CX Store Research. Un modo diverso di guardare alla concorrenza tra retailer.

Eppure c’è stato un tempo dove era normale e scontato frequentare luoghi diversi per fare la spesa. Sostanzialmente fino agli anni 80 del secolo scorso panettiere, lattaio, macellaio e salumiere, a differenza di oggi,  erano presenti in numero significativo nei paesi e nelle vie delle città in luoghi vicini ma in location  diverse. Addirittura limitate in ciò che potevano vendere. E chi faceva la spesa entrava e usciva  tra negozi di vicinato, mercati coperti o ambulanti che animavano con le loro grida i mercati all’aperto. I criteri di scelta, allora come oggi, erano di diversa natura. Non solo determinate dal rapporto qualità/prezzo. Così come le tecniche di fidelizzazione.

La GDO ci ha messo anni a convincere i consumatori a cambiare luoghi e modalità di fare la spesa concentrando l’offerta in location dedicate. La forte crescita dei differenti formati distributivi, la loro localizzazione e la concentrazione, lo stesso contesto socio economico hanno a loro volta riproposto oggi una realtà caratterizzata da un rinnovato nomadismo nella scelta su dove fare la spesa con cui le insegne e le loro politiche di fidelizzazione si devono misurare. Non solo si frequentano più insegne  ma una famiglia su cinque ogni anno cambia opinione circa l’insegna preferita per il miglior rapporto Qualità/Prezzo. La leadership conquistata è  messa costantemente in discussione e quindi va difesa e rinnovata nel tempo. Capirne le ragioni anticipando i cambiamenti anziché constatarne gli effetti ex post può diventare un vantaggio competitivo non indifferente.  È quindi fondamentale comprendere il contesto competitivo locale per definire idonee politiche commerciali.

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MD. “Ma almeno provalo! L’effetto è “tale e quale”….

Dopo l’Einstein della “spesa intelligente” di Eurospin, MD ci prova e riesce a fare un passo in avanti con i suoi nuovi spot. In onda dall’11 marzo sulle tv digitali: Rai Play, Mediaset Play, Amazon Prime, Canali Ciao People e su YouTube puntano  a sfatare i pregiudizi che circondano la qualità dei prodotti del discount. Una vecchia pubblicità USA recitava: “Se non c’è differenza, perché pagare di più?”. Il discount (non da oggi) sta cambiando pelle. E lo dimostra anche nella modalità scelta nel campo della comunicazione e del marketing.

Interessante e riepilogativo un articolo di Benedetta Romano del 2021 sulla Gazzetta del Pubblicitario (https://bit.ly/3wVfKNZ). Che poi siano due realtà italiane come Eurospin e MD ad insistere sui concetti chiave è, a mio parere,  altrettanto significativo. Nel sostanziale  avvitamento delle insegne leader negli altri formati distributivi che continuano a proporre un’immagine di sé scontata e tradizionale, smontare la percezione del consumatore sulla convenienza e sulla qualità resta, a mio parere, una mossa lungimirante. Di fatto sono i discount a tirare la volata alla marca del distributore. Eurospin ci ha puntato fin da subito sulla “spesa intelligente”. Addirittura nella denominazione dell’insegna stessa enfatizzandolo poi dal 2020 attraverso i suoi spot televisivi. Il loro messaggio ha sempre puntato a valorizzare l’esperienza di acquisto proposta: “Prezzi contenuti, senza sacrificare “troppo” la bontà dei prodotti”.

MD fa un passo avanti. Ritiene che non ci sia nulla da sacrificare in termini di qualità. Terza per fatturato nel canale discount e seconda a capitale italiano, l’azienda ha chiuso il 2022 con ricavi in crescita dell’11% superando i 3,4 miliardi di euro di fatturato. La storia della Società s’identifica con quella del suo fondatore, Patrizio Podini, attivo nel mercato della GDO fin dagli anni ’60. Nel 1994, con l’intuizione di investire nelle regioni del Sud Italia, fonda   MD Discount che cresce sino a diventare un’azienda nazionale con l’acquisizione, nel 2013, della catena LD Market diffusa al Nord e di proprietà del Gruppo Lombardini. Con una discreta  dose di umorismo,  il protagonista  Herbert Ballerina, pseudonimo del comico molisano Luigi Luciano, cerca di smontare i pregiudizi per dimostrare come i prodotti del discount riescano a soddisfare anche le necessità dei consumatori più esigenti.

Questa campagna non nasce a caso. Tra l’altro è preceduta da un altro tentativo ben più aggressivo (si fa per dire) dell’ottobre 2023 dove lo stesso protagonista cercava di smontare i pregiudizi sui prodotti con la famosa frase: “Ma è tale e quale!” che tanto ha fatto arrabbiare Centromarca che ha invitato  e diffidato MD a provvedere all’immediata sospensione della campagna “priva di qualunque reale contenuto informativo per i consumatori, è svilente e denigratoria per i prodotti di marca, non solo per le marche con prodotti nelle stesse categorie oggetto degli spot, ma per la marca in quanto tale, dipinta come vacuo strumento di marketing, priva di qualsiasi reale contenuto di valore economico, qualitativo, sociale o di qualsiasi altro genere, che non sia il maggiore e ingiustificato costo del prodotto di marca”. Centromarca aveva addirittura preteso un “contestuale impegno ad astenersi per il futuro da simili forme di comunicazione”. Leggi tutto “MD. “Ma almeno provalo! L’effetto è “tale e quale”….”

Esselunga alle prese con il “potere della scrivania”…

Ciascuna azienda organizza il lavoro come crede. C’è però una sostanziale differenza tra chi immagina il futuro per il proprio business comprendendo il benessere dei  propri collaboratori e chi no. C’è chi resta nel solco tradizionale  prevedendo attività e servizi ricreativi vicini al posto di lavoro attraverso forme di welfare aziendale più o meno innovativo. E c’è chi prova  a ripensare il lavoro in termini di durata, luogo, contributo, coinvolgimento e qualità percepita e agìta dai collaboratori. Brunello Cucinelli direbbe: “questo è il tempo dell’armonia, oltre che della sostenibilità. Al centro ci deve essere sempre la persona”. Per comprenderne la differenza  bisognerebbe provare ad affrontare  il tema cambiando punto di osservazione.

Il futuro del lavoro fa leva  sulla responsabilità dei collaboratori, non sul loro controllo. Non sarà il luogo, il tempo perso per arrivarci, il presenzialismo oltre l’orario, l’autorità del capo attraverso il “potere della scrivania” a caratterizzare l’azienda (intesa come comunità operosa). È la sostanziale differenza tra ritenere le persone al lavoro, “collaboratori ” e non semplicemente “dipendenti”.  Ed è il rapporto instaurato, l’ascolto, il riconoscimento dell’impegno e la comunicazione scelta a fare la differenza. Lo smart working non è, ovviamente, tutto questo ma rappresenta un tassello di un  cambiamento più vasto, per certi versi inarrestabile. Peccato non averlo saputo cogliere. Così come aver accompagnato il suo ridimensionamento in Esselunga con una comunicazione d’altri tempi, inutilmente spigolosa, che l’impegno quotidiano dell’insieme dei collaboratori non meritava. 

Tra l’altro l’azienda di Pioltello  era stata  una delle poche realtà della GDO che avevano implementato il lavoro agile per oltre 1200 dipendenti. Costretti dalla pandemia e dal lockdown l’insegna aveva fatto un salto (forse) involontario nel futuro. Sembrava avesse accettato l’idea che i collaboratori fossero  responsabili, in grado di gestire il lavoro da casa per 6 giorni al mese (12 giorni al mese per i genitori con figli). Alla lunga, la cultura manageriale prevalente, non ha però  retto la sfida. È come se, fosse riemersa, per limiti oggettivi, la mancanza di un approccio professionale nella gestione delle risorse umane, in grado di conciliare le  esigenze organizzative dell’azienda con quelle delle persone.  Un’azienda dai due volti. Quella che guarda avanti con ESSELAB e  il robot che prepara le insalate a Mind e quella che osserva i suoi collaboratori  con lo specchietto retrovisore. Dal 1 aprile e fino al 31 marzo 2025 quindi si cambia. La voglia di averli finalmente tutti indietro e tutti in fila è stata troppo forte. E, soprattutto,  vestiti come si deve. E l’ordine viene dall’alto.

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Aldi continua la sua crescita. Nel nord.

 Per capire la potenza di fuoco di Aldi basterebbe dare uno sguardo in UK. Quattro anni dopo la Brexit, il discount alimentare Aldi continua a espandersi. Quest’anno il gruppo commerciale Aldi vuole superare la soglia dei 50.000 dipendenti in Gran Bretagna. Lo ha annunciato la società sul suo sito web aziendale britannico. Aldi conta attualmente circa 45.000 dipendenti in Gran Bretagna. Si prevede che  verranno aggiunti altri 5.500 dipendenti. Stiamo parlando di un migliaio  di punti vendita.

In Italia, al contrario,  avanza con calma. In un’epoca di finte  lepri ALDI sa benissimo che è la tartaruga che,  alla fine, arriva prima al traguardo. Per ora raggiunge i 180 negozi (Emilia Romagna, Friuli Venezia Giulia, Lombardia, Piemonte, Trentino Alto Adige, Veneto). Tutti nel nord italia. 43 i negozi aperti in Veneto, di cui 6 nella provincia di Padova serviti dalla piattaforma logistica di Oppeano. L’altra piattaforma è a Landriano (PV) la prima in funzione dal 2018 la secondo inaugurata a maggio 2020, entrambe garantiscono l’elevata capacità logistica del gruppo, ottimizzando i rifornimenti dei negozi tra Nord Ovest e Nord Est, con un minore impatto ambientale e una riduzione della distanza di approvvigionamento.  

Il nuovo negozio sorge a Abano Terme  in Via P. Gobetti 34 all’interno dell’area “ABANO CIVITAS”, una zona centrale della città in cui si svolge il mercato settimanale, vicino al Duomo di S. Lorenzo e al Municipio.  Abano Terme meta turistica termale da più di 2000 anni si trova ai piedi dei Colli Euganei, un parco regionale unico nel suo genere per arte, cultura e paesaggi mozzafiato. Situata in una posizione strategica al centro della pianura, rappresenta, insieme a Montegrotto Terme, il principale centro termale d’Europa.

Sarà finalmente contento  il mio amico e ex collega Federico Barbierato ottimo sindaco della cittadina. Una partita lunga e complessa nata 5 anni fa che ha determinato progetti, demolizioni e ricostruzioni definita dopo aver bloccato  sul nascere  la previsione di un centro commerciale da 4.500 metri quadrati su piazza Mercato con una riduzione del 64% di cubatura, rispetto a quanto inizialmente previsto. Sottolinea Barbierato: “Stiamo parlando di 130 mila metri cubi in meno. Non so quante amministrazioni in Italia abbiano avuto nella storia questo coraggio”. L’apertura del nuovo negozio ALDI è stata anche l’occasione per realizzare nuovi elementi di aggregazione e connessione all’interno del tessuto urbano e spazi pubblici. Tra questi, una piazza comprensiva di panchine in marmo bianco e camminamenti illuminati realizzati in porfido posato a mano. In prossimità del punto vendita è stata realizzata anche una pergola e sono stati piantumati numerose erbe aromatiche ed alberi. Il punto vendita  è, inoltre, dotato di un impianto fotovoltaico con una portata di 110 kW e di 5 colonnine di ricarica per auto elettriche con una portata di 22 kW. 

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Carrefour Italia. Dopo Contact riparte con Sprint…

Tra lo scetticismo dei critici nostrani Carrefour Italia procede la sua corsa. Da un lato il continuo processo di riorganizzazione interna e di riorientamento e, dall’altro, la sperimentazione di formule che si affiancano al modello tradizionale in linea con i progetti della multinazionale. Nel 2023 è toccato al flagship store di Milano “Terre D’Italia” e a “Carrefour Contact”, oggi tocca, a “Carrefour Sprint” il nuovo progetto implementato a Firenze nato dalla collaborazione tra Carrefour e Glovo. È un “dark store” interamente gestito da Glovo, attraverso il proprio magazzino che consentirà le consegne entro 30 minuti, tramite app, sette giorni su sette. Un test importante ed estensibile.

“Carrefour Sprint” nasce in Francia. Per comprendere però le traiettorie della multinazionale francese, nelle quali “Carrefour sprint” si inserisce,  bisogna fare un passo indietro. Nel 2021, nel corso del suo Digital Day, Carrefour ha presentato  tra i driver chiave della sua strategia digitale al 2026,  l’accelerazione dell’e-commerce e la trasformazione, attraverso il digitale, delle attività tradizionali della vendita al dettaglio. Alexandre Bompard, presidente e CEO, allora ha dichiarato: “Vogliamo trasformare Carrefour, un retailer tradizionale con capacità di e-commerce, in una Digital Retail Company, che pone il digitale e i dati al centro di tutte le sue operations e del suo modello di creazione di valore. Questo profondo cambiamento, che intendiamo realizzare entro il 2026, permetterà di sfruttare tutto il potenziale dell’omnichannel, che è oggi il DNA di Carrefour e un patrimonio unico nel settore”.

Nella strategia digitale, al primo punto, prevedeva una accelerazione dello sviluppo dell’e-commerce stabilendo la sua leadership nei formati a più alta crescita: Express delivery (meno di 3 ore), e quick commerce (meno di 15 minuti), per rafforzare la sua leadership nella consegna a domicilio nei suoi mercati chiave. Da qui il lancio nel 2021 di Carrefour Sprint in Francia, in collaborazione con Uber Eats e Cajoo, servizi innovativi come il personal shopper, che sembra abbia molto successo in diversi paesi del Gruppo (attraverso Bringo) e che, in Francia,  ha il marchio OK Market! La presenza  di Carrefour France nel settore delle consegne rapide risale quindi alla fine del  2021. Carrefour Sprint è partito in Francia con quasi 2.000 prodotti alimentari e non, tra cui frutta e verdura fresca, piatti pronti, piatti surgelati, bevande e prodotti per la cura e la pulizia della persona.  Tra l’altro Carrefour già collaborava con Uber Eats in Francia dove già allora erano quasi mille i negozi Carrefour disponibili sull’app Uber Eats, distribuiti in 160 città francesi.

Dalla collaborazione tra Carrefour Italia e Glovo nasce a Firenze il primo “Carrefour Sprint d’Italia” a conferma dell’importanza sempre più strategica, per il gruppo francese, del quick commerce. Dalla piattaforma di Glovo, gli utilizzatori dell’APP potranno scegliere tra un’offerta di oltre 3.500 prodotti del supermercato, tra cui “Terre d’Italia, Carrefour Bio oltre ad una selezione di prodotti locali,  di cura della persona, e articoli per la casa. Questa partnership è un modo per continuare la diversificazione dei servizi offerti che soddisfa un bisogno di rapidità combinato con la tecnologia e la competenza logistica del partner individuato. Leggi tutto “Carrefour Italia. Dopo Contact riparte con Sprint…”

Grande distribuzione. Occorre rimettere al centro il lavoro…

Eppure da noi qualcuno ci aveva creduto. Così come per i medici e gli infermieri finiti sotto i riflettori per la loro abnegazione durante la pandemia anche per il   personale dei supermercati è scattata la stessa regola: “passata la festa, gabbato lo santo”. Stando però alle dichiarazioni del nostro Governo almeno la sanità dovrebbe essere in cima ai prossimi rinnovi contrattuali. Si tratta del triennio 2022-2024, già oggi a dieci mesi dalla scadenza. Riguarda poco più di mezzo milione di lavoratori. Per il terziario e per la GDO, per ora, nulla si muove per il rinnovo del CCNL a 40 mesi dalla sua scadenza con qualche milione di lavoratori coinvolti.

Lo slogan “W le cassiere” era quindi un bluff. Simile  al “Ne usciremo migliori” urlato dai balconi. Ma quello che è successo quattro anni fa, esattamente a dicembre del 2019, non tutti se lo sono dimenticati. Anzi. Negli USA hanno addirittura fissato una data dedicata ai protagonisti di quegli avvenimenti: il 22 febbraio. Nato nel 2021, il “Supermarket Employee Day” con la partecipazione di grossisti, dettaglianti, partner di associazioni statali e fornitori, quest’anno ha appena celebrato la terza edizione proprio per riconoscere il lavoro che i dipendenti dei supermercati svolgono ogni giorno a tutti i  livello. Dal 2022 la “Giornata nazionale dei dipendenti dei supermercati”,  il 22 febbraio, è stata inserita nel calendario delle giornate nazionali da festeggiare. 

Il Presidente e CEO di Food Industry Association (FMI – L’Associazione dell’industria alimentare) Leslie Sarasin ha dichiarato: “Il Supermarket Employee Day è un’opportunità a livello nazionale per ringraziare i lavoratori del retail  per il loro importante contributo nel mantenere il nostro Paese nutrito, anche durante le circostanze più difficili come quelle presentate da una pandemia globale”. E ha  concluso: “E ora, mentre le famiglie in tutto il paese continuano a lottare con l’inflazione, i retailer si impegnano a dare priorità al servizio, al sostegno e al rafforzamento dei legami con le comunità in cui operano. Per l’83% dei negozi di alimentari  il sostegno alla propria comunità è stata una strategia decisiva per coinvolgere i clienti e differenziarsi”.

È, in sostanza, una giornata  di apprezzamento e di riconoscenza per il lavoro dei dipendenti del retail.  Oltre alla tradizionale giornata “Porte Aperte” per far conoscere il luogo di lavoro dei genitori ai figli, gli “open Day” per far conoscere ai giovani il lavoro dell’insegna attraverso incontri e testimonianze che vengono normalmente proposte dalle singole aziende non solo negli USA, in questa giornata numerose insegne hanno organizzato eventi speciali a tema.  Da noi quando si parla di punti vendita si tende a ridurre il  problema limitandolo a cassiere e personale generico.  Negli States la composizione della forza lavoro della GDO è apprezzata e ben diversificata. Comprende anche esperti di evasione e consegna degli acquisti online, analisi dei dati/tecnologi dei dati, cuochi, macellai, pescivendoli, panettieri, farmacisti, dietologi/nutrizionisti registrati e numerosi altri ruoli.

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MD. Non solo Buona spesa…

MD è un’azienda che si smarca dalle inseguitrici  quando meno te l’aspetti in linea con la visione e l’intuito del patron Patrizio Podini. Difficile appiccicargli etichette. Sfugge alle categorie. Non si sente affatto un discount soprattutto non ne condivide la deminutio capitis associata a quel formato da parte di alcuni osservatori.  MD nel sito ne prende addirittura le distanze definendosi “uno dei più importanti player della grande distribuzione italiana, ormai lontana dai canoni del discount ma sempre più marchio della buona spesa”. Adesso è all’inseguimento dei  discount tedeschi sui terreni a loro  più congeniali: sostenibilità ambientale, impegno verso i territori  e gestione moderna dei collaboratori. D’altra parte l’imprinting dell’anziano leader  è quello.

In un’intervista di luglio a Daniela Polizzi del Corriere della Sera  Maria Luisa Podini e il fratello Marco hanno dichiarato di aver “trasferito la nuda proprietà di una quota pari al 72% del capitale sociale in misura paritaria ai discendenti in linea diretta dei nostri due rami familiari, rappresentanti della quarta generazione della famiglia, pur rimanendo, senza alcuna variazione, a nostro favore i diritti amministrativi“.

Oggi la Vice Presidente di MD SPA presenta il primo bilancio sociale: “Per MD, la sostenibilità non è semplicemente un percorso obbligato, ma un’opportunità reale di crescita virtuosa: MD è sostenibile per vocazione perché il suo progetto d’impresa si è basato sin dall’inizio sull’attenzione alle esigenze di risparmio dei clienti e sulla garanzia del migliore rapporto qualità-prezzo. Ci piacerebbe promuovere la nostra visione di sviluppo sostenibile e fungere da traino per tutte le aziende del settore”. Non è certo l’ambizione che manca in MD. L’obiettivo è chiaro: scalare la classifica salvaguardando le esigenze dei clienti, coinvolgendo i collaboratori, restituendo parte del proprio successo al territorio  e salvaguardando il più possibile l’ambiente.

Un bilancio chiuso con 3,7 miliardi di ricavi, tra i punti vendita MD e l’information technology di Dedagroup che hanno spinto la crescita del 10,61% e portato l’utile a 75,6 milioni (+2,1%). 3,4 miliardi di euro di ricavi netti, con un incremento dell’11% sul 2021, un patrimonio netto di 513 milioni di euro. E con una crescita dei ricavi superiore a quella di LIDL.
L’insegna italiana è nata 30 anni fa con il suo primo punto vendita nel Sud Italia, che oggi conta 785 punti vendita e 6 centri logistici in tutto il territorio nazionale.  Patrizio Podini, classe 1939, il cui padre Vittorio era partito con negozi di vendita al dettaglio oggi  è presidente onorario della holding.

Il primo bilancio di sostenibilità è così presentato da Maria Luisa Podini  “La buona spesa non solo a parole” descrive gli impegni messi a terra già nel 2022 (consultabile qui).  Sull’ambiente  MD ha messo in atto azioni concrete su più fronti. Tra queste, “Zero Sprechi Food”, l’iniziativa di “bollinatura” dei prodotti prossimi alla scadenza e dei prodotti ortofrutta con difetti estetici, offerti a prezzi scontati in un’ottica di riduzione degli sprechi: nel 2022, la percentuale di prodotti “bollinati” venduti è stata del 50% e l’azienda è riuscita ad evitare la produzione di ben 857 tonnellate di rifiuti alimentari. Importante il sostegno dato all’economia circolare con progetti riguardanti il packaging, con la riduzione del 12% della plastica da confezionamento (quello utilizzato per gli imballaggi viene comunque riciclato attraverso il progetto Re.Wind), la scelta di un packaging riciclabile per il 98% dei prodotti a marchio MD e in carta per il 51% dei prodotti no-food, oltre che l’uso di cassette in plastica riutilizzabili e riciclabili per il trasporto dei prodotti di ortofrutta.

Fondamentale la riduzione dei consumi energetici, attraverso politiche di efficientamento energetico, con l’incremento dell’utilizzo di energia autoprodotta da fonti rinnovabili per la riduzione delle emissioni di CO2: nel 2022 sono stati installati 30 nuovi impianti fotovoltaici sui tetti dei punti di vendita e dei centri logistici, il 43% di energia acquistata da terzi proveniva da fonti rinnovabili, e tra il 2021 e il 2022 si è registrata una riduzione dei consumi energetici superiore al 12%, mentre la riduzione di emissioni di anidride carbonica si è ridotta di 141t grazie all’ottimizzazione dei carichi e dei percorsi per la consegna delle merci (-14% del rapporto delle emissioni per mq rispetto al 2021).

Il benessere delle persone passa ovviamente attraverso la qualità e la sicurezza dei prodotti, che vengono costantemente monitorati da un team dedicato in tutte le fasi della catena produttiva e distributiva e dotati di un’etichetta chiara, trasparente e completa. L’innovazione di prodotto e la creazione di gamme dedicate ai vari modelli di alimentazione, insieme al rafforzamento del customer care e l’arricchimento di informazioni nelle piattaforme on-line (siti e-commerce, social) contribuiscono poi a venire incontro alle esigenze di vita di consumatori sempre più attenti e informati, in costante evoluzione. Il 100% dei prodotti a marchio MD viene valutato in termini di qualità, sicurezza e tracciabilità.

Sulle  risorse umane “sono state più di 375 mila le ore di formazione erogate nel 2022, con una media di 43,5 ore per dipendente, quasi 28 mila le giornate di lavoro flessibile usufruite. Sul welfare “Screening individuali gratuiti periodici” ed iscrizioni a carico dell’azienda a fondi di sanità integrativa, oltre che più di 50mila ore dedicate alla formazione sui temi di salute e sicurezza (+55% rispetto al 2021)”.

Numerosi, inoltre, i progetti a favore delle comunità e dei territori: ammontano a 6,2 milioni di euro gli investimenti per il miglioramento degli spazi urbani in relazione ai punti vendita. Da menzionare il significativo supporto fornito alla ricerca scientifica, dalla Fondazione Veronesi (cui sono stati donati oltre 300.000 euro) all’Airc, alla Croce Rossa Italiana e al Banco Alimentare, cui nel 2022 sono state donate 182 tonnellate di prodotti, equivalenti a circa 370 mila pasti. In totale, sono stati donati più di 750 mila euro ad enti benefici e a iniziative per il territorio, di cui circa 146.000 euro ad associazioni scelte dai clienti.

Al di là dei progetti della loro dimensione e della loro messa a terra le migliori realtà della GDO si distinguono se abbandonano la tendenza al social washing e dimostrano, con i fatti, non solo la volontà di crescere e mettere fieno in cascina per gli azionisti ma anche  la loro capacità di “restituire”. Innanzitutto a chi lavora per loro e poi  alle comunità dove sono inseriti e, attraverso lo sviluppo  sostenibile,  all’ambiente più in generale. 

 

Grande distribuzione. Quando dipendenti e clienti vivono le stesse difficoltà…

La Grande Distribuzione offre punti di osservazione molto diversi tra di loro. Ci sono quelli formali, a volte un po’ tutti uguali, offerti dalle insegne stesse, quello dei fornitori caratterizzati da “amore e  odio” a seconda del momento e della qualità del rapporto, quello dei dipendenti, sia che si sentano valorizzati o traditi. Quello dei manager che si spostano da un’azienda all’altra. E poi c’è, ovviamente quello dei clienti che lo esercitano confermando il loro interesse o disertando il punto vendita. Ciascuno ha un preciso ruolo in commedia.

Intorno a questo mondo sempre un po’ uguale a sé stesso ogni tanto si aggiungono ulteriori  punti di osservazione. Ne ho “scovati” alcuni nell’ultimo libro di Niccolò Zancan “Antologia degli sconfitti”. L’autore sottolinea: “In un tempo in cui conta solo chi vince e la vittoria consiste nell’arricchimento o nella notorietà, tutti gli altri perdono. E perdono anche il diritto alla soddisfazione, alla bellezza, alla pace. È saltato il paradigma che reggeva il secolo scorso”. L’Italia è tra i Paesi europei in cui le famiglie fanno più fatica ad arrivare alla fine del mese. A fronte di una media Ue del 45,5%, quella italiana va oltre il 63%. Con una quota del 6,9% che denuncia «grandi difficoltà», il 15,4% parla genericamente di difficoltà e il 41,7% parla di qualche difficoltà. Nel 2022 2,2 milioni di famiglie vivevano in povertà assoluta: l’8,3 per cento sul totale. Nel 2010 erano un milione e 156 mila. L’Istat spiega che sono considerate assolutamente povere le famiglie con una spesa mensile pari o inferiore a quella minima necessaria per acquisire l’insieme di beni e servizi considerati essenziali per conseguire uno standard di vita minimamente accettabile. E non frequentano solo i discount.

Forse il paradosso  è che le stesse persone quando vanno nei supermercati tradizionali  diventano invisibili agli occhi di chi non vuole vedere. Sono “poveri” se frequentano i discount e diventano clienti altrove. Qualcosa non quadra. Oggi poi, soprattutto in alcune zone, i punti vendita sono talmente diffusi  e vicini tra di loro che non c’è da fare molta strada alla ricerca di ciò che serve. Si entra e si esce un po’ ovunque. Più dell’insegna, che interessa sempre meno, si cercano luoghi (e non luoghi)  per soddisfare le proprie esigenze nell’affanno di chi insegue distintività che spesso è solo sulla carta.

Certo c’è chi può permettersi di pagare il “giusto prezzo” che remunera con equità e giustizia l’intera filiera agroalimentare come  chiedono gli agricoltori. C’è chi, pur potendoselo permettere, sceglie altro o prodotti di importazione che costano meno e c’è chi pure non se lo può permettere e non compra più quei prodotti trasformando la spesa alimentare in un esercizio da equilibrista. Pochi nei punti vendita osservano le facce e  ascoltano collaboratori e clienti. Nel libro di Zancan si parla anche di loro. “Vite che si muovono su un piano inclinato. Quando manca la prospettiva, esiste solo il presente, e ci si cade dentro come fosse un precipizio. L’affitto da pagare, la bolletta della luce. trovare i soldi per il dentista e trovare un senso, un po’ di bellezza”. Sono gli invisibili. Esistono quelli che se la cavano e gli altri. Il libro parla degli altri. Istantanee di vita vera, vissuta ai margini.

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I trattori sono ritornati in cascina. Adesso comincia il secondo tempo

La pronta risposta della Commissione Europea ha certamente evitato la degenerazione del disagio del mondo agricolo e ha spento sul nascere quella che stava assumendo le caratteristiche di una rivolta continentale di un intero comparto economico. A questo,  ciascun Paese ha poi messo in atto  iniziative specifiche che hanno contribuito a riportare  il clima ad un livello accettabile. Da noi, si è cercato disperatamente  di tenere aperta artificialmente una vicenda ormai chiusa,  alla ricerca, impossibile, dell’individuazione di un colpevole unico  e non, come è in realtà,  una somma di responsabilità, ritardi, inefficienze e incongruenze di una filiera che fatica ad affrontarli per limiti oggettivi e soggettivi. C’è allora chi il colpevole  l’ha trovato nella “matrigna” Europa, chi nelle politiche del  Governo, chi nell’associazionismo autoreferenziale e poco combattivo  e chi negli egoismi delle diverse componenti a valle della filiera.

Passare dalle riviste di comparto e dai comunicati associativi, che affrontano questi temi quasi quotidianamente, alle prime pagine dei giornali determina una inevitabile spettacolarizzazione delle problematiche e l’esaltazione di  leadership modeste  di esagitati che cavalcano una protesta priva di una strategia di lungo periodo. E siccome in alcune situazioni è complicato distinguere il vero dal falso, vale il vecchio  proverbio che ci spiega che di notte tutti i gatti sono bigi e quindi hanno tutti ragione a protestare, pur sapendo benissimo che,  fino a quel momento, nessuno o quasi, tra i decisori veri, si fosse preoccupato degli effetti sul comparto della velocità del cambiamento necessario per ciò che prevede il cosiddetto Green Deal, delle conseguenze della guerra ai confini della UE, delle importazioni che inevitabilmente toccano gli interessi degli agricoltori in alcuni Paesi, dell’inflazione e dei costi con cui le imprese si trovano a dover fare i conti, della differenza che tutto questo provoca sulle imprese agricole di diverse dimensioni e delle diseconomie presenti nei vari passaggi dal campo allo scaffale. E neppure sull’impatto sui consumi. 

Il confronto politico si è così  improvvisamente polarizzato puntando decisamente a monte (l’Europa matrigna) o a valle (la Grande Distribuzione). Con la destra della politica che, in genere, è portata a scegliere il primo bersaglio, mentre la sinistra il secondo. Con scene a dir poco grottesche. La Lega, i cui esponenti parlamentari chiedevano di più per gli agricoltori, a favore di telecamera schiacciando l’occhio alla protesta più radicale, aveva contemporaneamente il ministro Matteo Piantedosi (sempre della Lega) che scoraggiava le proteste convincendo gli organizzatori ad incanalarle in modalità e orari tali da renderle sostanzialmente inutili e con Giancarlo Giorgetti, anch’esso della Lega, che spiegava che le casse erano vuote e che le aspettative  non potevano essere onorate più di tanto. Un esempio di circolarità della politica  difficile da reggere a lungo. A sinistra hanno invece puntato sul classico. Sulle “scelte neoliberali fatte in questi decenni” non si sa bene da chi  o, per chi sta un po’ più al centro,  sulla voracità della Grande Distribuzione. E,  per fare questo, si sono messi ad agitare il drappo rosso della differenza del prezzo pagato all’agricoltore con quello che il consumatore trova sul banco della GDO sperando di recuperare consenso. In mezzo a questa sarabanda di confusione, annunci e interpretazioni, i media ci hanno messo del loro.

Fortunatamente Coldiretti, messa sotto accusa da più parti, ha mantenuto la calma, ha bruciato qualche copertone a Bruxelles e incontrato la Presidente del Parlamento europeo, in Patria ha rinserrato le fila organizzando le assemblee territoriali con i suoi associati, ha incontrato il Governo Italiano ottenendo tutto ciò che era ottenibile in questo contesto economico. Ovviamente in accordo con le altre organizzazioni principali del comparto (Confagricoltura, Cia, Copagri, Alleanza Coperative). La protesta si è così sgonfiata, gli estremisti, le loro sigle e le loro roboanti parole d’ordine sono stati messi in un angolo e le notizie di rievocazioni storiche di fantasiose “marce su Roma” sono sparite velocemente dalle prime pagine. Resta qualche talk show, per chi li guarda, dove i partecipanti  per catturare l’ascolto se la cantano e se la suonano tra di loro.

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La saga dei Caprotti tra due verità, un padre e due fratelli.

Leggendo la descrizione del padre, proposta dai  due fratelli Caprotti, sembra di  rivivere la parabola indiana dei ciechi a cui è chiesto di descrivere un elefante semplicemente toccandolo con una mano. Lo stesso elefante  viene così presentato, a chi ne ascolta il resoconto, in modo completamente diverso. C’è chi lo racconta  come una colonna avendogli toccato la gamba, chi come una lancia avendogli toccato le zanne e a chi come una frusta, avendogli toccato la coda. Un padre che con il primogenito si comportava più da capo azienda  passando una parte del suo tempo a frustrarne l’iniziativa in competizione perenne con lui mentre  con la figlia “sbucciava i piselli” dopo la spesa al supermercato.  Intollerante e crudele con il primo, affettuoso e premuroso con la seconda al punto da improvvisare “negli ultimi giorni di vita, lucidissimo, istruzioni pratiche su tutto, a cominciare dai collaboratori” come racconta in una intervista al Corriere la figlia Marina.

Una frattura verticale maturata negli anni assolutamente non ricomponibile che ha coinvolto amicizie, manager, collaboratori aziendali ad ogni livello. Tutt’altro che superata. E che per la natura, la dimensione e la composizione, poco più che familiare dell’azienda, caratterizzerà a lungo i giudizi sulla qualità delle scelte manageriali, sui protagonisti di quelle scelte e sulle prospettive future di Esselunga. Le traiettorie vincenti imposte da Bernardo Caprotti ma anche quelle che hanno visto protagonista il  figlio Giuseppe costituiranno  una pietra di paragone costante, fastidiosa ma inevitabile per chi deve dimostrare “qui e ora” e per gli anni a venire di meritarsi sul piano delle scelte imprenditoriali ciò che l’eredità le ha messo a disposizione. E che rende interessante, almeno per il sottoscritto,  seguirne gli sviluppi.

È chiaro che il successo del libro  “Le Ossa dei Caprotti” è un po’ figlio della predisposizione, tipica nostrana, di guardare gli altri attraverso il buco della serratura. Giuseppe Caprotti ha distribuito fatti e racconti di cui è stato protagonista diretto o come “testimone informato sui fatti” per raccontare la “SUA” verità. Il lungo tempo preso per metabolizzare quello che per lui ha rappresentato un grave torto subìto e per descriverne le ragioni ne è la testimonianza. Chi lo ha criticato per la mancanza di sensibilità, generosità e capacità di perdono cristiano per ciò che ha ricevuto comunque in cambio ha dovuto sfoderare un paternalismo d’antan. È certamente più facile metabolizzare i torti (presunti o reali)  altrui, che i propri.

Giuseppe Caprotti è stato “forgiato” e istruito  fin da ragazzo per assolvere un compito preciso: guidare l’azienda di famiglia. Rinfacciare oggi, status o denaro, ad un signore borghese di  quasi sessantaquattro anni,  ricco e benestante, cresciuto e abituato agli  agi da generazioni è un po’ banalizzare una realtà amara. Capisco che molti nella GDO lo ritengano semplicemente il “giovane figlio” di Bernardo  Caprotti, oggi come ieri,  ma nessuno nel mondo del business pensa di accusare  di ingratitudine gli eredi di Agnelli con madre e figli che si trascinano in tribunale con stuoli di avvocati. O le vicissitudini familiari  dei De Benedetti, Benetton o Del Vecchio per citare solo i più noti. O all’estero i Murdoch e le lotte intestine in casa Volkswagen tra la famiglia Porsche, erede diretta del fondatore, l’ingegner Ferdinand, e quella dei successori Piëch. La differenza è che, di solito, splendori e miserie non finiscono sotto i riflettori  descritti così brutalmente e minuziosamente. Che si sia sentito tradito e offeso ingiustamente, ci sta. Soprattutto dopo aver dedicato una lunga parte della propria vita all’azienda e dopo aver dovuto accettare, obtorto  collo, di passare la mano non ad un agguerrito competitor proveniente da oltreoceano ma alla giovane sorella che mai aveva messo piede in azienda e che non era stata “costretta” a subire un’iniziazione aziendale lunga e faticosa con un finale ritenuto, da lui, drammatico che ne ha segnato il profilo umano e manageriale. Leggi tutto “La saga dei Caprotti tra due verità, un padre e due fratelli.”