribuzione di Conad e delle cooperative associate. Leggi tutto “Conad. La Grande Distribuzione non è solo un insieme di supermercati…”

FNAC Darty punta a Unieuro. Nasce la risposta europea ad Amazon (e non solo)

Questa operazione è una  forte  risposta tutta  europea all’espansione delle vendite on line e alla forza di penetrazione di realtà planetarie come Amazon nella vendita dell’elettronica di consumo. Singolare è la coincidenza con l’Amazon Prime Day 2024. Dimostra che la partita tra il gigante di Seattle e  i diversi settori con cui si misura quotidianamente è ancora aperta e si gioca sulla dimensione societaria e sulla costruzione della qualità del rapporto e del servizio con il cliente. Per questo la fusione tra Fnac Darty e Unieuro è un’operazione importante dopo l’acquisizione, l’ottobre scorso, di Mediamarkt Portugal.  Nasce quindi un leader europeo nella vendita di prodotti elettronici, elettrodomestici, prodotti e servizi editoriali nell’Europa occidentale e meridionale con oltre 10 miliardi di euro di fatturato, 30.000 dipendenti e più di 1.500 negozi.

Enrique Martinez, Amministratore Delegato di Fnac Darty, ha dichiarato: “Questo progetto rappresenta un’opportunità unica per il Gruppo Fnac Darty di perseguire la sua ambizione a lungo termine consolidando i propri mercati e rafforzando il proprio modello economico su scala europea. La nostra presenza geografica verrebbe notevolmente ampliata e potremo supportare Unieuro nella sua continua processo di digitalizzazione e trasformazione verso una maggiore attenzione ai  servizi, in linea con il nostro piano strategico Everyday”.

Everyday,  lanciato da FNAC Darty nel 2021 prevedeva tre obiettivi da realizzare entro il 2025. Innanzitutto oltre il 50% degli investimenti avrebbero dovuto essere dedicati al supporto della crescita digitale, in particolare alla modernizzazione e meccanizzazione della piattaforma logistica. E così sta avvenendo.  La consulenza e la digitalizzazione sono state potenziate a tutti i livelli: il Gruppo francese ha così investito nella formazione dei propri dipendenti su competenze, presenza sui social e risposte su misura per ogni cliente in negozio (ritiro dell’ordine, servizio post-vendita, esigenze di riparazione, ricerca specifica, ecc.). L’obiettivo del piano  era che almeno il 30% dei ricavi del Gruppo avrebbe dovuto essere  generato online entro il 2025, di cui la metà omnicanale grazie al comprovato successo di Click & Collect, che riflette la natura complementare di offline e online. Il secondo asse del piano prevedeva, in prospettiva,  l’offerta di prodotti sempre più sostenibili e con l’espansione del servizio di “seconda vita” dei prodotti e dell’opzione di restituzione di quelli  usati come parte di una strategia di economia circolare. Infine l’ambizione di Fnac Darty di diventare il fornitore leader di servizi di assistenza a domicilio, sotto forma di un servizio di riparazione in abbonamento, senza limiti né impegno, che prolunghi la durata di vita dei prodotti. Elementi indispensabili per tenere testa ad Amazon e non solo. Con il suo approccio innovativo al servizio e alla sostenibilità, il piano Everyday puntava e punta a rivoluzionare il mondo del commercio al dettaglio a vantaggio dei consumatori (e del pianeta), accelerando al contempo l’implementazione del modello omnicanale.

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Amazon per la sostenibilità. Il rapporto 2023

Global Optimism ha co-fondato The Climate Pledge con Amazon nel 2019. Oggi è composto da oltre 450 aziende che stanno lavorando insieme per produrre soluzioni pratiche per il clima. Le aziende Climate Pledge sono importanti marchi provenienti da quasi tutti i settori. L’ambizione è quella di raggiungere, insieme, zero emissioni di carbonio entro il 2040. Il Climate Pledge Fund, investirà in aziende che creano prodotti, servizi e tecnologie per proteggere il pianeta.

Lanciato in Europa nel 2020, il programma Climate Pledge Friendly punta ad aiutare i clienti a scoprire e acquistare prodotti più sostenibili. La Commissione Europea (CE) ha riconosciuto il programma Climate Pledge Friendly di Amazon come uno strumento per aumentare la visibilità di prodotti più sostenibili tra i milioni disponibili online. Attraverso le sue proposte “Empowering Consumers for the Green Transition” e le ultime proposte di “Green Claims”, l’UE sta cercando di combattere il greenwashing inasprendo le norme sulle indicazioni verdi e sui marchi di qualità ecologica.

La pubblicazione del rapporto sulla sostenibilità 2023 di Amazon è un  avvenimento importante perché conferma questa direzione di marcia. Alla sua uscita Tony Hoggett SVP worldwide grocery store Amazon ha scritto su LinkedIn: “Sappiamo che i progressi appariranno diversi ogni anno in questo viaggio verso la sostenibilità ambientale e, man mano che l’attività di Amazon si evolve e cresce, sappiamo anche che i nostri sforzi produrranno risultati diversi. Tuttavia, rimaniamo convinti che mentre inventiamo e progrediamo, faremo la nostra strada per soddisfare il nostro impegno per il clima”.

Dalla lettura del rapporto si evidenziano alcuni punti interessanti. Innanzitutto l’obiettivo di arrivare al 100% da energia rinnovabile nel 2030 nelle operazioni globali, compresi i data center, edifici aziendali, negozi di alimentari e centri di distribuzione è stato raggiunto con sette anni di anticipo, grazie a più di 500 progetti solari ed eolici a livello globale. Inoltre, Amazon dichiara di essere  stato il più grande acquirente aziendale di energia rinnovabile per quattro anni consecutivi, secondo Bloomberg NEF (società di ricerca che fornisce dati analisi e approfondimenti indipendenti). Nel 2023, Amazon ha ridotto l’impronta di carbonio del 3%. In poche parole il calo dell’intensità di carbonio (-13%) indica che crescita del business e delle emissioni non procedono più in parallelo come in passato. Leggi tutto “Amazon per la sostenibilità. Il rapporto 2023”

Grande distribuzione senza casse? Per ora, il modello è ibrido…

Pick&Go (Prendi e vai) Cosa ci potrebbe essere  di più semplice quando si va a fare la spesa. Eppure ai primi segnali di ridimensionamento del progetto Amazon Go, le campane a morto degli  osservatori più tradizionalisti sono suonate a martello. Amazon, però, lo aveva  spiegato bene. Si è trattato di passo indietro funzionale alla riprogettazione  dell’intero ecosistema vera priorità del gigante di Seattle. I suoi manager si erano spinti troppo in avanti sopravvalutando gli impatti che avrebbero ottenuto sui consumatori, sottovalutando i bug e i limiti che lo sviluppo della tecnologia non aveva risolto, l’enorme lavoro di controllo. Non considerando poi che la tecnologia in sé resta un mezzo e non certo un fine. E ultimo ma non meno importante, avevano sottovalutato che la competizione avveniva con competitor in grado di reagire localmente che quel mestiere lo conoscono benissimo avendolo presidiato con competenza e bravura da decenni.

E così, invece di insistere sulla loro tecnologia “Just Walk Out”, hanno fermato le macchine, affidato il timone a mani esperte del settore e puntato con le nuove aperture, ad esempio,  dei suoi Fresh Convenience Stores a Londra, ad un sistema ibrido. Saranno  i clienti a decidere se vogliono essere osservati da un’intelligenza artificiale mentre fanno acquisti per evitare di dover andare alla cassa o se preferiscono pagare come al solito. Nel frattempo, nel resto del mondo, quell’intuizione ha fatto numerosi passi in avanti. Sono ormai centinaia i punti vendita di diverse insegne che sperimentano formule analoghe. È una traiettoria inevitabile. Una tendenza in atto destinata a crescere nel tempo pur con  funzionalità  e metodologie diverse. Anche in Italia procedono i test dai Tuday Conad a Verona e Trento al nuovo store Esselunga nel Mind Village di Milano.

Tutto lineare quindi? Niente affatto. Per ora questa  tecnologia rimane un esperimento molto interessante che potenzialmente rende più semplice lo shopping quotidiano, ma solo per coloro che sono disposti a rinunciare alle abitudini praticate per decenni e a lasciarsi coinvolgere. Per renderla affidabile completamente e adatta ai diversi formati sarà necessario ancora molto lavoro. Le tecnologie pionieristiche di questo tipo spesso non sono né immediatamente redditizie né funzionanti perfettamente   ma devono essere sperimentate dalle imprese e dagli utenti e adattate ai loro scopi. È ovvio che chi la propone ne elenca più i pregi che i vincoli ancora presenti. È altrettanto ovvio che numerosi interrogativi restano aperti. Vincoli indotti dalla dimensione del PDV, di rilevamento della merce, di sostituzioni tra prodotti simili ma con costi diversi, di addebito della spesa, di furti e truffe, ecc.

La stessa REWE che del modello ibrido ne ha fatto un punto importante della sua strategia, dichiara:  “Nell’ambito del progetto di test ‘REWE Pick&Go’ impariamo ogni giorno e siamo continuamente alla ricerca di buone soluzioni quando le funzioni non soddisfano i nostri standard o le aspettative dei clienti. Alcune soluzioni sono ovvie, ma con alcune discrepanze abbiamo bisogno di un po’ più di tempo per identificare le aree problematiche e implementare efficacemente le soluzioni. Siamo sempre grati ai nostri clienti per il feedback ricevuto in questo test e lavoriamo costantemente per sviluppare la soluzione migliore”. Dobbiamo quindi distinguere la strategia, dai singoli step, dal loro impatto sui modelli organizzativi e sui clienti  e dai tempi necessari alla loro implementazione su larga scala.  Leggi tutto “Grande distribuzione senza casse? Per ora, il modello è ibrido…”

Confcommercio e Conad. Le ragioni di un rinnovato percorso comune.

In altri tempi qualcuno avrebbe detto, nemmeno tanto sottovoce, che i “cosacchi” stavano per abbeverare di nuovo i loro cavalli nelle fontane di San Pietro. Mauro Lusetti, Presidente Conad, è stato nominato  Vice Presidente di Confcommercio in sostituzione del dimissionario Francesco Pugliese uscito un anno fa  da Conad. Lusetti ha, dalla sua, un “peccato originale” per il mondo dei commercianti di piazza Belli che in altri tempi sarebbe stato un handicap insormontabile: ha iniziato la sua carriera in Legacoop Modena nel 1974, e, dopo un lungo percorso in Conad, fino a diventare amministratore delegato di Nordiconad dal 2001 al 2014, c’è però  “ricascato”.  E, dal 2014 al 2023 è ritornato alla presidenza Legacoop prima di essere nominato a maggio 2023 presidente del Consorzio. Ovviamente un po’ si scherza. Anche se, in diversi ambienti, permane una sorta di conventio ad excludendum  (decisamente fuori dal tempo) nei confronti del mondo cooperativo.

A differenza di Pugliese il cui CV è caratterizzato da un’esclusiva provenienza manageriale  e che aveva, dalla sua, un’immagine esterna  estremamente decisa, nel caso di Lusetti, il percorso manageriale che è comunque significativo,  è ben sostenuto  da un profilo associativo e quindi più politico. Tanta acqua  è però passata sotto i ponti e la stessa Confcommercio, pur orgogliosa della sua collocazione politica e ideale dalla quale schiaccia l’occhiolino ai partiti di  centro destra, non è esposta come Coldiretti. Soprattutto l’esperienza politica  di Ettore Prandini non è minimamente paragonabile a quella di Carlo Sangalli. Quest’ultimo  conosce bene la differenza tra esprimere una malcelata simpatia di parte e tracimare in un campo privo di golene come quello della politica e dei suoi esponenti pro tempore come sta facendo il Presidente di Coldiretti.

Per questo la sua linea politica da sempre privilegia una azione felpata fatta di segnali sulle materie di interesse ma in posizione sempre defilata. Lo slogan “Terziario, si,  ma secondi a nessuno” più rivolto al resto dell’associazionismo di impresa  è ripetuto spesso dal suo Presidente. È una scelta di posizionamento precisa che non si muove su terreni vischiosi  ma sollecita risposte senza alzare la voce a favore di telecamera. Può piacere o meno ma questo  è Sangalli.

Per Confcommercio, la presenza, tra le sue fila di Conad, leader nella GDO e di altre realtà importanti rappresenta un tassello decisivo nella rivendicazione della  rappresentanza complessiva del terziario italiano. D’altra parte, Conad con il mondo politico  che l’ha generata non c’entra praticamente più nulla. Durante la vicenda Auchan c’era pur stato  chi, tra i contrari all’operazione, aveva  suggerito di riesumare  il fantasma di Palmiro Togliatti per contrapporlo al “perfido immobiliarista” Raffaele Mincione e far nascere nei cooperatori più ingenui qualche  senso di colpa, ma il tentativo è andato a vuoto. Conad oggi è una realtà imprenditoriale a 360° di primo piano. Orgogliosa della sua identità cooperativistica ma diversa  da altri modelli di impresa. Semmai è, a mio parere insopportabile, la competizione (non so se definirla infantile o senile)  tra cooperative. Ma per ora è così. Leggi tutto “Confcommercio e Conad. Le ragioni di un rinnovato percorso comune.”