Ventiquattro associazioni datoriali (insieme ai tre sindacati confederali) rinnovano il CCNL della logistica.

Venerdì 6 dicembre 2024, le Organizzazioni Sindacali FILT CGIL, FIT CISL e UILTRASPORTI hanno siglato con le 24 associazioni datoriali (tra cui Assologistica, e Fedit assistite da Confetra) l’ipotesi di rinnovo del CCNL Logistica, Trasporto merci e Spedizioni, scaduto da 9 nove mesi. Il nuovo contratto interessa circa un milione di lavoratori e durerà fino al 31 dicembre 2027. Un risultato atteso nel contesto dato, pur in un  comparto attraversato da contraddizioni che rischiano comunque di non risolversi con la firma di questo testo e di contaminare sempre di più i settori per i quali la logistica rappresenta uno snodo decisivo.

Purtroppo la presenza al tavolo negoziale di ben 24 associazioni datoriali, se da un lato contribuisce ad identificare regole e costi comuni dall’altro rinvia i problemi più volte denunciati alla contrattazione di secondo livello, laddove è presente. Qualcosa sul governo del mercato del lavoro però c’è. Sulla percentuale dei lavoratori assunti con contratti atipici (tempo determinato, somministrazione, tempo parziale) rispetto ai lavoratori assunti con contratto a tempo indeterminato pur mitigata da una deroga rispetto alla percentuale in fase di start up per i primi due anni di avvio della nuova attività lavorativa, così come sulla gestione degli appalti e, più in generale, sulle esternalizzazioni. Nulla di rivoluzionario ma una presa d’atto dell’importanza  del problema con l’obiettivo di aumentare il livello di serietà, capacità economica e finanziaria  e qualificazione dei soggetti economici  coinvolti.

È un comparto in crescita che deve fare i conti con evidenti contraddizioni non risolte. Da un lato la presenza diffusa del sindacalismo di base poco sensibile a strumenti  di regolazione del conflitto e, dall’altro, una situazione che presenta ancora cooperative aperte e chiuse ogni anno, pur a volte trasformate in SRL in corso d’opera senza però modificarne la sostanza che spesso si confermano come  luoghi di sfruttamento e, purtroppo,  di evasione contributiva e fiscale. Un comparto, quello della logistica, dove la presenza di lavoratori stranieri supera in molte realtà  il 60% con punte dell’80%. Lavoratori  con esigenze profondamente diverse da chi li ha preceduti e scarsamente interessati ai contributi previdenziali e a promesse di tutele future e dove perfino le realtà che si pongono il problema di superare situazioni di illegalità si trovano spesso contro gli stessi lavoratori che scelgono la strada più semplice ai loro occhi. E su queste esigenze concrete alcuni sindacati di base offrono sponde pericolose alla protesta e all’illegalità.

L’intesa prevede un aumento medio a regime di 230 euro per il personale non viaggiante e di 260 euro per il personale viaggiante, che potrà godere anche di un incremento della trasferta minima contrattuale, e l’introduzione di un Elemento Professionale d’Area (EPA), nuova componente retributiva che riconosce le competenze e la professionalità del personale. Viene ridotto l’orario di lavoro,  si interviene sui profili professionali, adeguandoli alla tecnologia e alle nuove figure del settore; tra i nuovi profili professionali, da sottolineare, l’introduzione della figura del Mediatore culturale al fine di favorire la comprensione e la comunicazione, vista la presenza, sempre più significativa  di lavoratori appartenenti a diverse culture, lingue e religioni. Leggi tutto “Ventiquattro associazioni datoriali (insieme ai tre sindacati confederali) rinnovano il CCNL della logistica.”

Dumping tra imprese. Quando “sottocosto” ci finisce il lavoratore.

Spesso è difficile filtrare le informazioni che arrivano. Una mezza verità non è di per sé una notizia credibile. Le verifiche sono importanti. Personalmente non sopporto l’arroganza del potere. Soprattutto quando è ben mascherata. Nella GDO si manifesta quando non si paga il dovuto fingendo di farlo, quando si illude il soggetto più debole con promesse  future che non verranno mai mantenute e quando si predica bene ma si razzola malissimo. Recentemente mi è stata recapitata una busta di grande formato.  Quando l’ho aperta all’interno c’era la fotocopia di  quello che sembrava essere un testo di un contratto nazionale. Trecentonovantuno pagine dedicate al comparto del commercio e della distribuzione moderna e un bigliettino di accompagnamento con scritto: “leggilo e se te la senti, commentalo sul blog”.

Ho cercato in rete il testo corrispondente. È possibile trovarlo a questo indirizzo. Definire, prendendo a prestito il termine dal sindacalese,  quel testo  “giallo”, credo sia corretto. Il cosiddetto sindacalismo giallo (in Francia si chiama syndicalisme jaune; in inglese Company unionism) definisce  l’attività antisindacale  compiuta tramite la creazione o il controllo imprenditoriale di sindacati dei lavoratori. Oppure, più banalmente quando il sindacato diventa un interlocutore accomodante del datore di lavoro e non tutela gli interessi dei lavoratori ma quelli personali o aziendali.  Quel testo, è frutto di una evidente  sudditanza che danneggia  non solo i lavoratori ma, addirittura, crea una situazione di dumping tra imprese. Soprattutto se operanti nello stesso territorio.

Nessuno, credo,  avrebbe sollevato il problema, che pure si sta diffondendo,  se non si fosse verificato un incidente di percorso in Campania dove, nel passaggio tra Rossotono (ex Apulia Distribuzione) a Multicedi, Gennaro Rizzo, un rappresentante sindacale regionale della Uiltucs Campania e dipendente di Rossotono in un’intervista  ha spiegato: «Il contratto propostoci è quello che viene chiamato “Cisal-Pirati” (in realtà CISAL-Anpit, una tipologia di testo lontano da quelli sottoscritti da Confcommercio e Federdistribuzione n.d.r.). Se entrasse in vigore realmente questo tipo di contratto, ai lavoratori non verrebbero pagati né gli straordinari, né le quattordicesime, né tantomeno i festivi che invece oggi ci sono garantiti (da Rossotono n.d.r.)  oltre lo stipendio base. Mentre il mondo va avanti – aggiunge amareggiato Rizzo – noi rimaniamo all’età della pietra». I festivi oggi sono pagati il 30% in più, percentuale che sale al 60 nei giorni particolari come quelli del periodo natalizio. «Tutto questo, con il nuovo contratto, sparirebbe. Non solo: a un turno di 4 ore mattutine ne dovrebbe seguire un altro pomeridiano dopo alcune ore di pausa. Questo significa avere una vita stressata, senza possibilità di gestirti il resto del tempo da dedicare alle famiglie o ad altri interessi. In molti stanno pensando se sia meglio licenziarsi e trovare altre strade, come qualcun altro ha già fatto in passato» sottolinea ancora Gennaro Rizzo che lavora nel settore da decenni ed è preoccupato come gli altri per il suo futuro. Ovviamente Rizzo era sostenuto nella sua protesta da tutti e tre i sindacati confederali di categoria.

Da quello che ho letto, e a seguito delle proteste, per questi trasferimenti  sembra si sia trovata una soluzione  . Non ho visto comunicati dei tre sindacati confederali. Però il problema resta comunque aperto. Vista l’intenzione iniziale manifestata da chi ha acquisito i punti vendita e come hanno reagito  i sindacati, qual’è la situazione in Campania o in altre realtà limitrofe? Allargando il discorso spesso questi accorpamenti, passaggi al franchising, subappalti, cessioni vengono viste come semplici transazioni  di carattere commerciale. Pochi vanno a vedere cosa succede alle persone, alle loro retribuzioni alle loro prospettive. E se tutto questo introduce elementi distorsivi della concorrenza. Leggi tutto “Dumping tra imprese. Quando “sottocosto” ci finisce il lavoratore.”

Associazioni di categoria. Gli associati si contano o si pesano?

Se si dovessero contare gli associati effettivi che ciascuna confederazione o associazione vanta senza essere costretta a certificarne la corrispondenza effettiva in molti casi   scopriremmo “magheggi” interessanti. Forse è anche per questo che una legge sulla rappresentanza è lontana dall’essere approvata. Bilanci e numero degli associati non dappertutto sono trasparenti.   Ha ragione Renato Brunetta che, al Meeting di Rimini, ha sostenuto: “Una delle imprese difficili è far tornare in vita i corpi intermedi”. La crisi della rappresentanza sociale ed economica è evidente. Il peso dei sindacati tradizionali sulle questioni di fondo è relativo. La loro capacità di mobilitazione nelle singole imprese è  localizzato in alcuni settori a macchia di leopardo.

La rappresenta datoriale è, di fatto, su un binario morto. La recente elezione di Emanuele Orsini in Confindustria è passata quasi inosservata. In Confcommercio rischia di fare più notizia la  polemica sull’età del suo Presidente o la sua volontà di ottenere un altro mandato che le proposte  sui temi del terziario e dell’economia. Altre organizzazioni datoriali fanno da tappezzeria. Qualche modesto pezzo sui media  in occasione di avvenimenti di settore o interviste dei loro presidenti rivolte più alle dinamiche associative  dei rispettivi mondi che tese ad affrontare i nodi veri del Paese che sembra ricambiare, sempre più disinteressato al loro agire. Alla politica che conta in fondo va bene così.

L’unica confederazione che ha anticipato la fase che vede in campo il Governo di centro destra muovendosi quasi in simbiosi, può piacere o meno,  è stata Coldiretti. Si è mossa però in modo grossolano decidendo di  ingaggiare a testa bassa  uno scontro duro con Confagricoltura (e Confindustria/Unionfood)  ed è anch’essa ormai accompagnata dalle critiche di chi ne sottolinea più la volontà di salvaguardare le sue prerogative e il suo potere che l’effettiva volontà di affrontare i problemi del comparto. Un associazionismo per alcuni, complessivamente  in panchina, per altri, in grande ritardo.

Se poi passiamo alla Grande Distribuzione l’offerta associativa è decisamente sovrabbondante. Abbiamo ben quattro organizzazioni  che ne rivendicano, in tutto o in parte, la rappresentanza o la leadership autonoma sul merito delle questioni di fondo. Tutte firmatarie di contratti nazionali. Due, pur con pesi diversi, sono di rango confederale: Confcommercio e Confesercenti. A livello associativo abbiamo Federdistribuzione e ANCC-Coop. Ci sarebbe anche ANCD-Conad ma, essendo quest’ultima anche in Confcommercio la considero parte del sistema di piazza Belli. Non conto Confimprese ma qualche realtà del comparto c’è anche lì. Amazon, per citare il convitato di pietra del comparto,  sta, in Italia, in  Conftrasporto mentre in Europa sta in Eurocommerce dove c’è tutta la GDO europea, compreso Federdistribuzione e Confcommercio. Nonostante questo la sua attività di lobby la gestisce in prima persona. 

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Confcommercio. Si cambia? Si, no, forse…

Per Confcommercio si sta avvicinando la scadenza congressuale.  Un momento importante nel quale il Presidente Carlo Sangalli  deve annunciare cosa ha intenzione di  fare. Il quinquennio che si chiude scade nel 2025 e le grandi manovre interne sono in corso  con l’obiettivo, credo,  di garantire, in prima battuta,  la  sua riconferma (per acclamazione) nonostante al 31 di agosto compirà 87 anni.  Escludo che chiunque, con un minimo di buon senso, compreso il diretto interessato, possa ipotizzare la riconferma per l’intero prossimo mandato visto che, nel 2030,  il presidente raggiungerebbe i 92 anni.

Una sostituzione quindi inevitabile ma non certo facile per come è costruito il potere reale interno alla Confederazione di piazza Belli. Indipendentemente da come la si pensi sull’uomo, Carlo Sangalli, oggi, “è” la Confcommercio. L’ha presa in mano in un momento critico dopo la defenestrazione di Sergio Billé, l’ha gestita, attraverso il suo cerchio magico impedendo, di fatto,  l’emergere di possibili concorrenti in questi vent’anni e si è visto sbriciolare tra le mani, l’unico grande progetto politico in cui ha creduto e si è impegnato  (Rete Imprese Italia) che ne avrebbe consacrato la leadership politica alternativa a Confindustria. Ha navigato con grande cautela il passaggio dalla concertazione alla disintermediazione evitando toni fuori misura nei confronti della politica, vellicando il centro destra senza però  mettere in discussione esplicitamente l’autonomia della Confederazione, ed ha chiuso il cerchio ottenendo, quasi sul filo di lana, la “bollinatura” del Presidente della Repubblica con la sua presenza alla assemblea generale del 2024  dopo le note vicende che ne avevano in parte incrinato il prestigio pubblico.  Carlo Sangalli è nella condizione di decidere cosa fare in assoluta libertà essendo  circondato, da un consenso praticamente  “bulgaro”. Per questo resto convinto   che  punti ad una soluzione transitoria che lo veda protagonista e consenta alla Confederazione  di costruire, una successione morbida in tempi accettabili. 

Confcommercio tra l’altro non sta affatto meglio, sul piano delle adesioni associative nei territori, rispetto a cinque anni fa. Vive una contraddizione evidente tra le entrate economiche che restano sostanziose  grazie anche ai meccanismi legati alla bilateralità discendente dai contratti dei dirigenti e dei lavoratori dipendenti ma il numero delle aziende associate è ormai di molto inferiore a quelle da sempre dichiarate ufficialmente. Crisi piccoli esercizi a parte, le attività di servizi alle imprese nei territori, a causa delle semplificazioni sugli adempimenti fiscali e gestionali intervenuti,  si sono compresse e molte di queste associazioni territoriali dipendono economicamente dalla risorse provenienti dal centro.

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Confcommercio e Conad. Le ragioni di un rinnovato percorso comune.

In altri tempi qualcuno avrebbe detto, nemmeno tanto sottovoce, che i “cosacchi” stavano per abbeverare di nuovo i loro cavalli nelle fontane di San Pietro. Mauro Lusetti, Presidente Conad, è stato nominato  Vice Presidente di Confcommercio in sostituzione del dimissionario Francesco Pugliese uscito un anno fa  da Conad. Lusetti ha, dalla sua, un “peccato originale” per il mondo dei commercianti di piazza Belli che in altri tempi sarebbe stato un handicap insormontabile: ha iniziato la sua carriera in Legacoop Modena nel 1974, e, dopo un lungo percorso in Conad, fino a diventare amministratore delegato di Nordiconad dal 2001 al 2014, c’è però  “ricascato”.  E, dal 2014 al 2023 è ritornato alla presidenza Legacoop prima di essere nominato a maggio 2023 presidente del Consorzio. Ovviamente un po’ si scherza. Anche se, in diversi ambienti, permane una sorta di conventio ad excludendum  (decisamente fuori dal tempo) nei confronti del mondo cooperativo.

A differenza di Pugliese il cui CV è caratterizzato da un’esclusiva provenienza manageriale  e che aveva, dalla sua, un’immagine esterna  estremamente decisa, nel caso di Lusetti, il percorso manageriale che è comunque significativo,  è ben sostenuto  da un profilo associativo e quindi più politico. Tanta acqua  è però passata sotto i ponti e la stessa Confcommercio, pur orgogliosa della sua collocazione politica e ideale dalla quale schiaccia l’occhiolino ai partiti di  centro destra, non è esposta come Coldiretti. Soprattutto l’esperienza politica  di Ettore Prandini non è minimamente paragonabile a quella di Carlo Sangalli. Quest’ultimo  conosce bene la differenza tra esprimere una malcelata simpatia di parte e tracimare in un campo privo di golene come quello della politica e dei suoi esponenti pro tempore come sta facendo il Presidente di Coldiretti.

Per questo la sua linea politica da sempre privilegia una azione felpata fatta di segnali sulle materie di interesse ma in posizione sempre defilata. Lo slogan “Terziario, si,  ma secondi a nessuno” più rivolto al resto dell’associazionismo di impresa  è ripetuto spesso dal suo Presidente. È una scelta di posizionamento precisa che non si muove su terreni vischiosi  ma sollecita risposte senza alzare la voce a favore di telecamera. Può piacere o meno ma questo  è Sangalli.

Per Confcommercio, la presenza, tra le sue fila di Conad, leader nella GDO e di altre realtà importanti rappresenta un tassello decisivo nella rivendicazione della  rappresentanza complessiva del terziario italiano. D’altra parte, Conad con il mondo politico  che l’ha generata non c’entra praticamente più nulla. Durante la vicenda Auchan c’era pur stato  chi, tra i contrari all’operazione, aveva  suggerito di riesumare  il fantasma di Palmiro Togliatti per contrapporlo al “perfido immobiliarista” Raffaele Mincione e far nascere nei cooperatori più ingenui qualche  senso di colpa, ma il tentativo è andato a vuoto. Conad oggi è una realtà imprenditoriale a 360° di primo piano. Orgogliosa della sua identità cooperativistica ma diversa  da altri modelli di impresa. Semmai è, a mio parere insopportabile, la competizione (non so se definirla infantile o senile)  tra cooperative. Ma per ora è così. Leggi tutto “Confcommercio e Conad. Le ragioni di un rinnovato percorso comune.”