Grande Distribuzione. PAM punta sulla squadra..

More for less. Più A Meno. Bisogna ripartire da qui se si vuole capire cosa vuole essere  PAM oggi. Ricordo in Galbani quando si decise di rilanciare negli anni 90  il payoff “Galbani vuol dire fiducia” nato nel 1960, più volte messo in disparte, ma sempre ripreso quando la ragion d’essere dell’impresa, la sua anima, la sua identità diventano fondamentali per tracciare la nuova rotta nelle difficoltà del contesto.

PAM ha oggi, questa necessità. Ripartire dai fondamentali e dai suoi valori fondativi. Un’azienda è innanzitutto il “clima” che vi si respira. Alla presentazione del libro “La spesa degli italiani” ero casualmente seduto vicino al Direttore Acquisti Grocery e Non Food  Francesco Mazzucato, dal 1993 in  PAM e ad altri dirigenti di lungo corso in azienda. Lo stesso Andrea Zoratti, Direttore Generale dal 2022 vanta un CV aziendale che parte dal 2014.  Un manager esperto della “macchina aziendale” di Pam. Ho trovato una bella squadra. Un ottimo punto di partenza per capire dove va un’azienda. E soprattutto se alle parole, tipiche di queste presentazioni, possono poi seguire i fatti. 

In Veneto la GDO ha prodotto tante variazioni sul tema. Con una battuta mi verrebbe da dire che dev’essere l’aria. Non è un caso che in quella regione, oltre a PAM che ha conquistato una dimensione nazionale c’è Tosano che da quelle parti sta facendo vedere i sorci verdi a Conad, Eurospin che tiene testa ai  due discount tedeschi LIDL e ALDI e che hanno scelto di partire da quella regione per “conquistare” il Paese. Il Veneto è  uno dei punti  potenzialmente più  interessante per comprendere per il futuro della GDO. Conad e Coop restano fuori quota.  Nel nanismo complessivo del nostro sistema distributivo, è  forse da lì, oltre che dal sud, che può emergere, se i passaggi generazionali funzioneranno, qualcosa di nuovo.

PAM nasce a Padova nel 1958. I suoi fondatori non raggiungevano in tre i cento anni. Oggi sarebbe impensabile nel comparto. Il front man era Tito Bastianello. Uno dei leader storici della GDO italiana. Gli altri due soci erano Giancarlo Dina e Giampaolo Giol. Meno in vista ma altrettanto fondamentali per il decollo dell’impresa e la sua navigazione dal boom economico alla fine del secolo. Oggi Presidente e AD è Arturo Bastianello. Figlio di Tito. Quel modello di  sviluppo è ormai finito da tempo. Non solo per PAM. Oggi la sfida è consolidare per ripartire. Tenere testa ai discount rilanciando su qualità, convenienza e sostenibilità “sfruttando” anche  il modello di franchising che è stato scelto che valorizza le partnership individuate, ripensare alle grandi superfici  di proprietà con l’occhio attento al conto economico e reinventare il mestiere della GDO aggiungendo nuove risposte alle esigenze dei consumatori attraverso l’innovazione e la valorizzazione dei collaboratori.  Leggi tutto “Grande Distribuzione. PAM punta sulla squadra..”

Polemiche tra Confindustria e Confcommercio sul lavoro povero. Servirebbe proprio un’operazione “verità”

Carlo Bonomi, Presidente di Confindustria, ha lanciato nei giorni scorsi   la proposta di un grande patto al segretario della Cgil Landini per fare una operazione verità in Italia, per dire insieme ai sindacati chi sono quelli che pagano poco, che non pagano il giusto e quelli che sono fuori dalle regole. La stessa CISL del terziario aveva proposto tempo fa “un cambio di passo culturale, una svolta in cui le Parti Sociali possano giocare un ruolo importante esercitando una funzione educativa. Formare le lavoratrici e i lavoratori sui loro diritti legali e contrattuali, aumentare la conoscenza degli strumenti di tutela messi a loro disposizione, supportarli nell’attività di denuncia devono essere prerogative del sindacato».

Carlo Bonomi ha affermato: “Serve un grande patto di equità sociale da fare noi con il sindacato e dire senza peli sulla lingua chi sono quelli che pagano poco. Chi sono? Cooperative, finte cooperative, commercio e servizi”. Una verità amara da digerire ma evidente per chi non si vuole nascondere dietro un dito.  Donatella Prampolini Vice Presidente di Confcommercio non ci sta. “il nostro CCNL è già sopra i 9 euro”. La nuova linea Maginot che distinguerebbe “il grano dal loglio” in materia salariale.

I 9 euro indicati  per il salario minimo non nascono a caso. Dipendono da un calcolo economico che tiene conto dei parametri europei. Il riferimento è al 50% della media dei salari comunitari. A questo va aggiunto il dato ISTAT e il fatto che molti contratti sono scaduti ed erosi dall’inflazione. Ovviamente è solo una certificazione di rifermento. Non ci dice che va tutto bene. Però assolve tutti. Come i gatti che di notte sono tutti grigi.

Lasciamo per un momento l’appassionato confronto. Innanzitutto nessun contratto, tra gli undici maggiormente applicati nel nostro Paese. prevede un trattamento economico complessivo inferiore ai 9 euro.  Dai 9,25 euro di una guardia giurata inquadrata al quarto livello del Ccnl vigilanza privata fino ad arrivare alla cifra di 11,34 euro di un operatore di laboratorio di livello E2 del Ccnl chimica-farmaceutica. Significativo come evidenzia  Adapt, che in tutti i contratti analizzati già soltanto considerando le ipotesi che prevedono minimi tabellari, due scatti di anzianità maturati e i ratei delle mensilità aggiuntive si superano i 9 euro lordi proposti e addirittura in cinque dei contratti presi in considerazione il trattamento economico risulta superiore ai 9 euro lordi già solo considerando i minimi tabellari (chimica-farmaceutica, metalmeccanica industria, industria alimentare, commercio e tessile). Gli unici due Ccnl che sono sotto, ma per pochi centesimi, sono Pulizia-multiservizi (8,59 euro) e Vigilanza privata (8,51 euro) (dal Sole 24 ore). Il tema quindi non sono i nove euro che nemmeno lo stesso Bonomi discute. Il Presidente di Confindustria ha però ragione su un punto. Non è lì il problema. I dati parlano chiaro. Per questo vanno accesi i riflettori. Non basta rispedire al mittente le accuse come fa Donatella  Prampolini (https://bit.ly/47MeM3J).

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Conad. Piovono fiori sui ladri in fuga. Con annessi i vasi di terracotta….

Può sembrare strano partire da un furto con scasso in un punto vendita periferico per poi allargare lo sguardo. È un modo come un altro per comprendere cosa c’è alla base dell’universo Conad. Sfaccettature incredibili di luoghi e di persone difficili da intercettare dai comunicati stampa. Fortunatamente c’è molto altro oltre alla difficoltà tra le leadership delle cinque cooperative.  In questi giorni è finita sulla stampa locale il furto di una cassaforte ad un Conad City di Colico. E questo consente di accendere i riflettori sulla composizione e quindi sulla qualità della base associativa del consorzio.

Siamo a Colico, un piccolo comune di ottomila abitanti in provincia di Lecco, noto oltreché per la posizione e per il turismo lacustre, per il Forte di Fuentes edificato dal Conte omonimo per controllare le vie di comunicazione, come raccontato da Alessandro Manzoni nei Promessi Sposi. Da oggi balza alle cronache anche per i condomini di un palazzo  che hanno difeso a colpi di fiori, provvisti dei rispettivi vasi di terracotta, il Conad City preso d’assalto dai ladri.

Non è però un punto vendita qualsiasi. Almeno per me.  Lo conosco come alcuni altri della cooperativa.  Li ho frequentati  salendo verso Morbegno dalla vecchia strada che costeggia il lago, prima di fermarmi all’Abbazia di Piona, un esempio di architettura romanica lombarda sulle sponde lecchesi del Lago di Como. Appartiene alla “Cooperativa La Popolare” (https://bit.ly/47xf1zV) nata  nel 1919 a Lecco a cui aderiscono 2030 soci, che oggi gestisce otto supermercati tutti a marchio Conad, a Lecco (Viale Turati e San Giovanni), Colico, Mandello, Inveruno, Vanzago, Turbigo e Figino Serenza  dando lavoro  a oltre 100 persone. Una storia lunga cent’anni al servizio delle persone, sempre animati da uno spirito cooperativistico, lavorando quindi per il bene della comunità. Il trambusto provocato dalla “spaccata” ha svegliato l’intero palazzo e quelli vicini. I residenti  si sono affacciati a balconi e finestre per gridare contro i ladri intenti a sradicare la cassaforte dalla parete in attesa dell’arrivo dei carabinieri. Qualcuno più temerario si è spinto oltre e ha iniziato a lanciare contro i rapinatori,  i suoi  vasi, completi di fiori, dall’alto.  È così iniziata la “battaglia” per impedire il furto. I vasi e il loro profumato contenuto hanno però centrato solo il furgoncino, non i ladri, che però si sono dati alla fuga prima di sfondare anche un secondo negozio.

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Grande Distribuzione. Ridurre furti, frodi, scarti e inefficienze varie

“Settimo, ruba un po’ meno”. Non è solo una commedia di Dario Fo. È un obiettivo di difficile soluzione per la GDO, conosciuto all’interno di quel mondo, con il termine “differenze inventariali”. Nel 2022 hanno raggiunto in media l’1,38% del fatturato annuo. Parliamo di circa 4,6 miliardi di euro. A questo valore va aggiunta la spesa che le aziende sostengono in misure di sicurezza o contrasto alle perdite con un costo economico totale stimato pari a 6,7 miliardi di euro.

Perdite notevoli derivanti non solo da furti e frodi ma anche da errori amministrativi, scarti, rotture e inefficienze varie. È dal 2017 che Crime&tech spin-off di Transcrime – Università Cattolica del Sacro Cuore, con il supporto di Checkpoint Systems Italia e la collaborazione dell’associazione Laboratorio per la Sicurezza propongono questi dati presentati all’interno di  studio e raccolti attraverso un questionario online distribuito a un campione di security manager appartenenti a 40 gruppi aziendali del settore Retail e GDO, per un totale di oltre 10.300 punti vendita e l’analisi di informazioni su più di 103.000 singoli eventi criminali registrati in punti vendita di tutta Italia tra il 2021 e i primi nove mesi del 2023.

“L’obiettivo dello studio è di provare a quantificare le perdite e fornire alle aziende degli spunti di riflessione sulle soluzioni da poter adottare” commenta Marco Dugato, Amministratore di Crime&tech e Ricercatore di Transcrime – Università Cattolica del Sacro Cuore”.  Tra i settori coinvolti, il Comparto del Fai da Te (2,00%), i Supermercati, gli Ipermercati e i Discount (1,98%) sono quelli che registrano i valori più alti. Dallo studio risulta che  circa la metà delle differenze inventariali sono di natura sconosciuta quindi difficile rintracciarne le cause. Il restante 52% è attribuibile a furti (da clienti e dipendenti), scarti e rotture, errori amministrativi e contabili e frodi commesse da fornitori. In netto aumento, secondo la metà circa di chi ha risposto,  i furti di necessità. Già in aumento dal 2019 al 2020 con un valore medio della merce rubata o recuperata nei singoli episodi pari a 40 euro.

Occorre anche considerare che, secondo la Cassazione il furto al supermercato da 50 euro non è punibile data la tenuità del fatto. A questo aggiungo la  vexata quaestio rispetto al reato contestabile: “furto” o “tentato furto”. Sempre la Cassazione ci spiega che, nell’ambito di un supermercato, se la merce viene sottratta dagli scaffali e l’autore riesce a superare le casse senza pagare risponderà soltanto a titolo di “tentato furto” soprattutto qualora la sua azione sia stata costantemente monitorata dalla vigilanza e questa lo abbia fermato all’uscita. Ciò in quanto ancorché la merce sia stata sottratta, non vi è stato effettivo impossessamento della stessa. Inutile commentare. Ricordo la vicenda avvenuta in un ipermercato nel quale un dipendente venne filmato mentre sottraeva un piccolo televisore dal reparto. Fermato nel piazzale nel bagagliaio della sua auto è stato rinvenuto,  come ovvio, il televisore quindi l’azienda lo ha licenziato. In tribunale il giudice ha dato torto all’azienda respingendo così il licenziamento. Il filmato si interrompeva all’uscita del punto vendita e quindi non esisteva la prova certa che il televisore fosse  stato messo sull’auto dal dipendente stesso. Che dire? Leggi tutto “Grande Distribuzione. Ridurre furti, frodi, scarti e inefficienze varie”

COOP. Il futuro non si aspetta, si fa…

   Oggi le insegne della Grande Distribuzione si possono valutare sui fatturati, sui margini,  sulla capacità di anticipare le esigenze dei clienti o sull’innovazione. Questo resta una priorità per il management e per gli esperti del comparto. Altri criteri contribuiscono a determinarne però l’identikit per chi le frequenta e le sceglie. Innanzitutto la convenienza nelle diverse declinazioni possibili, l’impegno sull’ambiente e a favore del contesto territoriale dove operano, la capacità di attrarre e valorizzare il lavoro. Nel caso di Coop, il cliente esterno da valorizzare nel ruolo di socio e il cliente interno da avere a bordo convinto e consapevole della “maglia” che indossa.

Su questa “doppia natura” Coop continua la sua corsa in solitaria. Su alcuni di queste priorità è arrivata prima degli altri. Sul rispetto del lavoro e il rispetto delle regole di ingaggio definite dai contratti nazionali e aziendali è certamente ancora la prima della classe. Soprattutto per i livelli medio bassi. Altre insegne GDO però stanno arrivando ad insidiarne il primato sulla gestione del personale. Era ora. Assistere alle gare di vertice è più invitante che osservare chi lotta per non retrocedere. Oggi propongo due esperienze, tra quelle che compongono l’universo Coop. Unicoop Firenze e Coop Alleanza 3.0.

Sull’ambiente, l’impegno di Unicoop Firenze, una delle sette grandi cooperative di consumatori del sistema Coop, viene da lontano (https://bit.ly/3udtrqg). Almeno dagli anni ‘80 quando l’interesse  collettivo sul tema era ancora tutto da costruire. Basti ricordare la sensibilizzazione sull’uso delle buste di plastica, sul buco nell’ozono e sull’abuso di pesticidi. Oggi il riferimento è l’Agenda 2030 sottoscritta nel 2015 da parte di 193 Paesi tra cui l’Italia che si basa su cinque concetti chiave, rappresentati dalle famose cinque “P”: 1) Persone 2) Prosperità 3) Pace 4) Partnership 5) Pianeta e  da cui la cooperativa ha tratto le linee e gli obiettivi della propria azione.

Sull’energia dal 2013, anno di installazione del primo impianto fotovoltaico nel Coop.fi di Ponte a Greve ad oggi, la cooperativa ha realizzato 50 impianti fotovoltaici in grado di produrre 13 milioni di kWh annui da fonti rinnovabili, pari al 10% del fabbisogno energetico della cooperativa. Negli ultimi anni la cooperativa ha installato 130 colonnine per la ricarica dei veicoli elettrici nei parcheggi di 43 strutture commerciali. Tra i principali progetti a favore delle comunità e coinvolgendo scuole e associazioni sul territorio, quello dei boschi didattici grazie al quale, nel triennio 2021 – 2023, sono stati realizzati 48 boschi didattici in 26 Comuni delle sette province in cui opera la cooperativa. Il progetto ha coinvolto oltre 280 classi delle scuole primarie coinvolte per un totale di circa 6mila bambini coinvolti. Tra le attività di promozione della sensibilità ambientale, il progetto Liberi dai rifiuti organizzato, a partire dal 2019, in collaborazione con Legambiente e con le amministrazioni locali. 

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Esselunga. La mossa a sorpresa dell’azienda milanese…

Non so se Marina Caprotti o qualcuno tra i suoi collaboratori più fidati ha studiato dai Gesuiti. “Entrare dalla porta dell’altro per uscire dalla propria” ha caratterizzato da sempre la loro strategia di penetrazione. Esselunga, alle prese con una concorrenza “tignosa” nei suoi territori di elezione e sul suo terreno tradizionale si appresta ad una mossa decisiva per il suo futuro: provare ad uscire dai suoi confini territoriali e di business.

Il 14 novembre partirà lo scaffale digitale di enoteca.esselunga.it L’obiettivo è di arrivare in  tutte le regioni italiane, non solo quelle del Centro-Nord, dove tradizionalmente è presente Esselunga, ma anche quelle del Sud e le isole. Lascio agli esperti le analisi sul mercato dei vini, dell’online e sulle possibilità o meno di successo di questa operazione.  Esselunga oggi non parte da zero. 350 milioni del suo fatturato vengono dai vini. Ben 100 milioni di etichette vendute da Esselunga nel 2022.

Sulla sua strada oltre al big Tannico, che fa capo a Campari e Moët Hennessy del gruppo Lvmh, ci sono insegne come Callmewine, Bernabei, vino.com, Cortilia, signor vino, etiliKa, Wine shop e molti altri piccoli distributori. C’è però un dato negativo sottolineato dall’esperto Emanuele Scarci su Distribuzione Moderna: “La nuova proposta omnicanale di Esselunga arriva in un momento negativo per l’e-commerce del vino che, dopo la grande illusione del periodo pandemico, sconta, da un biennio, una caduta a due cifre del business. Per esempio, big player puri come Tannico (controllata da Lvmh e Campari), Italian wine brands e Callmewine (gruppo Pesenti) non riescono a mantenere i fatturati e, in un paio di casi, con perdite operative consistenti. Anzi finora il business si è dimostrato strutturalmente in perdita” (https://bit.ly/49wu7XI).

Per Esselunga, però, questo  “è un passo strategico per il gruppo presieduto da Marina Caprotti perché da martedì Esselunga si presenterà sul mercato del vino di pregio come pure play company” come ha sottolineato Daniela Polizzi. Sarà un modo per il gruppo di arrivare in Italia e di ampliare l’ecosistema di Esselunga» ha dichiarato Roberto Selva in Esselunga dal 2010 è oggi Chief Marketing & Customer Officer del Gruppo al Corriere  (https://bit.ly/3skK4ji). Personalmente sono convinto che il 2024 sarà un anno decisivo per l’azienda di Pioltello. Se dovessi sintetizzarlo in uno slogan direi: “lascia o raddoppia”. L’azienda è ad un bivio. Circondata da una concorrenza agguerrita, impossibilitata a migliorarsi sul suo terreno essendo già la prima della classe come redditività ed immagine presso i suoi clienti, ha poche mosse a disposizione se non vuole declinare. Gli  Esse, i suoi piccoli negozi, sono una risposta tattica. Non certo una strategia che migliora i conti dell’azienda. Il dilemma che deve affrontare la proprietà è chiaro. O cede l’azienda per evitare il declino o tenta un rilancio oltre i suoi confini.  Leggi tutto “Esselunga. La mossa a sorpresa dell’azienda milanese…”

La Grande Distribuzione deve migliorare nel punto vendita…

La recente vicenda Unes, indipendentemente da come evolverà, con la messa in discussione del ruolo e dello status del responsabile di negozio e l’inaugurazione del negozio Tuday  Conad senza casse di Verona rimettono al centro l’importanza o meno di chi vive e lavora nel punto vendita nella GDO. Premetto l’enorme differenza tra i due  casi. Il primo è un autogol di chi gestisce pro tempore l’azienda milanese. Il secondo, l’abolizione della casse, consente di aprire, di fatto,  una nuova era sull’evoluzione del lavoro richiesto in un punto vendita e la qualità del servizio al cliente. Per ora in fase poco più che sperimentale in diverse parti del mondo.

Chi non lo capisce provi a ritornare a cosa c’era prima del supermercato, del telepass o del bancomat. Ai mobili che l’Ikea fa montare direttamente  al cliente. Lavori che scompaiono o che modificano la professionalità richiesta. Arriveranno nuove pratiche e nuove tecnologie. Non è solo un problema di casse automatizzate. L’intelligenza artificiale si incaricherà di rilevare rotture a scaffale, automatizzare le prese d’ordine, individuare le date di scadenza dei prodotti, facilitare l’inventario, controllare la freschezza di frutta e verdura, rilevare gli errori di prezzo, cambiare la logistica, ecc. L’arrivo di questi nuovi metodi di lavoro è irreversibile e spingerà a cambiare in profondità i mestieri della GDO così come li abbiamo conosciuti e costruiti nel novecento anche all’interno del punto vendita. E questo a prescindere dall’on line o dalle formule miste di cui si parla soprattutto nei convegni. 

Nei negozi di Amazon Go l’occupazione non diminuisce. Cambia il back office e cambiano i mestieri nel punto vendita. Spariscono le cassiere ma  aumenta il servizio. Quindi deve crescere la professionalità degli addetti per convincere il cliente stesso  a   restare il più a lungo possibile nel punto vendita, visto che non perderà più tempo alle casse. Questa  sarà la prossima sfida. Se ci fosse un minimo di sincerità bisognerebbe ammettere che, la stragrande maggioranza delle insegne ha lavorato negli anni  (chi più, chi meno) per rendere assolutamente invisibili i propri collaboratori agli occhi dei clienti. L’esatto contrario di quello che occorrerebbe fare. Posizione del negozio e offerta commerciale sono sempre stati ritenuti gli unici elementi imprescindibili per il successo. Il resto veniva comunque dopo. Fino a poco tempo fa la cassiera era addirittura valutata per la sua velocità alle casse. Così da smaltire il più rapidamente possibile la coda dei clienti. “Viva le cassiere” è stato lo slogan più citato durante la pandemia. Ovviamente senza alcuna conseguenza positiva per il ruolo. Infatti il contratto di lavoro è fermo dal 2019.

Il responsabile del negozio, al contrario, è sempre stato valutato dalla sua capacità di gestione dei problemi e dell’organizzazione. È bravo, mi si consenta un paradosso,  quando il cliente nono lo conosce. Vuol dire che tutto sta filando liscio. Carriera e promozioni nel PDV fino a poco tempo (e forse, anche ora, in molte realtà della GDO) sono state caratterizzate dal cosiddetto “presentismo”. Lo slogan veicolato ai più giovani è sempre stato: “non devi contare le ore che fai”.  Per crescere occorre mostrare disponibilità, voglia di imparare, impegno. Se assunto a part time, a tempo determinato o aspiri a crescere professionalmente, devi “dare” all’azienda per poi sperare di ottenere qualcosa in cambio. Leggi tutto “La Grande Distribuzione deve migliorare nel punto vendita…”

Grande Distribuzione. Con il carrello tricolore si chiude una fase. Adesso occorre guardare avanti.

La mancata convergenza su possibili candidati imprenditori alla guida di Federdistribuzione dopo il flop della selezione esterna ha prodotto, a marzo di quest’anno, un ottimo Presidente di transizione: Carlo Alberto Buttarelli. A memoria solo Cobolli Gigli aveva superato il soffitto di vetro dell’impalpabilità grazie al suo passato. La Federazione era guidata, di fatto, dal suo storico direttore Generale Massimo Viviani. I presidenti, durante i loro mandati, non se li è mai filati nessuno al di fuori dei convegni o dalle interviste sulle riviste di settore.

In effetti, la  GDO non ha mai avuto bisogno, in passato, di avere una leadership vera né una rappresentanza forte. Le insegne leader non le hanno mai volute. Tolto qualche lite in famiglia con Confcommercio sulle liberalizzazioni, per anni, alla GDO, è convenuto stare sottovento nella pancia della Balena di piazza Belli. Quando il sindacato era una controparte ruvida, poter contare su un contratto di lavoro tra i meno onerosi in circolazione era un plus indiscutibile. Semmai da rimodulare, ciascuno a casa propria, con la contrattazione aziendale.

Confcommercio, in cambio dell’adesione dell’intera GDO, assorbiva a livello nazionale i contraccolpi delle liti locali tra le sue associazioni territoriali e le singole insegne che, nel frattempo continuavano a crescere. Tolta Coop, nell’epoca dei governi più o meno di centro sinistra,  praticamente nessuna insegna faceva politica a livello nazionale mentre a livello locale, gli imprenditori più svelti e lungimiranti, in cambio delle posizioni migliori, ingolosivano i politici e gli amministratori locali con gli oneri  di urbanizzazione, con le assunzioni e magari con qualcosa d’altro. Quella fase si è chiusa quando le posizioni migliori ricercate per i formati tradizionali, si sono di fatto ridotte, altri formati sono stati premiati dai clienti   e le diverse insegne hanno intuito le difficoltà del sindacato ormai indebolito dal deciso apporto delle nuove formule di  flessibilità in entrata del lavoro e la conseguente ripresa del governo dell’organizzazione del lavoro da parte delle direzioni del personale o direttamente dall’imprenditore stesso. Le rigidità del lavoro imposte dai Contratti nazionali e aziendali potevano così essere affrontate e, nel tempo, superate.

Federdistribuzione  in tema di lavoro non ha mai avuto una sua identità negoziale riconosciuta perché resta una semplice sommatoria di aziende con un portavoce. Nonostante sia ormai passato molto tempo dall’ultimo rinnovo del CCNL la federazione e la sua  “commissione lavoro” non sono ancora riuscite a impostare una traiettoria originale di riferimento per le imprese e metterla a terra. Il contratto resta una sostanziale ricopiatura di quello di Confcommercio.  La federazione non riesce ad individuare su cosa potrebbe essere possibile costruire uno scambio credibile che guardi al futuro del comparto e condividerlo con il sindacato di categoria. I contratti nazionali, però, si fanno così. E soprattutto si fanno in due. Altrimenti resta solo il negoziato sul salario. Ma il contratto nazionale ha un’altra funzione. L’assunzione oggi di un ruolo di interlocutore politico e sociale vero,  rende però indispensabile costruire una leadership anche sul versante sindacale. Le aziende principali devono esporsi. L’autorevolezza delle federazioni di Confindustria passa anche dalla loro capacità di innovare i contratti e di convincere l’interlocutore sociale a condividerne le traiettorie.

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Patrizio Podini e la “sua” MD alla conquista dello spazio (a Milano)…

Ogni volta che visito un nuovo punto vendita che apre a Milano o nell’hinterland penso sempre  al gioco della moneta da un centesimo che viene fatta cadere  in un bicchiere colmo d’acqua. Ci starà anche questo, mi domando? Come con le monete che scendono nel fondo del bicchiere, lo spazio sembra esserci  sempre. Magari a scapito di altri. La città metropolitana di Milano ha perso dal 2019 circa 32.000 abitanti. Milano città però è ritornata ai livelli pre-covid sopra il milione e quattrocentomila residenti inclusi i milanesi non italiani (comunitari ed extracomunitari con regolare permesso di soggiorno). Almeno 200.000  milanesi però vivono sotto la soglia di povertà. Persone che l’inflazione ha reso ancora più povere e Milano, non serve sottolinearlo, resta una città cara da viverci.

Polarizzata sul piano della disponibilità economica. Differenziata sia tra quartieri che all’interno dei quartieri stessi. I punti vendita vecchi e nuovi funzionano come vasi comunicanti. Quando ne apre uno nuovo si sa che toglierà clienti agli altri. La diffusione sul territorio favorisce una sorta di nomadismo negli acquisti, lo scontrino tende a ridursi e quindi l’attrattività, ovvero l’offerta costruita su misura del cliente, diventa decisiva. Per questo lo stesso franchising, che rappresenta  l’esaltazione  del micro, anche se un po’ sgarrupato, funziona bene in questo contesto territoriale. Più lo scontrino si abbassa più i  negozi si assomigliano un po’ tutti. Ovviamente la gestione dei costi è fondamentale perché il cliente va dove gli conviene.

Esselunga, la leader cittadina è circondata da una pluralità di proposte che la costringono a risposte tattiche che rischiano di snaturarne il profilo. È come se i concorrenti ne percepissero le difficoltà. Gli Esse sono sicuramente più completi  di altri paesi formato ma rischiano di andare in sofferenza. L’azienda di Pioltello ha uno standing che non può venire meno e che deve mettere in campo anche nei punti vendita più piccoli. E questo costa. Sulla fascia alta, Iperal e Tigros, stanno penetrando in città e “martellano” dall’hinterland  le posizioni più esposte. Carrefour e PAM, pur anch’esse con qualche affanno  (attutito  però  dai franchisee), incidono comunque sulla piazza,  mentre i discount, veri o presunti tali, lavorano ai fianchi il leader cittadino che così soffre. Difficile non andare con la memoria alla rinuncia di Conad sulla città dopo l’acquisizione dei PDV di Auchan. Un’occasione perduta dalla prima della classe forse proprio per paura di doversi misurare con Esselunga. Un segnale evidente delle difficoltà interne al consorzio, nel saper gestire il primato, che sarebbero emerse  di lì a poco..

MD è un’insegna tosta. Sa come e dove colpire. Aveva pianificato sulle tv digitali (Rai Play, Mediaset Play, canali di Ciaopeople e su YouTube) 5 brevi racconti per affrontare con ironia gli stereotipi e i preconcetti che circondano i prodotti del discount. Il nome era tutto un programma: “È tale  e quale!”. Centromarca ha immediatamente invitato e diffidato MD a provvedere alla sospensione della campagna. La campagna è stata sospesa. Un peccato. In questo mondo un po’ curiale dove tutte le insegne (non solo i discount) pensano sul serio che la loro MDD “è tale e quale” al prodotto di marca, quegli spot rompevano gli schemi. Colpivano nel segno come quello  della “spesa intelligente” di Eurospin. Il leader tra i discounter. L’esatto opposto della campagna nazional popolare con la rassicurante Antonella Clerici che, insieme al cavaliere, gigioneggiano, augurando  Buona Spesa all’Italia intera. Leggi tutto “Patrizio Podini e la “sua” MD alla conquista dello spazio (a Milano)…”

Il Carrello tricolore ha tolto la GDO dal banco degli accusati. Adesso occorre andare oltre..

Continuo a pensare che siano due facce della stessa medaglia. Da una parte le dichiarazioni del Ministro Urso. La politica che cerca di sfruttare il fatto di essere nel posto giusto al momento giusto. Dall’altra gli opinionisti che spaccano il capello in quattro per ribadire una cosa ovvia: l’inflazione segue traiettorie molto complesse  impossibili da mettere sotto controllo soprattutto in un contesto geopolitico come quello che stiamo vivendo. Non sarà certo per un accordo di buon senso come quello  del “carrello tricolore” che ha coinvolto la quasi totalità della Grande Distribuzione e solo una parte dell’industria alimentare di marca.

Anziché cercare di capire, se e quanto, il “carrello tricolore” ha favorito, e in che modo, la ripresa di fiducia dei consumatori  nei confronti della GDO pur nei diversi formati si insiste  in esercizi inutili.  Italia Fruit news ha pubblicato (https://bit.ly/49oNCle) un’analisi proposta da Quick Service (il servizio “espresso” del Monitor Ortofrutta di Agroter) sull’analisi settimanale delle vendite di ortofrutta. Dopo tre settimane dall’applicazione del provvedimento, il non coinvolgimento dell’ortofrutta nell’iniziativa l’ha penalizzata. E sono solo tre settimane. Io aspetterei dicembre per tirare conclusioni.

Ci sono addirittura giornalisti che si sono  presentati nei punti vendita a poche ore dell’avvio del “carrello” per sostenere  che l’iniziativa  era fallita prima ancora di cominciare. O poco sentita dalla stessa GDO solo per aver rilanciato le dichiarazioni di  qualche manager che parlava a titolo personale. Cattiva comunicazione da entrambe le parti. Ovviamente la polemica  è solo contro la strumentalizzazione  interessata  del ministro.  Ma cosa ha detto, in concreto?  Che il calo dell’inflazione in Italia è merito del Governo. Cosa ovviamente non vera.  Quando ho letto le dichiarazioni del ministro, ho dato al tweet il peso che meritava e sono passato oltre.  Ma tant’è.

Anche perché ci sono top  manager che non si ricordano le enormità che vengono “sparate” nelle convention aziendali per motivare la truppa. Lo stesso fa la politica. Per i detrattori, nell’industria  alimentare e in parte della GDO,  il Patto, come il matrimonio tra Renzo e Lucia, non era da fare. Anche dopo la firma, non sentono ragioni. Inutile spiegare loro che con questo accordo la GDO ha evitato di finire sul banco degli imputati. Inutile ricordare che le promozioni e gli impegni messi in campo  fino all’accordo, e che avevano inciso pesantemente sui margini, non erano state nemmeno colte dai consumatori. Inutile spiegare che il patto, come ho già scritto, ha messo tutte le insegne e i formati distributivi sullo stesso piano agli occhi dei clienti. Ancora più inutile spiegare loro che essere interlocutori della politica  con un Governo che,  durerà e legifererà su materie cruciali anche per la GDO fino alla fine della legislatura, se non ancora più a lungo, è fondamentale. E non lo si sarebbe mai diventati alzandosi da quel tavolo..

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