Walmart ripensa all’Europa. E se cominciasse dal nostro Paese?

Noël Zierski, uno degli esperti della GDO mondiale che seguo con maggiore interesse ha avviato su LinkedIn una riflessione sulle possibili prospettive di Wamart. “Il rivenditore, numero 1 al mondo, è al top della sua crescita, i risultati del 3° trimestre 2024 mostrano indicatori in verde: Ricavi a +5,5% (169,6 miliardi di dollari nel trimestre) Utile netto a +8,2% E-commerce a +27% Retail media a +28% Un ROI molto alto del 15,1%! Il prezzo delle azioni è vicino ai 92 dollari, che è un massimo storico, che non si vedeva dal 1999. È aumentato del +200% in 10 anni”.

Dai legami con i ristoranti in negozio a un nuovo marchio del distributore, il retailer ha intensificato i suoi sforzi per distinguersi come destinazione gastronomica a 360°. Il formato Neighborhood Market by Walmart sta aggiungendo negozi e testando nuove sedi con offerte di generi alimentari ampliate. Questi e altri cambiamenti arrivano in un momento in cui il retailer sta intraprendendo un ambizioso piano di crescita quinquennale che include la costruzione o la conversione di oltre 150 sedi entro il 2029 e dopo aver ristrutturato un po’ meno di 700 negozi nel 2024. Per Walmart (e non solo) sono sempre più importanti le attività di complemento alle vendite tradizionali (la pubblicità, i servizi, la monetizzazione dei dati, ecc.). Tutte attività in evoluzione. E, sotto questo punto di vista, Walmart sta andando molto bene. Non solo sugli scaffali degli oltre 5200 negozi.

A Betonville  sanno benissimo che, se attaccati da discount e concorrenti, devono ampliare le loro aree di business e, la loro presenza nel mondo,  non limitarsi a difendersi nei loro negozi.  L’azienda dispone di una notevole potenza di fuoco: “Il debito netto di Walmart si aggira intorno ai 40 miliardi di dollari per un EBITDA annuo di circa 40 miliardi di dollari, il che gli lascia molto spazio per aumentare il debito”. Zierski azzarda: la tentazione di provare a sbarcare di nuovo in Europa, a Betonville potrebbe essere molto forte.  Oggi più dell’80% del business è negli States. Il resto è in Messico, America Centrale, Canada, India  e Cina. Più recentemente, ha attaccato il mercato giapponese, senza successo.

La tentazione potrebbe esserci, almeno “sulla carta”, di studiare l’opportunità di acquistare reti internazionali, al fine di alimentare la propria crescita e ridurre la propria dipendenza dai soli USA. Se non si è scoraggiata di fronte ai suoi fallimenti e se, soprattutto,  gli sono serviti da lezione, Walmart potrebbe pensare all’Europa, che resta un grande mercato, piuttosto ricco nonostante le difficoltà economiche. Le opzioni, per Zierski, sarebbero solo  due. Francia e Regno Unito. Questo perché in Germania Walmart ha già provato nel 1997 ritirandosi  nel 2006. Sul Regno Unito, ho qualche dubbio. Nel 2021 Walmart ha ceduto Asda Group Limited (“Asda”) dopo 20 anni, ai fratelli Issa e TDR Capital una delle principali società di private equity con sede nel Regno Unito, per un valore aziendale di 6,8 miliardi di sterline. Asda è un rivenditore britannico fondato nel 1949 che serve circa 19 milioni di clienti a settimana e attualmente impiega più di 146.000 persone in tutto il Regno Unito. Ha un’offerta multiformato e omnicanale, che vende i suoi prodotti attraverso una rete di 584 negozi di alimentari, 18 stazioni di servizio autonome e 33 negozi Asda Living e anche online. E ha un portafoglio immobiliare significativo. Perché cederla per poi rientrare poco tempo dopo? Leggi tutto “Walmart ripensa all’Europa. E se cominciasse dal nostro Paese?”

Sindacati USA e Amazon. Un rapporto complesso…

Il mondo Amazon è stato sempre posto sotto la lente di ingrandimento dei sindacati in ogni Paese. Al di là del fatto acclarato che le multinazionali, spesso per principio, provocano una diffidenza non sempre giustificata, l’azienda di Seattle, per la sua dimensione e per le problematiche che innesca muove interessi e attenzioni particolari. Amazon nel 2024, nel mondo, ha raggiunto 1.521.000 dipendenti tra tempo pieno e part-time. In Europa sfiora i 150.000 e in Italia arriva a 20.000 collaboratori. Anche per questo fa notizia quando in USA in particolare, o in altre parti del mondo emergono, indipendentemente dalla natura del contendere,  problematiche sindacali.

In questi giorni, agli onori della cronaca, arrivano i lavoratori del Philly Whole Foods Market nel centro di Philadelphia, uno dei negozi della catena di proprietà di Amazon, che il 27 gennaio 2025 voteranno  per decidere se aderire alla United Food and Commercial Workers International Union, secondo un avviso pubblicato il 5 dicembre dal National Labour Relations Board. Se i lavoratori scegliessero di aderire  all’UFCW, il punto vendita  di Philadelphia, diventerebbe la prima sede di Whole Foods sindacalizzata negli Stati Uniti. L’UFCW Local 1776 rappresenta i lavoratori dello stato della Pennsylvania per gli United Food and Commercial Workers. La maggior parte dei suoi membri lavora nei supermercati (il numero 1776 si riferisce all’anno in cui la Dichiarazione d’Indipendenza degli Stati Uniti fu redatta a Philadelphia).

Nel 2018, a pochi mesi dall’acquisizione da parte di Amazon, un gruppo di lavoratori di Whole Foods aveva inviato un’e-mail a quasi tutti i dipendenti del retailer esortandoli alla sindacalizzazione chiedendo l’istituzione di un comitato “interregionale” per affrontare le lamentele dei lavoratori nei confronti dell’azienda. I membri del personale all’epoca affermavano di non essere soddisfatti dei compensi e benefici, erano preoccupati per i licenziamenti in corso e temevano che questi problemi sarebbero peggiorati sotto la proprietà di Amazon. Non se ne è poi fatto nulla, praticamente  fino ad oggi.

In Amazon, il primo magazzino logistico è stato sindacalizzato nel 2022. Gli impiegati della sede di New York hanno votato a favore  nei 27 anni di storia del gigante dell’e-commerce. Non è stata una vittoria schiacciante, 2.654 voti contro 2.131, ma da quel momento  i circa 8.000 lavoratori del magazzino di Staten Island si sono potuti iscriversi alla prima Amazon Labour Union. Tutto è nato da Chris Smalls, un ex impiegato di Amazon licenziato in tronco a marzo del 2020 per aver organizzato una protesta contro l’assenza di misure anti-Covid nel magazzino di Staten Island. Leggi tutto “Sindacati USA e Amazon. Un rapporto complesso…”

REWE in Germania prova a mettere il supermercato in tasca…

PAYBACK, è un Programma fedeltà multipartner  nato in Germania nel 2000, acquisito nel 2011 dal Gruppo American Express che ne ha accelerato il percorso di internazionalizzazione. Oggi è presente in Germania, Italia, Polonia, India, Messico ed è in fase di lancio in molti altri paesi. Il programma è stato lanciato in Italia a gennaio 2014 e dopo 1 anno conta già più di 7 milioni di clienti attivi. È anche un’efficace piattaforma di marketing che offre alle aziende che ne fanno parte la possibilità di raggiungere la propria base clienti e quella degli altri partner con offerte personalizzate sia online che attraverso i canali tradizionali.

La decisione di Rewe di separarsi da Payback e di lanciare il proprio programma di fidelizzazione nel 2025 nasce da qui. Affidandosi a un fornitore esterno come Payback, si rischia di perdere un vantaggio strategico fondamentale: il controllo sulle informazioni dei propri consumatori. In un’epoca in cui i dati guidano il processo decisionale, ciò potrebbe ostacolare la capacità di personalizzare le offerte, ottimizzare il marketing e approfondire le relazioni dirette con i clienti. La mossa di Rewe riflette quindi una tendenza più ampia del settore, in cui numerose  aziende danno la priorità alla proprietà dei propri dati per ottenere un vantaggio competitivo.

Perdere Rewe come partner è un duro colpo per Payback. Secondo “Lebensmittel Zeitung”, Rewe e Penny hanno emesso insieme 17 milioni delle circa 31 milioni di carte Payback in Germania. In Germania, Payback ha raggiunto una penetrazione di circa il 50 percento. Payback è e resta  la più grande piattaforma di fidelizzazione della Germania con 30 milioni di utenti. Rewe collaborava con Payback nel settore dei supermercati dal 2014 e il discount Penny, che appartiene al gruppo Rewe, si è unito a loro nel 2018. Era chiaro già da tempo come Rewe si stesse preparando a questo cambiamento. Ognuno di noi ha in media 7 carte fedeltà nel portafoglio, il che significa che il portafoglio è già strapieno. È quindi estremamente difficile per le aziende le cui carte fedeltà non sono ancora nei portafogli dei loro clienti depositare lì le proprie. Tuttavia, la digitalizzazione crea spazio e consente alle aziende l’opportunità di offrire il proprio programma fedeltà attraverso altri canali.

È indubbio che, la Germania in generale e il Gruppo Rewe in particolare, sono all’avanguardia in Europa sulla digitalizzazione e sull’intelligenza artificiale. Il Gruppo di Colonia ha capito che le innovazioni digitali rappresentano  la chiave per reagire ai cambiamenti del mercato. L’obiettivo è quello di offrire soluzioni personalizzate costruite sulle esigenze individuali dei clienti come ha ribadito Lionel Souque CEO di Rewe: “I clienti non acquistano più solo prodotti, ma si aspettano soluzioni che riflettano il loro stile di vita individuale. Il loro comportamento è in continua evoluzione e le loro esigenze diventano sempre più specifiche. In questo contesto, in futuro saranno a favore solo i programmi di benefit che fanno offerte veramente su misura. E con i quali è possibile ottenere risparmi visibili e percepibili, come con i nostri programmi”.

Questa mossa garantisce la piena proprietà dei dati dei clienti e consente a Rewe di sviluppare un sistema tarato sulle loro esigenze. Nei prossimi mesi l’app diventerà probabilmente il fulcro centrale di tutte le misure che possono essere utilizzate per attirare e fidelizzare i clienti. “Rewe Bonus” si inserisce perfettamente in questa strategia. Non è chiaro se, dopo aver creato il proprio ecosistema di app, Rewe proporrà o meno  a medio termine anche in un abbonamento a pagamento, che potrebbe essere collegato a ulteriori vantaggi per gli abbonati. “Secondo l’analisi degli scontrini le app dei rivenditori sono ancora poco utilizzate”, titola il “Lebensmittel Zeitung”, e probabilmente ciò è dovuto soprattutto “a vantaggi troppo poco attraenti”, spiega il responsabile dell’app comparatore di prezzi. Presso Rewe, ad esempio, i clienti utilizzerebbero l’app alla cassa solo per il 19,5% dei loro acquisti. È vero però che da tempo Rewe promuove massicciamente i vantaggi della sua app su tutti i canali disponibili e ne ha fatto il fulcro di tutte le attività pubblicitarie. Da un lato ciò è dovuto al fatto che, dopo la dismissione del volantino cartaceo l’app, per Rewe, svolge un ruolo centrale nel far conoscere ai clienti le offerte settimanali. Allo stesso tempo Rewe propone settimanalmente coupon digitali con i quali è possibile acquistare a prezzi più convenienti singoli articoli di marca o intere linee di marca propria.

Il Gruppo REWE ha realizzato nel 2023 un fatturato totale di oltre 92 miliardi di euro e impiega circa 390.000 persone in 21 paesi europei. Oltre a REWE e Nahkauf, il gruppo REWE comprende anche altri marchi forti, come la catena di negozi di ferramenta toom, il discount Penny e le aziende turistiche DERTOUR, ITS e Meier’s Weltreisen.

Con REWE Bonus, i clienti del Gruppo possono ora raccogliere crediti in euro nei negozi REWE, nel negozio online REWE e su Nahkauf  (un mercato di quartiere che sta godendo di una crescente popolarità  nelle periferie delle città e nelle aree rurali) che poi possono riscattare nei loro prossimi acquisti – un meccanismo di raccolta unico nel commercio alimentare tedesco. Questo nuovo meccanismo di raccolta, senza conversione in punti, è finora unico nel settore tedesco del commercio al dettaglio di generi alimentari. Il credito può essere riscattato parzialmente o completamente semplicemente scansionandolo alla cassa. Inoltre, restano a disposizione di tutti i clienti più di 300 offerte settimanali. In sintesi il cliente partecipa facendo  acquisti, risparmia euro riceve proposte su misura che soddisfano le sue esigenze negli oltre 3.800 negozi REWE a livello nazionale e nel negozio online REWE. Attraverso diverse componenti del programma, il credito bonus raccolto aumenta direttamente in euro invece che in punti.

Anche la rivale Lidl ha recentemente sperimentato ulteriori sconti istantanei per i membri del suo programma fedeltà Lidl Plus, in cui si stanno testando anche dei cambiamenti: in Svizzera, i clienti Lidl Plus possono già da tempo accumulare punti, che possono essere convertiti in sconti o articoli gratuiti. Sullo stesso principio si basa un programma digitale che Aldi Nord sta testando nei Paesi Bassi. Nel frattempo sarà interessante vedere quanto queste ripartenze presso i retailer di tutta la gamma possano effettivamente incidere sullo sviluppo delle vendite: alcuni tra gli affezionati fan di Payback hanno annunciato online di voler spostare in futuro i loro acquisti da Rewe a Edeka. Se ciò avverrà in misura significativa o meno lo vedremo. In ogni caso, toccherà  a Rewe dimostrare che la decisione di implementare un programma di fidelizzazione dei clienti completamente integrato è stata quella giusta.

Mercadona. Alle radici del suo successo…

Ogni Paese ha la sua cultura. Difficile esportarla. È più facile esportare un modello commerciale adattandolo alla nuova realtà. È stato così per gli ipermercati, per i supermercati e per i discount. Alcune aziende multinazionali esportano metodologie, strumenti, modelli organizzativi conditi dai valori propri della casa madre. Il prof. Zamagni l’ha chiamato “totalismo aziendale”. È in poche parole, l’azienda che basta a sé stessa. Che si propone al contesto nella sua specificità.  E che al proprio interno si muove seguendo un canovaccio simile ovunque nel mondo. Il suo prodotto migliore è l’azienda “glocal”. Quella che riesce a pensare globalmente ma sa anche agire localmente.

Nella GDO, le multinazionali, pur con qualche limite dovuto più alla scelta dei top manager che alle aziende in sé, funzionano così. Non tutte le aziende che vanno all’estero sono multinazionali. Alcune di “accontentano” di presidiare mercati vicini. Soprattutto quelle che non esportano solo prodotti o servizi ma hanno la necessità di esportare la cultura che ne rappresenta la chiave del successo. Mercadona è una di queste. Purtroppo da noi ci si limita a guardare i numeri o l’approccio commerciale mettendo in secondo piano tutto il resto. Il punto è che è il “resto” a renderla un’azienda unica nel suo genere. Proverò a spiegarne le ragioni.

Nel 2023, Mercadona ha aumentato le sue vendite consolidate del 15%, a 35.527 milioni di euro. Di questo totale, 34.124 milioni corrispondevano alle attività in Spagna e i restanti 1.403 milioni a quelle del Portogallo, dove Mercadona conta 49 negozi sui 1.681 totali che compongono la rete di supermercati dell’azienda alla fine del 2023. I risultati  sotto tutti i punti di vista, sono stati ottimi. A dicembre 2023 era stato firmato con i sindacati il contratto aziendale che prevedeva un aumento dello stipendio base legato al CPI, fino al 2,5%, e, se superiore, tale aumento sarà completato fino a un massimo del 6%, legato agli obiettivi di profitto dell’azienda con scadenza nel 2028. L’obiettivo era l’adeguamento dei salari legato all’inflazione. La strategia salariale di Mercadona è quella di collegare la remunerazione alle prestazioni e al contesto economico. L’azienda, pioniera nel settore, continua a portare avanti le proprie politiche di applicazione del riposo settimanale, estendendo ora il riposo per almeno 8 fine settimana all’anno ai lavoratori della logistica.

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Rewe to Go. La spesa in Germania si può fare anche in autostrada

Francesco Guccini gli ha perfino dedicato una canzone. Forse in quegli anni era diverso ma oggi temo che pochi ne colgano all’interno la poesia di allora. Le aree di sosta però ci sono. 403 solo di Autogrill. Ci si ferma per un rifornimento di carburante  o una sosta al bagno e poco più. Un caffé e, se va bene, una “rustichella” o un pranzo veloce. La difficoltà a trovare personale, i prezzi non proprio a buon mercato, la loro diffusione su tutta la rete autostradale potrebbero portare ad un ripensamento del modello ideato da Angelo Bianchetti e costruito nel 1959 a Fiorenzuola d’Arda. In Germania, nel frattempo, si  sta diffondendo un altro modello.

Aral è un marchio di carburanti oggi presente in Germania e Lussemburgo. Prima dell’acquisizione  della British Petroleum i suoi distributori erano diffusi nella maggior parte dei Paesi europei. BP è uno dei quattro maggiori attori a livello mondiale (assieme a Shell, ExxonMobil e Total). Il nuovo negozio autonomo “Rewe to go” presso l’Aral Pulse Park di Mönchengladbach stabilisce un nuovo punto di riferimento per lo shopping presso le stazioni di ricarica per veicoli elettrici. Situato vicino allo stadio del Borussia Mönchengladbach, questa collaborazione con Lekkerland Deutschland introduce un’esperienza particolare. Le sue caratteristiche fondamentali: accessibilità h24x7, telecamere per la visione artificiale e sensori di peso consentono acquisti da asporto rapido.

Si prevede in Germania che il settore della vendita al dettaglio grab-and-go crescerà di oltre il 13% calcolato sul tasso di crescita annuale composto (CAGR) a livello globale fino al 2028, trainato dalla crescente domanda di rapidità e convenienza e dai progressi nella tecnologia di vendita al dettaglio basata sull’intelligenza artificiale. La Germania è in prima linea a presidiare  questa tendenza, con aziende come REWE e la consociata Lekkerland dal 2019 che investono in negozi autonomi per soddisfare le esigenze in continua evoluzione dei clienti. Le soluzioni basate sull’intelligenza artificiale come la visione artificiale riducono i costi operativi fino al 30%, aumentando al contempo la soddisfazione dei clienti eliminando le code e ottimizzando la permanenza nel punto vendita. Per i conducenti di veicoli elettrici, tali innovazioni si allineano perfettamente con la rivoluzione della mobilità, unendo le soste rapide al dettaglio con i tempi di inattività della ricarica, un’opportunità non sfruttata per i rivenditori in Europa e oltre.

Reckon.ai è il partner tecnologico che studia, progetta e gestisce  i sistemi di intelligenza artificiale e visione artificiale all’avanguardia dei negozi autonomi. La loro innovazione alimenta questa esperienza di acquisto rapida, stabilendo un nuovo standard per la tecnologia di vendita ma crea un vantaggio competitivo in un contesto caratterizzato  da velocità, efficienza e sostenibilità.

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Due top manager della GDO internazionale a confronto. Chi ha vinto e chi ha perso..

Quando posso cerco di proporre  cosa c’è dietro le decisioni, i successi o gli  insuccessi delle aziende. Ovviamente è il mio opinabile punto di vista. A me piace parlare di  persone. Colleghi, top manager nazionali e internazionali che propongono progetti, realizzano obiettivi e contribuiscono, con il loro lavoro, a determinare i risultati. E le difficoltà che incontrano. Quando Tony Hoggett ha lasciato Tesco e l’anno successivo, Rami Baitiéh, Carrefour France ho scommesso sul successo di entrambi. I risultati e i rispettivi curricula parlavano per loro. Il primo arrivava a capo dei negozi fisici di Amazon nel food con il compito di ridisegnarne ruolo e prospettive. Il secondo lasciava Carrefour per rilanciare Morrisons in grande affanno in Inghilterra. Tony Hoggett non ce l’ha fatta. Ha gettato la spugna dopo tre anni. Rami Baitiéh ha, per ora, vinto la sua sfida. Ma procediamo con ordine.

Hoggett era convinto che il problema dell’azienda di Seattle nel food fosse proprio crescere nei negozi fisici.  Lo pensavano in molti. Compreso il sottoscritto. L’acquisizione di Whole Foods avvenuta nel 2017 era vista come il primo passo a cui ne sarebbero seguiti altri. Con la scelta di Hoggett Amazon sembrava segnalare la sua intenzione di voler competere con i più forti retailer sul loro terreno. Non solo sul fronte della tecnologia o dell’e-commerce. L’altra gamba sarebbe stata la “piccola” Amazon Fresh da rilanciare. Si discuterà a lungo su chi ha sbagliato. Se è stato Hoggett che ha creduto  possibile “trascinare”  il gigante di Seattle ad imboccare una  strategia di espansione tradizionale nel retail fisico, visto il contesto competitivo, soprattutto negli USA o Amazon a rendersi conto che quella strategia, pur interessante, non fosse compatibile con la propria visione e natura.

Amazon, non è mai sembrata intenzionata ad impegnarsi in una gara complessa a colpi di acquisizioni per competere negli USA e non solo con Walmart, Aldi e compagnia, sul loro terreno. E temo che, pur dopo aver accarezzato l’idea e averlo ingaggiato, non ha mai creduto fino in fondo alla strategia propugnata da Hoggett. Nelle multinazionali succede. Resta l’obiettivo di voler di cambiare radicalmente il modo di fare la spesa. È il percorso che cambia. Amazon resta ancorata all’online e alla tecnologia con l’obiettivo di soddisfare il cliente. Difficile cambiare natura.

Per questo l’oggetto dello scontro non poteva essere che Whole Foods e la sua funzione complementare nell’eco sistema. Ancora oggi il 95% dei suoi clienti è costretto, se vuole  acquistare prodotti CPG, ad andare altrove. Da qui, credo,  la mediazione, nata poco prima dell’addio dell’ex Tesco, che probabilmente voleva quei prodotti sui lineari e una maggiore integrazione con Amazon Fresh  e Jason Buechel che non li voleva. Per chi avesse dubbi basta andare sul sito di Whole Foods dove si legge: “orgogliosi di ciò che vendiamo e ancora di più di ciò che non vendiamo”. La mediazione tra le differenti visioni fu di portare i prodotti Whole Foods nei negozi Amazon Fresh (ma non il contrario), testare  punti vendita più piccoli in alcune realtà e costruire un  micro centro di evasione ordini collegato a una sede di Whole Foods nel sobborgo di Filadelfia di Plymouth Meeting, in Pennsylvania operativo a fine 2025 destinato ad aggiungere costi anziché razionalizzarli. Di fatto un test di grande interesse tecnologico e logistico in grado di esaltare le peculiarità dell’azienda di Seattle. Leggi tutto “Due top manager della GDO internazionale a confronto. Chi ha vinto e chi ha perso..”

Sostenibilità, proteine vegetali e Grande Distribuzione. Chi tira la volata in Europa

Da tempo, in Europa si discute sulla necessità di diminuire l’utilizzo delle proteine animali per incrementare quelle  vegetali. Sicuramente, la guerra in Ucraina e i rischi legati alla sicurezza alimentare hanno contribuito a rafforzare l’idea di una strategia da coniugare agli obiettivi del Green Deal. La sostenibilità ambientale in agricoltura si fa quindi sempre  più importante per ridurre le emissioni di gas serra nel medio e nel lungo periodo. Una transizione di massa è però ancora lontana.

Secondo uno studio di Madre Brava, mentre ciascuno dei 15 maggiori supermercati europei ha fissato degli obiettivi per ridurre le emissioni derivanti dalle vendite di prodotti alimentari, solo cinque si sono impegnati ad aumentare le vendite di proteine vegetali. Nella GDO sono Lidl e Ahold Delhaize in gara per diventare i primi rivenditori al mondo ad allineare le vendite di proteine agli obiettivi climatici. Albert Heijn, una sussidiaria di Ahold Delhaize, ha deciso di portare  al 60% di tutte le vendite di proteine vegetali entro il 2030, come parte di un impegno più ampio da parte dei rivenditori olandesi. Uno degli elementi a vantaggio di Lidl e Ahold Delhaize è il fatto che hanno sede in paesi da tempo  “in prima linea nella transizione proteica a livello globale”, afferma Nico Muzi Managing Director a Madre Brava.

C’è poi l’imperativo climatico. “Dato che carne e latticini sono le maggiori fonti di emissioni nelle attività di un supermercato, gli obiettivi per riequilibrare le vendite di proteine sono una mossa fondamentale anche per raggiungere gli obiettivi climatici net zero”, spiega. Anche Aldi Nord, che opera nella Germania settentrionale, orientale e occidentale e in altri sette paesi dell’UE, proprietaria  di Trader Joe’s negli Stati Uniti, si è impegnata a raggiungere un obiettivo di transizione proteica 60/40 entro il 2030, ma solo nei Paesi Bassi. Altrove, Carrefour e Tesco hanno fissato degli obiettivi per aumentare le vendite di prodotti vegetali, ma senza mirare necessariamente a una riduzione dei prodotti animali.

Sotto questo aspetto è necessaria una certa cautela per evitare che le coltivazioni e gli allevamenti vengano delocalizzati fuori il mercato unico europeo, dove gli standard ambientali e di salute e sicurezza sono meno stringenti – altrimenti si rischia  comunque di vanificare comunque gli obiettivi green. In effetti, i Paesi Bassi sono in prima linea in questo movimento, con 11 supermercati locali che si sono impegnati a raggiungere un obiettivo 60/40 entro il 2030. Oltre ad Albert Heijn e Lidl, tra questi figurano anche Aldi Nord, Jumbo e Plus, tra gli altri. L’aumento della domanda di alimenti di origine vegetale ha portato anche a una riduzione degli acquisti di prodotti di origine animale: le vendite di carne sono diminuite del 16,4% nei supermercati olandesi dal 2020 al 2023. Leggi tutto “Sostenibilità, proteine vegetali e Grande Distribuzione. Chi tira la volata in Europa”

Amazon USA. Nel food deve uscire dall’angolo…

La maggior parte delle operazioni di M&A si incagliano quasi sempre sulla necessità di allineare le diverse culture presenti in chi acquisisce e in chi è acquisito. Nel caso di Amazon e Whole Foods già nel 2017 era chiaro che le difficoltà sarebbero state molto forti . Entrambe le aziende erano dotate di una forte personalità organizzativa con un punto in comune: l’”ossessione” per il cliente visto però da due prospettive molto diverse tra di loro. La prima punta a raggiungerlo e soddisfarlo attraverso la tecnologia e il servizio. La seconda blandendolo con un’esasperata ricerca della qualità del prodotto offerto nel negozio fisico.  In altre parole l’obiettivo dell’acquisizione era mettere insieme il meglio di entrambi i campi. Facile da teorizzare, difficile da mettere a terra.

Andy Jassy, subentrato da poco a Jeff Besoz e proveniente da AWS, il cuore del sistema Amazon, ci ha messo poco a capire che, le due culture altrettanto forti e vincenti nei loro campi d’azione, non avrebbero legato facilmente. Inoltre Jassy doveva anche venire a capo di Amazon Fresh lanciato nel 2007 a Seattle senza grande successo, rilanciato nel 2019, uscito alla grande  dalla pandemia,  ma ancora alla ricerca di una sua vera identità nell’eco sistema  Amazon. Whole Foods, da parte sua, aveva un imprinting troppo forte. Un portato della cultura e del profilo del suo fondatore Jack Makey un personaggio particolare con un grande fiuto per gli affari che ha compreso tra i primi che il biologico avrebbe potuto  diventare un business importante negli USA. L’azienda è cresciuta  lentamente e con fatica fino ai primi anni 90 quando il biologico è esploso. Whole Food si è allargata  così a ovest, in California, e poi è sbarcata a New York. I negozi Whool Foods sono diventati dei templi del bio, pieni di cibi organic, local, vegani, alimenti ispirati dalle diete ‘paleo’, amatissime dalle celebrità Usa, e basate su prodotti freschi, antiossidanti e antinfiammatori. Ma il rovescio della medaglia è che i prezzi sono sempre stati alti. “La qualità richiede che le cose costino, anche tanto”, ripeteva  spesso lo stesso Mackey.

Acquisita l’azienda, messo alla porta Mackey, per evitare traumi organizzavi viene nominato CEO Jason Buechel che in quella cultura è cresciuto ma che non conosce le dinamiche competitive della  grande distribuzione. Whole Foods non compete con Walmart e compagnia. Anzi, per certi versi ne condivide i i clienti che, dopo gli acquisti bio vanno altrove a cercare coca cola e hamburger per i figli..  Jassy allora tenta la mossa del cavallo. L’obiettivo di Amazon  era ed è quello di costruire un’esperienza di acquisto  best-in-class, diventando la prima scelta per selezione, valore e convenienza. Insieme a Doug Herrington CEO World Wide Amazon Stores decidono di chiamare  Tony Hoggett da Tesco. Uno dei migliori su piazza con un percorso professionale adatto alla sfida. Hoggett arriva portando con sé Claire Peters da Woolworths supermarket (prima in Tesco) e il direttore della vendita al dettaglio di Boots e anch’esso veterano di Tesco, Peter Bowery.

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Tempo di primi bilanci al “REWE fully plant-based” di Berlino

Il primo novembre si è festeggiato la Giornata Mondiale del Veganismo e Rewe ha colto l’occasione per tracciare un primo bilancio dell’apertura, a marzo 2024, a Berlino, del suo primo e nuovo supermercato vegano . Sono passati più o meno sei mesi ed è tempo per  una prima verifica. Già prima del passaggio a Rewe era comunque un supermercato vegano gestito da Veganz. “È ancora presto per decidere l’espansione in altre realtà del modello” ha affermato Peter Maly, membro del consiglio di amministrazione del gruppo REWE. Sei mesi dopo l’apertura, però Peter Maly si dimostra soddisfatto per i risultati  del negozio. “Lanciare un negozio puramente vegetale nel mercato di oggi è stata una decisione coraggiosa, ma eravamo fiduciosi nella nostra competenza e nell’esperienza dei prodotti vegani dalla gestione di oltre 3.800 negozi in tutta la Germania”.

I dati  confermano che l’idea di un retailer a base vegetale con una gamma completa può funzionare se collocato nella giusta posizione. “Va inoltre  considerato che  le nostre sedi REWE a livello nazionale beneficiano così di prodotti testati per la prima volta nel “REWE voll pflanzlich” (completamente vegetale) prima di essere aggiunti alla più ampia gamma di prodotti REWE”. I dati sono comunque interessanti Con oltre 2.700 prodotti vegani in uno spazio di 212 metri quadrati, il negozio offre verdure fresche, prodotti da forno, articoli refrigerati, dolci e cura della persona ed è frequentato da 5500 clienti alla settimana che possono contare su orari  prolungati fino alle 23.

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Tony Hoggett lascia Amazon.

La notizia non passerà certo inosservata. E il primo a comunicarla su LinkedIn è stato il diretto interessato spiazzando sia l’azienda, presa un po’ alla sprovvista,  sia le riviste USA del comparto che non avevano evidenziato problemi. “Dopo quasi tre anni in Amazon, è arrivato il momento di fare il passo successivo nella mia carriera. Il mio tempo in Amazon è stato incredibile e sono grato ai miei colleghi per il loro supporto, la loro guida e la loro amicizia. Sono ottimista riguardo al lavoro che Amazon sta facendo per migliorare l’esperienza di acquisto dei clienti e non ho dubbi che i team manterranno lo slancio in mia assenza. Farò il tifo per tutti voi”.

Tony Hoggett, SVP, Worldwide Grocery Stores lascia quindi Amazon. Ex dirigente di Tesco, Hoggett ha iniziato a lavorare in Amazon nel gennaio 2022 e ha fatto parte fino ad oggi, del senior leadership team dell’azienda, o S-team, che si incontra regolarmente con il CEO di Amazon Andy Jassy e gli altri alti dirigenti. L’S-Team  comprende i 23 consiglieri più fidati ed è il luogo deputato a  prendere le decisioni strategiche a lungo termine che  modellano il business aziendale. Gli incontri quotidiani coinvolgono per lo più membri dell’ S-Team sul lato retail dell’azienda, come Doug Herrington, CEO, Worldwide Amazon Stores,   Brian Olsavsky, SVP and CFO,  Udit Madan, VP, Worldwide Operations, Drew Herdener, SVP, Communications & Corporate Responsibility  e la responsabile delle risorse umane Beth Galetti, SVP, People eXperience and Technology. Vedremo presto chi sostituirà Tony Hoggett.

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