Top Employer. È ora che i migliori facciano scuola nella GDO..

È un riconoscimento che certifica un impegno costante e quotidiano. Il Top Employer Institute  valuta  e conferma le pratiche HR eccellenti, condizione indispensabile per attrarre, coinvolgere e trattenere le migliori risorse umane.  Aggiungo che mette sotto i riflettori il lavoro delle direzioni risorse umane delle aziende. Solo cinque realtà  della GDO alimentare sono presenti. Carrefour, Lidl, Maiora, Metro e Penny. Aziende che investono sulla crescita loro capitale umano pur non rinunciando alle loro traiettorie di business. Il Top Employers Institute è l’ente certificatore delle migliori pratiche che coinvolgono la gestione e lo sviluppo delle risorse umane.

Nel 2025 sono 151 le aziende che hanno raggiunto o confermato  il titolo di “Top Employers”. Per ottenerlo occorre predisporre iniziative che puntino a migliorare l’ambiente di lavoro, a promuovere la crescita delle risorse umane garantendo benessere e inclusività al proprio interno. Da sottolineare che, tra le 151 aziende premiate, 48 hanno ottenuto anche la Certificazione Top Employers Europe 2025, riconosciuta a quelle realtà che si sono distinte in almeno 5 Paesi europei. Inoltre, 15 aziende sono state certificate Top Employers Global 2025, un traguardo riservato a chi si è affermato in diverse nazioni e continenti. Nella graduatoria italiana figurano aziende di spicco come Amazon Italia, Allianz SPA, Lamborghini, Astrazeneca, Unicredit, A2A, STMicroelectronics e DHL. Grandi nomi del panorama industriale e non solo, ma anche realtà del terziario di mercato che hanno migliorato negli anni il loro approccio alle risorse umane.

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Mercanti in Fiera a Marca 2025.

La Marca Del Distributore, per la GDO, ha ormai assunto le caratteristiche della “pietra filosofale”.  Sembra fornire un elisir di lunga vita per le insegne che la propongono e per le imprese industriali che ne condividono la partnership. C’è chi la interpreta come un successo  indiscutibile per la GDO. Chi come la “lepre” che, pur senza volerlo, stia tirando la volata ai discount. Chi rischia di  esagerare nel travestirsi troppo  da discount facendosi del male e chi, come Mauro Lusetti, presidente di ADM, nelle sue conclusioni alla conferenza di apertura di Marca 2025, la legge anche come un nodoso bastone che non è male tenere metaforicamente sul tavolo nelle trattative con l’industria di marca. Un dato però è indiscutibile. Girando per i capannoni della fiera di Bologna incontriamo un’energia imprenditoriale diffusa, caratteristica della nostra economia, che andrebbe dispersa   in mille rivoli se non fosse canalizzata dalla GDO. Piccole realtà industriali del Made in Italy, costruite intorno ad un’idea di prodotto che non varcherebbe i confini del territorio di produzione che spiccano il volo grazie ad un lavoro comune con la GDO nazionale e internazionale. Marca ne rappresenta plasticamente l’impasto riuscito. 

Ai due estremi, nel mondo,  troviamo da un lato la “No Name”  della catena canadese Loblaws, lanciata nel 1978, con un packaging anonimo nero e giallo e con la promessa di costare fino al 40% in meno dei prodotti di marca. Dall’altro sulla fascia alta Eataly che ha deciso di spendere addirittura il suo prestigioso marchio su numerosi prodotti garantendo direttamente il top di gamma della categoria. Se  si dimostrerà un azzardo o meno lo vedremo presto. In mezzo ai due estremi, tutti gli altri. Dalla fantasia dei marchi proposti dai discount fino a denominazioni studiate per suggerire ai consumatori il posizionamento premium del prodotto. Conad si presenta da leader della MDD con i suoi  6,3 miliardi di euro di fatturato, realizzati con oltre 700 imprese partner di tutta Italia. Oltre 5.300 referenze rappresentative di ben 300 categorie merceologiche, dai freschissimi, alla drogheria, fino al non food. Un vero e proprio elemento distintivo dell’identità del Consorzio.

A Bologna, i protagonisti c’erano un po’ tutti. Si aggiravano tra 9 padiglioni e 35.000 mq di esposizione in rappresentanza di oltre 1.300 aziende e 24 insegne GDO. Un’edizione da record che viaggia in parallelo con l’ottimo andamento della Marca del Distributore, in forte crescita. Gli ultimi dati Circana, registrano nei primi 11 mesi del 2024 un incremento a valore per la MDD del 2.4% a totale Omnichannel con circa 26,6 miliardi di euro di ricavi complessivi e 30 punti di quota. Aumento confermato nei volumi, che segnano un importante +3,3% (26 miliardi di euro di cui 14,2 GDO e 11,8 discount).

Resta il dubbio sul reale giro di affari. Alla domanda di Emanuele Scarci (Distribuzione Moderna) nell’anteprima milanese di  presentazione alla stampa, le risposte non sono state del tutto convincenti. Le singole insegne hanno dichiarato per il 2024: Conad 6,3 miliardi, Coop 4,5, Selex 2,3 e Despar 1. Solo queste 4 insegne totalizzano oltre 14 miliardi, senza contare Esselunga, VéGé e le altre. Cifre ben diversecdallecrilevazioni NielsenIQ. Mauro Lusetti ha ipotizzato  che potrebbero essere stati considerati, dalle singole insegne, prodotti non confezionati che non vengono rilevati da NielsenIQ. Mentre Valerio De Molli, ceo di Teha, ha detto che questa metodologia, pur parziale, è l’unico modo per rendere comparabili i dati italiani a livello europeo.

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Walmart ripensa all’Europa. E se cominciasse dal nostro Paese?

Noël Zierski, uno degli esperti della GDO mondiale che seguo con maggiore interesse ha avviato su LinkedIn una riflessione sulle possibili prospettive di Wamart. “Il rivenditore, numero 1 al mondo, è al top della sua crescita, i risultati del 3° trimestre 2024 mostrano indicatori in verde: Ricavi a +5,5% (169,6 miliardi di dollari nel trimestre) Utile netto a +8,2% E-commerce a +27% Retail media a +28% Un ROI molto alto del 15,1%! Il prezzo delle azioni è vicino ai 92 dollari, che è un massimo storico, che non si vedeva dal 1999. È aumentato del +200% in 10 anni”.

Dai legami con i ristoranti in negozio a un nuovo marchio del distributore, il retailer ha intensificato i suoi sforzi per distinguersi come destinazione gastronomica a 360°. Il formato Neighborhood Market by Walmart sta aggiungendo negozi e testando nuove sedi con offerte di generi alimentari ampliate. Questi e altri cambiamenti arrivano in un momento in cui il retailer sta intraprendendo un ambizioso piano di crescita quinquennale che include la costruzione o la conversione di oltre 150 sedi entro il 2029 e dopo aver ristrutturato un po’ meno di 700 negozi nel 2024. Per Walmart (e non solo) sono sempre più importanti le attività di complemento alle vendite tradizionali (la pubblicità, i servizi, la monetizzazione dei dati, ecc.). Tutte attività in evoluzione. E, sotto questo punto di vista, Walmart sta andando molto bene. Non solo sugli scaffali degli oltre 5200 negozi.

A Betonville  sanno benissimo che, se attaccati da discount e concorrenti, devono ampliare le loro aree di business e, la loro presenza nel mondo,  non limitarsi a difendersi nei loro negozi.  L’azienda dispone di una notevole potenza di fuoco: “Il debito netto di Walmart si aggira intorno ai 40 miliardi di dollari per un EBITDA annuo di circa 40 miliardi di dollari, il che gli lascia molto spazio per aumentare il debito”. Zierski azzarda: la tentazione di provare a sbarcare di nuovo in Europa, a Betonville potrebbe essere molto forte.  Oggi più dell’80% del business è negli States. Il resto è in Messico, America Centrale, Canada, India  e Cina. Più recentemente, ha attaccato il mercato giapponese, senza successo.

La tentazione potrebbe esserci, almeno “sulla carta”, di studiare l’opportunità di acquistare reti internazionali, al fine di alimentare la propria crescita e ridurre la propria dipendenza dai soli USA. Se non si è scoraggiata di fronte ai suoi fallimenti e se, soprattutto,  gli sono serviti da lezione, Walmart potrebbe pensare all’Europa, che resta un grande mercato, piuttosto ricco nonostante le difficoltà economiche. Le opzioni, per Zierski, sarebbero solo  due. Francia e Regno Unito. Questo perché in Germania Walmart ha già provato nel 1997 ritirandosi  nel 2006. Sul Regno Unito, ho qualche dubbio. Nel 2021 Walmart ha ceduto Asda Group Limited (“Asda”) dopo 20 anni, ai fratelli Issa e TDR Capital una delle principali società di private equity con sede nel Regno Unito, per un valore aziendale di 6,8 miliardi di sterline. Asda è un rivenditore britannico fondato nel 1949 che serve circa 19 milioni di clienti a settimana e attualmente impiega più di 146.000 persone in tutto il Regno Unito. Ha un’offerta multiformato e omnicanale, che vende i suoi prodotti attraverso una rete di 584 negozi di alimentari, 18 stazioni di servizio autonome e 33 negozi Asda Living e anche online. E ha un portafoglio immobiliare significativo. Perché cederla per poi rientrare poco tempo dopo? Leggi tutto “Walmart ripensa all’Europa. E se cominciasse dal nostro Paese?”

Altroconsumo. Una classifica parziale che però invita le insegne alla riflessione

Nella GDO ci sono classifiche per tutti i gusti. Non essendoci un valutatore terzo certificato,  ciascuno tira l’acqua al suo mulino.  C’è chi considera  l’insegna, chi ci aggiunge le centrali, chi guarda all’anno precedente, chi somma le acquisizioni, chi le sottrae  e chi scommette sull’anno che verrà. E se le cose non sono andate bene ciascuno ha la sua scusa. I fornitori, la meteorologia, il Governo  o i sindacati. I manager di provenienza  commerciale sono “ballisti” per costituzione. Per questi motivi le indagini, se commissionate,  analizzano  caratteristiche specifiche. Altre sono determinate dai numeri. Croce e delizia in un comparto dove si rischia sempre di comparare pere con mele. Nessuno guarda, ad esempio,  se qualche concorrente partecipa alla gara  “dopato” (paga o meno la giusta retribuzione ai dipendenti, il rapporto con i fornitori, ecc.). Tutte le indagini però, indipendentemente dalle loro conclusioni, ci dicono qualcosa di utile. Nessuna, va detto, ci dice come stanno veramente le cose. Per questo vanno prese per quello che valgono anche perché la business community, alle critiche, preferisce, come è ovvio, le lodi “costruttive”. E poi, gli estensori, “tengono famiglia”.

Poche danno la parola ai clienti. L’unica indagine che ne ascolta una particolare tipologia  più evoluta e  attenta ai consumi è quella proposta da Altroconsumo, un’associazione che interagisce con un’area  di oltre un milione di persone che segue le sue attività e ne condivide le campagne da qualche decennio anche attraverso una interessante rivista. Quindi comprende un profilo di consumatore particolare, esigente, attento e maturo. Uno spaccato dell’insieme. Meglio sottolinearlo in premessa per evitare le reprimende di chi si sente maltrattato o escluso. Su questa particolare popolazione  sono stati coinvolti circa 12 mila clienti attraverso un questionario online. Gli intervistati hanno avuto la possibilità di valutare fino a due insegne di cui sono clienti abituali. Questo ha determinato  quattro classifiche generali distinte:  una per supermercati e ipermercati a carattere nazionale (presenti cioè in almeno cinque regioni); una per i discount; una per le catene locali (insegne che, benché conosciute, sono meno diffuse sul territorio).  Una, infine, per i supermercati online.

Le insegne che hanno ottenuto un giudizio ottimo possono inoltre fregiarsi del   sigillo di Altroconsumo “Supermercato preferito dai consumatori” un gadget valutato positivamente da chi lo ottiene e banalizzato da chi resta a bocca asciutta. La storia della volpe e dell’uva, appunto.  È ovviamente una classifica sempre discussa e discutibile (soprattutto da chi non viene citato o arranca dietro i migliori) perché i clienti non sono tutti uguali così come giudizi e motivazioni che spingono a preferire un’insegna rispetto ad un’altra. Abitudine, convenienza, distanza, posteggio, qualità dell’offerta, promozioni, tempo e molto altro influiscono sulle preferenze. Resta comunque un indicatore interessante perché a parlare sono comunque  i clienti. Leggi tutto “Altroconsumo. Una classifica parziale che però invita le insegne alla riflessione”

Serbatoi di mano d’opera, difficoltà nei controlli e responsabilità delle imprese.

Per comprendere cosa muove la Procura di Milano nei confronti delle imprese committenti bisogna partire da  chi interagisce oggi sui piazzali della logistica interpretando i tre ruoli principali in commedia: il lavoro povero, chi lo tutela e chi lo sfrutta. Il lavoro povero è anche figlio dell’immigrazione. Decine di migliaia di uomini provenienti da luoghi diversi che dopo difficoltà di ogni genere vengono istradati, da un nuovo profilo di “caporale” che conosce l’ambiente, spesso appartiene allo stesso gruppo etnico, dentro cooperative cosiddette “spurie” che gestiscono il lavoro e, a volte, una sorta di sistemazione abitativa più o meno precaria. Caporali a cui i nuovi immigrati devono tutto o quasi che interagiscono sia con i responsabili delle cooperative e, non di meno, con le organizzazioni sindacali di base che vorrebbero tutelarne gli interessi. Le aziende che utilizzano determinati servizi logistici terziarizzati spesso si trovano di fronte questa situazione.

Queste cooperative offrono ovviamente prezzi altamente competitivi rispetto ad altre imprese che, più correttamente, applicano il CCNL della logistica e non il multi servizi, il più basso in circolazione,  e puntano ad  una gestione del personale più improntata alla selezione e alla retention delle risorse umane. Alcune di queste cooperative spurie vanno anche oltre. Nascono, muoiono e rinascono dopo aver sfruttato i lavoratori lasciando  buchi contributivi e contenziosi con l’agenzia delle entrate. A quel punto le persone che vi hanno a che fare vengono traghettate da un posto all’altro spesso inconsapevoli di ciò che è avvenuto sopra le loro teste per una questione di lingua, di necessità  o di fiducia in chi li gestisce. 

Quando questo equilibrio strumentale si spezza per qualsiasi motivo l’attività si blocca.  Nascono problemi di gestione interna alle cooperative, partono scioperi e blocchi delle merci improvvisi, interviene la magistratura. O perseguendo i malavitosi, o assolvendo i promotori dei blocchi o, infine, cercando di individuare, a mio parere, strumentalmente un legame tra committente e cooperative che spesso non c’è. 

Quando sento parlare di mancati controlli delle insegne, di fogli Excel con nominativi e turni, ricordo le enormi difficoltà con cui  mi sono dovuto misurare  a Lacchiarella dopo aver fatto costruire reti invalicabili per evitare improvvisi cambi di personale  nottetempo tra regolari e irregolari, visionato elenchi con migliaia di nominativi improbabili provenienti da Paesi dell’Africa sub sahariana impossibili da verificare  e subìto scioperi per aver cercato di bloccare il via vai di merce sottratta dai depositi. Questa volta è toccato ad Aspiag. Prima erano state coinvolte altre insegne a vario titolo.

Il punto di vista del PM Paolo Storari è quindi semplice e si riproduce in fotocopia. Per il magistrato, la responsabilità del reato è dunque condivisa comunque dal committente a cui viene comminata in partenza e a prescindere una forte sanzione. Quest’ultimo  anziché poter difendere le sue ragioni nelle sedi di giudizio deputate, è di fatto costretto a convenire in qualche modo e a correggere  in tutto o in parte una situazione di cui  non è accertata la responsabilità  seguendo le indicazione del PM perché solo così potrà continuare la sua attività. È, contemporaneamente viene sbattuto in prima pagina per subire una condanna popolare, a prescindere. La realtà però è più complessa. Ci sono, come in questo caso,  una o più cooperative che gestiscono i cosiddetti “serbatoi di manodopera” dove passano migliaia di lavoratori. I lavoratori di queste cooperative lavorano nei magazzini per numerosi committenti trai quali ci sono anche aziende della GDO. Vanno e vengono senza alcuna responsabilità dell’azienda committente né possibilità di controllo.

Nell’ultimo caso, che ha coinvolto l’azienda bolzanina, la Procura contesta un presunto reato,  alle “due agenzie del lavoro, che, secondo gli inquirenti, avrebbero omesso sistematicamente di versare contributi e oneri previdenziali dei facchini, accumulando in pochi anni debiti Inps e Agenzia delle Entrate per quasi 25 milioni di euro, e lo hanno fatto anche perché ‘la normativa in tema di appalti non contempla alcuna forma di responsabilità in capo al committente’ per ‘l’omesso versamento di ritenute fiscali e contributi previdenziali su personale somministrato’, come invece accade per le SRL o altre tipologie di impresa dove esiste la cosiddetta ‘responsabilità solidale’ del committente”. Leggi tutto “Serbatoi di mano d’opera, difficoltà nei controlli e responsabilità delle imprese.”

Le difficoltà dei passaggi generazionali nelle aziende (anche) della GDO

Il tema del passaggio generazionale nelle aziende, non solo in quelle delle GDO  riguarda, nel nostro Paese, tre imprese su quattro.  Nei prossimi 20 anni, passeranno di mano, tra generazioni, circa  90 mila miliardi. Un trasferimento di ricchezza che comprenderà non solo patrimoni liquidi ma anche immobili e, soprattutto, partecipazioni in società familiari di diversa struttura e dimensione. Secondo una ricerca del Family Firm Institute nei prossimi 5 anni il ricambio generazionale riguarderà 1 azienda familiare su 5.  Duemilioni di imprese italiane nei prossimi 10 anni. Stiamo quindi parlando di un tema decisamente importante.

Per l’Italia rappresentano un asset strategico decisivo perché siamo il Paese con la più alta concentrazione di imprese familiari a livello europeo. I dati di Aidaf, l’associazione italiana familiy business, ci mostrano anche che le imprese familiari sono tra le più resilienti alla crisi. L’Osservatorio Aub (AIDAF, UniCredit, Bocconi) sostenuto anche da Borsa Italiana, Camera di Commercio di Milano MonzaBrianza Lodi, e Fondazione Angelini)    ha analizzato i dati economici di oltre 11.000 imprese familiari; i dati ne segnalano lo stato di buona salute. Dopo la pandemia sono cresciute in fatturato, redditività e in solidità.  Il tema non evidenzia soltanto un problema economico, di eredità che riguarda solo chi ne è coinvolto, ma anche storico, relazionale, culturale e quindi di legame con i territori di origine.

Imprese presenti in ogni settore, che sono state capaci di crescere grazie ad abilità distintive, flessibilità decisionale, cultura del lavoro, coinvolgimento dei collaboratori, leadership dell’imprenditore, con performance di crescita assolutamente straordinarie. Se analizziamo la personalità degli imprenditori della GDO di successo partiti dalla seconda metà del novecento in quasi tutti troviamo una leadership naturale molto forte, una capacità di osservare e focalizzarsi sui   dettagli, una rapidità decisionale, una predisposizione al rischio, una capacità comunicativa e di coinvolgimento, interna e esterna, un’etica calvinista del lavoro. Ovviamente caratteristiche presenti con pesi diversi nei soggetti presi ad esempio, a seconda del contesto economico e sociale di riferimento. Crescere e lavorare in Lombardia, in Campania o in Sicilia, non è la stessa cosa.

Caratteristiche individuali che non sono facilmente trasmissibili in un passaggio generazionale né spesso funzionali nell’educazione dei figli destinati a subentrare nel business. Delle imprese familiari coinvolte ogni anno in un passaggio generazionale, mediamente solo il 30% circa di esse sopravvive con la seconda generazione, solo il 12% con la terza, ed un esiguo 3% continua ad operare oltre la quarta generazione. Il 66% delle aziende familiari italiane ha un management composto da componenti della famiglia, contro poco più del 30% della media degli altri paesi europei. I top manager sono pochi e difficilmente godono dell’autonomia necessaria. Leggi tutto “Le difficoltà dei passaggi generazionali nelle aziende (anche) della GDO”

Chiusure festive dei Centri Commerciali. Adesso ci riprova la Politica…

Prima o poi doveva succedere che la politica puntasse a riaprire il vaso di Pandora delle aperture festive nel commercio. Un argomento carsico che riemerge di tanto in tanto vuoi dai sindacati vuoi dai territori. Nonostante il tempo trascorso, le liberalizzazioni montiane non sono ancora state digerite. Prima erano i piccoli commercianti a lamentarsi, poi i sindacati di settore, infine alcune associazioni di categoria in cerca di consenso. Il buon senso ha spinto tutti a fare di necessità virtù e l’argomento è stato messo da parte.

Riemerge quando si avvicinano le festività nazionali, religiose o a fine aprile quando l’anniversario della Liberazione  e la Festa del lavoro incombono costringendo a prendere parte al dibattito che poi ritorna puntualmente in “fanteria”. La proposta pre natalizia questa volta arriva da Silvio Giovine deputato di Bassano del Grappa di Fratelli d’Italia. Chiudere categoricamente i Centri Commerciali durante le principali festività (Natale, Santo Stefano, Capodanno, Pasqua, Primo Maggio e Ferragosto). La ratio spiegata a ItaliaOggi “è incidere soprattutto sulla qualità della vita dei lavoratori, migliaia di impiegati che hanno tutto il diritto di poter trascorrere queste giornate di festa con le proprie famiglie”, aggiunge il parlamentare. Ovviamente lanciato il sasso, com’è d’abitudine, per sondare l’umore generale, il deputato aggiunge che si tratta solo di una proposta depositata il 17 dicembre, non  definitiva e dunque che può essere modificata: “Abbiamo già iniziato gli incontri con le associazioni di categoria e l’obiettivo è trovare una sintesi”.

Ad ogni stagione politica qualcuno ci prova a mettere mano al decreto Monti del 2012. Come ho già scritto l’unica festività nazionale esclusa ora (of course) dal parlamentare di Fratelli d’Italia è il 25 aprile. Non credo sia un caso. Personalmente credo che Natale, Capodanno e Primo Maggio rientrino nelle possibilità che anche molti in GDO prenderebbero in considerazione. Già oggi c’è chi lo fa e non succede nulla di sconvolgente. Per questo credo che la posizione interlocutoria di Federdistribuzione e di ANCC COOP che non escludono un possibile confronto sul tema, sia sostanzialmente, apprezzabile. Rifiutare il confronto non è mai una buona scelta. Il rischio che qualcuno ne approfitti per mettere in discussione l’intero impianto delle aperture festive consiglia prudenza.

Quali sono le preoccupazioni dei contrari? Innanzitutto la ovvia concorrenza dell’online. Incentivare gli acquisti dal divano di casa quando i centri commerciali soffrono già una crisi di presenze non è una grande trovata. Chi conosce la funzione sociale dei cosiddetti “non luoghi” sa che oltre ai consumatori attraggono in quei giorni particolari chi è solo, chi non può spendere, chi non sa dove andare. Addirittura chi, in agosto, soffre il caldo. Sarà un’esagerazione, ma tant’è. La loro stessa evoluzione li sta trasformando in centri polivalenti chr puntano all’intrattenimento e ai servizi alla persona con un’offerta molto più varia che in passato. Da qui la posizione netta del Presidente del Consiglio Nazionale dei Centri Commerciali, Roberto Zoia. “L’industria dei centri commerciali genera un impatto, in termini di occupazione, di quasi 750 mila addetti, tra personale diretto e indiretto, che vanno assolutamente tutelati garantendo il lavoro, non diminuendolo. Senza contare che è proprio nei giorni festivi che registriamo il flusso più elevato di presenze, che contribuisce in modo determinante alla sostenibilità economica degli operatori”. Leggi tutto “Chiusure festive dei Centri Commerciali. Adesso ci riprova la Politica…”

Mi sa che è poco “FICO” anche il Gran Tour….

Se non si vuole fare di tutta l’erba un fascio occorre, in premessa,  fare qualche distinguo. L’obiettivo della trasmissione  Report era Oscar Farinetti e, l’humus politico nel quale il personaggio  è cresciuto e che lui stesso ha alimentato. La sua spregiudicatezza imprenditoriale, le sue relazioni, l’indubbia capacità di raccontare e di affascinare, la distanza siderale tra le sue intuizioni  e la loro necessaria messa a terra. Eataly è una di queste geniali intuizioni che nel frattempo, fortunatamente,  ha preso la sua strada. Oggi fa capo a Investindustrial, uno dei principali gruppi di investimento indipendenti in Europa, gestito da un solido gruppo dirigente che ha le idee chiare sul ruolo e sullo sviluppo possibile in diverse parti del mondo.

Un secondo distinguo va fatto sull’operazione FICO, la cosiddetta “Disneyland del cibo” voluta da Farinetti in quel di Bologna con la sua coda attuale “Gran Tour Italia a sua volta collegata  o meno al futuro immobiliare delle aree a nord del cosiddetto Pilastro (una zona periferica della città che si estende a nord est della città) attorno al CAAB – Centro Agro Alimentare di Bologna, su cui dalla fine degli anni Sessanta, e fino si giorni nostri,  si sono concentrate molte ipotesi di sviluppo urbanistico. Investindustrial, il fondo di investimento guidato da Andrea Bonomi, è l’azionista di maggioranza di Eataly, con una partecipazione del 52% nel capitale del gruppo fondato da Oscar Farinetti con l’obiettivo di supportarne la crescita a livello internazionale.  Questo progetto prevede il mantenimento della società in Italia, dove Eataly è nata e una forte crescita in mercati esteri. Ho recentemente visitato lo store di Milano dove il cambiamento è già percepibile e mi riprometto di ritornarci più avanti soprattutto per valutare i progetti e la loro implementazione. Eataly resta una grande intuizione di Farinetti che aveva però bisogno di un vero progetto di sviluppo industriale che, finalmente, sembra esserci.

Detto questo torniamo a Report. Quando Oscar Farinetti ha dichiarato sorridendo all’intervistatore: “6 milioni di visitatori a FICO è stata una sparata. Io le ho sempre sparate grosse” non solo il sindaco di Bologna e i vertici di Coop Alleanza 3.0 con tutti quelli che ci hanno creduto hanno trasecolato. E parliamo di  Cna, Camera di Commercio, Fondazione Carisbo, Ascom-Confcommercio, ecc. Mica la “compagnia dell’ orfanotrofio dei celestini”.  Eppure era chiaro fin dall’inizio FICO non poteva funzionare a Bologna. O, al contrario  ha sottolineato Alberto Forchielli, un imprenditore bolognese appassionato di affari internazionali nonché fondatore di una società di private equity, solo “una città come Bologna, sede della più antica università del mondo, collettivamente prende e celebra una delle decisioni più cretine del mondo”. FICO, è stato un flop come ha ammesso lo stesso Farinetti a Repubblica: “Non conosco nessun imprenditore in Italia che non abbia sbagliato almeno una volta. Lo ammetto, questa è stata una cazzata, gli errori sono stati tutti miei e me ne assumo la responsabilità”. Nonostante goda di ottima stampa grazie al suo circuito amicale che ne esalta le gesta, Oscar Farinetti suscita più antipatie che simpatie.

L’articolo che gli ho dedicato  a suo tempo ha fatto un numero impressionante  di letture sul blog. Ormai parlare male di lui è un po’ come sparare sulla Croce Rossa. Ha questa immagine del “furbacchione” che grazie alle sue amicizie con una parte politica fa l’imprenditore “con i soldi degli altri”. Resta però un aspetto indiscutibile. La sua capacità di guardare lontano. Certo non è sufficiente e il fatto che in ogni sua avventura, prima o poi, deve passare la mano è la dimostrazione plastica dei suoi limiti imprenditoriali. Non ci voleva certo la puntata di Report per raccontare che Fico era, per dirla con Forchielli: “un’operazione che ha portato molti a celebrarne l’apertura senza fare un minimo di analisi elementare del poi”. In altri termini sempre Forchielli, parafrasando Paolo Villaggio, l’ha definita “una cagata pazzesca”.

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La Grande Distribuzione nel 2025. Cosa c’è dietro l’angolo…

All’inizio del nuovo anno, oltre agli oroscopi, si guardano con un certo interesse sondaggi e previsioni sulle aspettative delle persone. Per ciò che riguarda le materie di mio interesse ne sottolineo due perché registrano il sentiment del Paese sui consumi. Innanzitutto  il tradizionale sondaggio globale di fine anno condotto in 37 Paesi da Gallup International, con BVA Doxa come partner per l’Italia (1.104 interviste personali a un campione rappresentativo della popolazione adulta) che mostra un contrasto evidente tra noi, dove il clima è più prudente, e il resto del mondo dove prevale un maggiore ottimismo. Solo il 17% degli italiani pensa che il 2025 sarà migliore (il dato sale al 23% tra gli under 35). Il 24% prevede un peggioramento, mentre il 57% ritiene che sarà simile al 2024. Sulle prospettive economiche solo il 10% degli italiani si aspetta prosperità economica (15% al Sud). Il 35% teme un anno di difficoltà economiche. Il 52% non prevede cambiamenti significativi rispetto al 2024.

L’Ipsos Predictions Survey 2025 sottolinea come il 79% degli italiani  ritiene che i prezzi aumenteranno più rapidamente dei redditi e il 64% prevede un’inflazione più alta nel 2025. Questo al di là della condivisione o meno  delle previsioni  significa attenzione e cautela nella spesa quotidiana. È però la prima volta nell’ultimo quinquennio che non vediamo prevalere, più o meno nettamente, l’ottimismo nel medio periodo. Quello che ci attende sarà dunque un anno opaco o brillante per la GDO? A mio parere non dobbiamo farci distrarre.  Il 2025 dipenderà dalla capacità e dalla visione degli  interpreti più che dal contesto stesso. Quest’ultimo vale per tutti. I problemi strutturali, i rischi geopolitici e tensioni  c’erano prima e ci saranno anche nel 2025.

Personalmente mi aspetto alcune novità. L’anno si aprirà con Amazon che chiude l’operazione Cortilia? Credo proprio di si e ci ritorneremo, con calma,  a tempo debito. Conad,  è stata chiara. Nel 2025 scoppierà la pace tra le  5 cooperative, e se matureranno le condizioni, chiuderanno alcune operazioni importanti ma minori (rispetto ad Auchan). Sembra prendano più coraggio su Milano.  Ci sono però ancora troppe differenze tra i punti vendita pur con evidenti segnali di miglioramento su piazza. Vedremo.

Mi aspetto qualcosa di più convincente da parte di Esselunga dopo i problemi del 2024. Stiamo parlando di un’azienda importante che non può accontentarsi di mantenere la rotta. Anche perché, la persistenza di alcune incertezze nella gestione della squadra, continuano  a sollevare perplessità. Per Carrefour  Italia, il 2025 sarà un anno chiave.  Nel 2026 scade Alexandre Bompard alla guida della realtà francese in contemporanea con il piano “Carrefour 2026” che, sulla carta, dovrebbe  consentire al Gruppo di aumentare le vendite e di risparmiare 4 miliardi di euro sui quattro anni. In questi anni il Gruppo ha tenuto il “braccino corto” con l’Italia che se l’è dovuta cavare da sola. Sarà importante capire l’orientamento degli azionisti sul nostro Paese dopo il  grande lavoro di riorganizzazione di Cristophe Rabatel.
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BUONE FESTE A TUTTI I LETTORI DEL BLOG….‍

 

Non cerco chi la pensa come me ma chi, come me, pensa

 

Alla fine di quest’anno  il blog www.mariosassi.it compie 10 anni. 1125 articoli pubblicati sul lavoro, la Grande Distribuzione e le Organizzazioni di Rappresentanza. È arrivato il momento di rinfrescarne la forma. Nel 2025 avrà un veste nuova. La sostanza non cambierà. Continuerò a proporre il mio punto di vista o ciò che reputo interessante  per il piacere di scrivere e per restituire una piccola parte delle soddisfazioni  che ho avuto sul piano professionale. Le mie sono semplici opinioni ricavate da ciò che osservo o ciò che leggo in giro per il mondo. Spesso ricavate da confronti con persone che stimo e che ho incontrato nel mio lungo percorso professionale. Alcune di queste persone le ho viste crescere e raggiungere traguardi professionali importanti.

Ho assunto centinaia  di giovani, gestito complicate relazioni sindacali e ristrutturazioni aziendali con centinaia di esuberi. Ho avuto l’opportunità di partecipare alla negoziazione e alla stesura di un CCNL dell’industria alimentare e aver gestito in prima persona un CCNL del terziario e uno dei dirigenti, sempre del terziario. Se in dieci anni di presenza sui social nessuno mi ha mai attaccato sul piano personale per come ho lavorato vuole dire che, nonostante gli errori che sicuramente avrò compiuto, non ero poi così male come professionista delle risorse umane.

Alla base del’idea del blog c’è la constatazione maturata in tanti anni che i manager in GDO, da CEO in giù, leggono poco. La maggioranza di loro  vive l’azienda con un rapporto totalizzante, quasi ossessivo e questo li porta a concentrarsi su ciò che li riguarda e fare, oltretutto, poca formazione manageriale. Basta osservare i dati. Al CFMT (Centro Formazione Manager del Terziario)  dove ho passato qualche anno come Direttore Generale ho potuto constatare che nella GDO i manager fanno molta meno formazione rispetto ad altri comparti. Filtrano tutto ciò che vedono o ascoltano attraverso la loro esperienza e con il loro punto di vista. Leggono le riviste di settore soprattutto se parlano bene di loro. E, come i calciatori il lunedì, vogliono vedere solo pagelle con i voti alti. Molti sono veramente bravi. A me piace indagare e proporre persone, idee e progetti. Accendere i riflettori su fatti più o meno noti offrendo un punto di vista, spero, originale.

“Persone oltre alle Aziende” mi verrebbe da dire. Ecco. Il blog l’ho piazzato lì. Progetti, idee, cose buone dal mondo per chi è interessato e ha poco tempo o poca voglia di cercare “cose buone dal mondo”. L’imprenditore con l’occhio sveglio, il figlio che non ne può più del padre asfissiante, il giovane manager entusiasta del suo lavoro, donne e uomini in giro per il pianeta che propongono qualcosa che vale la pena condividere. Insomma gente che è stufa del novecento, dei riti, dei soliti personaggi e dei vecchi miti  che hanno forgiato il comparto e che vuole provare a guardare avanti. Leggi tutto “BUONE FESTE A TUTTI I LETTORI DEL BLOG….‍”