Despar. Una realtà GLOCAL della Grande Distribuzione..

Non è da molto che frequento i press day delle insegne della Grande Distribuzione. C’è la concreta possibilità  di trovarsi ad ascoltare l’oste che non può che parlare bene del suo vino.  Soprattutto è difficile comprendere il legame tra quelle presentazioni  e la realtà quotidiana senza frequentare i loro negozi. Il rischio così è che le insegne, a chi ascolta, sembrino un po’ tutte uguali. Poche, nel comparto,  giocano per vincere il campionato. La maggior parte di loro gioca per non retrocedere. Fino a poco tempo fa la crescita era sostanzialmente assicurata dalle nuove aperture e dalle acquisizioni. Dentro il PDV, dalla ricchezza, dalla qualità dell’offerta e dalla convenienza. Oggi la partita sta cambiando. La proliferazione di insegne e formati spesso confinanti spinge il cliente a frequentarne più d’uno. C’è chi dice, almeno sei. Le borse variopinte alle casse spesso segnalano questa “infedeltà”.

I “press day” hanno però un pregio. Consentono di capire il grado di consapevolezza dell’insegna rispetto a questi cambiamenti in corso. Con questo spirito mi sono recato alla presentazione di Despar. Conoscevo poco questa azienda. Il punto vendita di Malé in Val di Sole che frequento per diversi mesi all’anno, il loro direttore risorse umane Angelo Pigatto e Fabrizio Colombo, oggi Despar Sardegna, con cui, in passato,  siamo  stati colleghi in Standa.  Due ottimi professionisti che avevo perso di vista. Non avevo altri riscontri diretti. L’evento era a casa LAGO, un grande appartamento nel centro di Milano in grado di trasformarsi in una location per incontri di business rinominata  per l’occasione in “Casa Despar”. Lì, ho incontrato i due artefici principali della Despar di oggi. Il Presidente, Gianni Cavalieri, un imprenditore siciliano esperto, grande navigatore e profondo conoscitore del comparto e Filippo Fabbri il Direttore Generale che vanta una  carriera  significativa a cavallo tra industria alimentare e GDO.

Despar è un  consorzio di imprese che  riunisce sotto  l’insegna  6 aziende della distribuzione e quasi un migliaio di affiliati con  un fatturato di 4,14 miliardi di euro e circa 1400 punti vendita collocandosi tra le prime dieci insegne italiane. Assente in alcune regioni centrali (Toscana, Marche e Umbria). Cresce al sud (Puglia, Calabria e Sardegna) e in alcune regioni del nord (Piemonte, Liguria e Emilia Romagna). È una multinazionale tipicamente “Glocal”, in grado di pensare globalmente e agire localmente. Spar International, il gruppo mondiale della distribuzione associata è presente in 48 Paesi con un fatturato complessivo di 43,5 miliardi di euro in crescita (https://www.desparitalia.it/spar-international/).

È presente sul territorio nazionale in 17 regioni italiane con le insegne Despar, Eurospar e Interspar. Nel Consiglio di amministrazione di Despar Italia sono entrati due nuovi amministratori, Marco Fuso (Despar Nord Ovest) e Francesco Montalvo (Despar Nord Est), insieme a Pippo Cannillo (Despar Centro Sud), Fabrizio Colombo (Despar Sardegna) e Toni Fiorino (Despar Messina). Paul Klotz di Aspiag Service, che ha ricoperto la carica di presidente dal 2016, assume il ruolo di vicepresidente. Interessante la strategia GLOCAL: attenzione alla sana alimentazione, sostenibilità e promozione di prodotti locali e filiere agroalimentari italiane. Attualmente, oltre il 90% dei fornitori delle linee Despar sono italiani e producono in Italia. Leggi tutto “Despar. Una realtà GLOCAL della Grande Distribuzione..”

Logistica GDO e non solo. Che sta succedendo?

I piazzali della logistica sono in ebollizione. Pochi lo stanno sottolineando. Il sindacalismo di  base nelle sue varie colorazioni ha lanciato la sua parola d’ordine unificante e “pericolosamente” condivisa: “internalizzare ciò che è stato esternalizzato”. Una sorta di “reshoring” aziendale forzato. Come per i rider. Tutti dipendenti diretti. Ma qui si parla di un comparto molto più complesso del home delivery. Tra una parte della magistratura milanese che giustifica il blocco delle merci e i picchetti come fossimo negli anni 70 e l’affanno dei sindacati confederali dal comparto privi di una strategia condivisa, la tensione continua a salire.

Il tema centrale,  nei  prossimi mesi  è se CGIL-CISL-UIL  unitariamente o a livello di singole organizzazioni si metteranno ad inseguire i Cobas sul loro terreno o si porranno in una logica di gestione delle conseguenze dell’evoluzione del sistema logistico nazionale. Le spaccature tra CGIL e UIL da una parte e CISL dall’altra sul giudizio di ciò che sta facendo il Governo, così come in alcune vicende aziendali, segnalano uno scenario sindacale in movimento. Capirne la direzione è importante.

Intanto nella logistica si sta giocando una partita decisiva. Le aziende, sia industriali che commerciali stanno cercando di ridisegnare i propri  confini   organizzativi per renderli più vicini alle esigenze dei clienti ma stanno anche correndo ai ripari a seguito delle continue difficoltà incontrate nella gestione  dei loro magazzini pur terziarizzati proprio per l’azione antagonista dei sindacati di base. E questo provoca conseguenze inevitabili. Con l’affermazione del concetto di supply chain  si è passati  nel tempo da una funzione di supporto organizzativo ad una funzione strategica per lo sviluppo delle singole aziende. L’outsourcing logistico è inevitabile perché consente una concentrazione sul core business e costituisce una soluzione decisiva per tutte le aziende che ricercano nuovi metodi e una soluzione per alzare il livello di efficienza aziendale e di produttività, indispensabile per competere oggi. La logistica moderna non comprende semplicemente, come in passato,  il trasporto merci o la gestione dei  magazzini. Si vanno a coinvolgere settori ben più ampi di questi: dalla rete di approvvigionamento delle materie prime alla distribuzione della merce, passando dal processo di ordine ed eventualmente di gestione del reso.

Ognuno di questi aspetti, inevitabilmente, va a influire su tutti gli altri. Dalla sua attenta pianificazione, in un regime di forte concorrenza come quello attuale, può dipendere il successo o l’insuccesso imprenditoriale di un’azienda. È chiaro che i costi logistici, gli appalti e i relativi sub appalti, la gestione stessa dei magazzini e del personale da parte dei terzisti sono un fattore chiave in termini di efficienza e di produttività del sistema. E questo porta con sé una serie di contraddizioni sugli addetti, gestiti spesso spregiudicatamente, che devono essere affrontato e risolti rapidamente. Senza questo scatto in avanti del comparto situazioni legittime di cambiamenti di strategia vengono strumentalizzate e bloccate con pesanti conseguenze economiche sulle imprese logistiche serie ma anche sulle imprese committenti.  Leggi tutto “Logistica GDO e non solo. Che sta succedendo?”

Dalla logistica alla GDO. Importare cattive pratiche è un attimo….

Per chi, come il sottoscritto, cerca punti di osservazione meno scontati  con tutto ciò che è collegato alla Grande Distribuzione, la notizia che il Gip del Tribunale di Milano sez. penale, dott.ssa Daniela Cardamone, ha archiviato il procedimento a carico di 32 lavoratori e attivisti del SI Cobas  per i fatti accaduti durante gli scioperi avvenuti ad agosto e settembre 2021 fuori ai cancelli dei magazzini Unes – Brivio & Vigano di Truccazzano e Vimodrone (MI) segnala una svolta da non sottovalutare.

Come negli anni 70 e 80 del secolo scorso si sta riproponendo un collegamento pericoloso che getta un’ombra sulle traiettorie dello  sviluppo del comparto e del possibile effetto imitativo  che, la degenerazione delle lotte sindacali promosse dai sindacati di base sui piazzali della logistica e la crisi di leadership del sindacalismo confederale, possono determinare.  Al di là dei ricorsi possibili il dispositivo “smonta”  una prassi ormai consolidata che considerava sia il “picchetto duro” che il “blocco delle merci” in entrata e in uscita da un centro logistico un atto di violenza  privata e quindi  un reato.

Non è un fulmine a ciel sereno. Conferma un’analoga pronuncia formulata pochi mesi fa da una altro  PM, il dott. Enrico Pavone. Il principio affermato è semplice: “un picchetto fuori dai cancelli in occasione di uno sciopero, condotto dai lavoratori attraverso l’ostruzione delle vie d’accesso al posto di lavoro operata con la loro presenza fisica e finalizzato ad impedire l’ingresso delle merci, non è punibile poiché tale forma di lotta è parte integrante del diritto di sciopero e della libera iniziativa sindacale, tutelate dagli articoli 39 e 40 della Costituzione”.

Come già argomentato dal PM nella richiesta di archiviazione, il picchettaggio è, a tutti gli effetti un’attività “ancillare e corroborante” dello sciopero; bloccare le merci è il più delle volte una necessità oggettiva per far si che lo sciopero stesso abbia un senso e per impedire che l’azienda ne vanifichi del tutto gli effetti per mezzo del crumiraggio”.  Dichiarando quei comportamenti non punibili, di fatto però li legittima, quali azioni “necessarie” per imporre alle aziende il rispetto dei contratti nazionali o locali, dei diritti dei lavoratori e della loro dignità. Su tutti il diritto a una retribuzione dignitosa, alla libertà sindacale e al rispetto delle normative sulla sicurezza”.

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Secondo NielsenIQ cambiano consumi e luoghi della spesa…

Le previsioni sono fatte per essere smentite. Il 2023 si chiude con un aggravamento della situazione socio-economica e la condizione delle famiglie italiane ne esce peggiorata. Chi la faceva semplice basandosi su tendenze momentanee di calo dell’inflazione  si dovrà ricredere. I consumatori, per contrastare il carovita devono considerare con grande attenzione non solo cosa comprare ma anche dove comprare.

Confermo una mia convinzione. Il “carrello italico” ha rappresentato una sorta di safety car che ha contribuito a mettere tutte le insegne e tutti i formati più o meno sullo stesso piano. Almeno nella percezione  del consumatore. Romolo De Camillis, Retailer Directory a NielsenIQ, giustamente sottolinea su LinkedIn  che  “è ancora presto per stabilire relazioni di causa effetto tra i panieri anti-inflazione (a prevalenza mdd) e l’andamento delle vendite, nonostante i dati della seconda settimana di ottobre vadano nella direzione della prima. Non trascurerei invece l’impatto positivo che la comunicazione può avere nel rassicurare i consumatori sull’impegno dell’insegna e dei negozi nel combattere il caro-vita”. Anche attraverso l’adozione della cartellonistica relativa all’operazione stessa.

In un clima di sfiducia generalizzata nei confronti di chi emette lo scontrino una sorta di certificazione comune sottolinea la presenza di un impegno. È quello che alcuni osservatori hanno sottovalutato. Non c’è in loro la percezione che intorno a noi si stanno sgretolando certezze e equilibri geopolitici. C’è chi ha pensato che eravamo di fronte alla classica quanto inutile passerella politica del Governo e non ad un cambio di paradigma che induce confusione e preoccupazione nelle persone anche nell’atto della spesa. E che la passerella era, in fondo, un peccato veniale, rispetto al contesto.

Ci sono all’orizzonte enormi rischi anche per il nostro Paese. L’industria di marca stessa ha dovuto prendere atto che la situazione che si andava creando con il loro rifiuto a partecipare, alla lunga,  non avrebbe giovato nemmeno a loro. È così il cigolante carrello si è messo in moto. Se non ci fosse stato il patto  oggi la GDO sarebbe al centro di polemiche al calor bianco. È chiaro che il patto non è la soluzione. Ma sia chiaro che dovremo coesistere con questa situazione di incertezza anche nel 2024.  E questo era un  passaggio obbligato. Fortunatamente i “benaltristi” sono stati lasciati in panchina. Leggi tutto “Secondo NielsenIQ cambiano consumi e luoghi della spesa…”

LIDL. La convenienza diventa sostenibile per l’ambiente, i consumi e le persone…

Per il grande pubblico un’insegna è rappresentata dai suoi  punti vendita. Quello che c’è dietro non si percepisce. Poche insegne, nel nostro Paese, sono riuscite ad imporsi, come realtà economiche importanti fuori dal comparto. Coop, Conad e Esselunga ce l’hanno fatta grazie alla loro capacità di giocare a tutto campo su alcuni filoni di interesse generale. Acquisizioni, attenzione al contesto sociale, gestione delle risorse umane, leadership del proprietario.

Tutto quello che vediamo, in termini di innovazione, di formati  o di layout  è arrivato per anni principalmente dagli Stati Uniti o dalla Francia. Qui poi è stato declinato adattandolo al profilo dei consumatori locali. Da qualche anno anche dai tedeschi arriva qualcosa di nuovo. Qualcosa che va oltre il discount. La convenienza, la sostenibilità, l’evoluzione dei consumi trovano una nuova declinazione.

Oggi tocca a Lidl rappresentare concretamente una strategia che nel prossimo futuro sarà colta e seguita da molti altri. Il percorso intrapreso è però chiaro. La presentazione della nuova strategia di sostenibilità (https://bit.ly/3QvArY1) rappresenta una volontà precisa che va oltre il classico greenwashing a cui molti, non solo nella GDO, ci hanno abituato. È un riposizionamento strategico che parte dalla casa madre e definisce il nuovo profilo della multinazionale di Neckarsulm presente in  31 Paesi, in Europa, USA e Hong Kong con  oltre 360.000 collaboratori. Questo si abbastanza raro nel panorama della GDO. Un approccio olistico su tre dimensioni: benefici per il Pianeta, benefici per le Persone e, infine, benefici per i Clienti.

Massimiliano Silvestri, Presidente Lidl Italia, lo ha sottolineato rivendicando la conferma delle traiettorie decise nonostante il contesto geopolitico, economico e sociale spingerebbe ad una maggiore cautela. “Per quanto potremo fare abbiamo non solo la facoltà, ma anche il dovere, di esercitare la nostra influenza in ogni ambito del nostro agire quotidiano per dare un contributo concreto all’ambiente e alla società”.

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L’Esselunga di Caprotti è una sola….

“Le ossa dei Caprotti” (Una storia italiana di Giuseppe Caprotti) è un libro sicuramente da leggere. È la storia di una grande impresa familiare e dei suoi protagonisti raccontata per quello che è stata. Leggendola tutta di un fiato mi è venuto in mente Fabrizio De André. “Cominciò con la luna sul posto e finì con un fiume di inchiostro è una storia un poco scontata, una storia sbagliata”… Probabilmente non serviva un libro per sapere che Bernardo Caprotti non fu uno stinco di santo  e che Giuseppe Caprotti era una persona per bene. Se ci si potesse fermare qui si prenderebbe atto della verità di un protagonista di quella famiglia che per oltre vent’anni ha cercato di emergere in una situazione oggettivamente difficile. Sottolineando, ovviamente,  la mancanza di  un diritto di replica del bersaglio principale del libro, Bernardo Caprotti, che  non può esserci per ovvie ragioni.  Fatti  raccontati e  spiegati meticolosamente che hanno sconvolto la vita e il percorso professionale del primogenito dei Caprotti e che meritano, rispetto da parte di chi legge.

L’Espresso già il 13 dicembre  2012 aveva descritto “una saga familiare, tra risse, tradimenti e drammi attraverso tre generazioni per il controllo di un gruppo da sei miliardi di euro” (oggi 8,5 miliardi ndr). Il libro riprende quel racconto proponendo ulteriori dettagli, particolari inediti, istantanee familiari che coinvolgono soprattutto una parte degli eredi e il loro complesso rapporto con il padre Bernardo.  I confini tra interessi familiari, profili caratteriali e vicende personali, quando colpiscono gli interessi economici dei singoli familiari e si catapultano nelle aziende, ne minacciano quasi sempre stabilità e prospettive. Almeno fino a quando non si individua un percorso chiaro.

Non è un tema che coinvolge solo l’azienda di Pioltello. Va sottolineato, per evitare equivoci. Io penso che nessun imprenditore della GDO (e non solo) sia arrivato a costruire una sua realtà economica importante rispettando semplicemente le regole del gioco. Nella migliore delle ipotesi le ha interpretate, forzate, piegate a proprio favore. Su questo Caprotti senior è solo uno dei tanti. La spregiudicatezza ben descritta dal libro è un tratto caratteristico rintracciabile  in molte situazioni. La differenza è che, la sua, è testimoniata e raccontata  dal figlio. Un fatto senza precedenti. E questo agire fotografato quasi ossessivamente nel libro  consegna alla solitudine il titolare di questi comportamenti circondato spesso da yes men interessati e adulatori. Ma anche da ottimi professionisti ad ogni livello dell’organizzazione aziendale. Esselunga li ha sempre avuti. Non è diventata quello che è, immeritatamente.

Vittorio Merloni, che per un lungo periodo non aveva voluto i figli in azienda, diceva che un padre non deve mai trovarsi nella condizione tragica di dover licenziare un figlio. Caprotti senior lo ha fatto ma non lo ha mai voluto ammettere. L’incompatibilità e la competizione tra padre e figlio  però erano assolute. E non  era solo un problema caratteriale. Era anche di visione dell’azienda e del suo futuro. Problema che travalica il caso in sé. Superata una certa età del fondatore i figli rischiano di essere plagiati o schiacciati dalla personalità e dalla credibilità conquistata del genitore. Sembra cinico affermarlo ma solo quando il passaggio generazionale avviene per tempo o per eventi traumatici che coinvolgono il fondatore in età meno avanzata, i passaggi generazionali sembrano funzionare. Oppure, come in questo caso, dove la seconda moglie di Caprotti, Giuliana, ha tenuto con lungimiranza la figlia lontana dall’epicentro dello scontro familiare proteggendola e agevolandola così nel perseguire i suoi obiettivi. Difficile non giudicare, questa,  una strategia molto più efficace rispetto a quella adottata dall’altro ramo della famiglia. 
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Dal caro carrello al carrello tricolore. La Grande Distribuzione supererà compatta il prossimo trimestre?

L’operazione “carrello tricolore” è finalmente decollata pur con qualche difficoltà di implementazione tra decisioni e messa a terra. Repubblica l’ha già segata.  Tutto come previsto. Servirà almeno una settimana  per andare a regime. C’è fretta di liquidare negativamente l’evento. Dall’esterno, per demolire un embrione sgradito di patto sociale e dall’interno perché la GDO muovendosi come comparto, e non insegna per insegna, disturba chi sulle divisioni e sulla competizione tra insegne ci ha costruito le proprie teorie. L’elenco delle realtà che hanno aderito è disponibile (https://bit.ly/3RH7MjW). Polemiche, dubbi e mal di pancia accompagneranno questa operazione fino alla scadenza,  come era assolutamente prevedibile. Con il testo ancora caldo delle 32 firme, dei sorrisi e delle strette di mano con il Presidente del Consiglio, anche lo stesso Presidente di Federdistribuzione intervistato da Repubblica,  si è fatto prendere la mano reinterpretando  il  Tom Cruise di Minority Report, e, annunciando, in un modo assolutamente intempestivo che uno dei firmatari, l’industria di marca, con il suo comportamento ondivago contribuirà, di fatto, a depotenziare l’intesa.

Io avrei atteso  il “reato” per contestarlo, piuttosto che darlo per scontato. C’è un problema di coerenza complessiva dell’accordo ed è dato dal contributo di tutti i partecipanti. Grande o modesto, si dimostrerà. Al di là del Governo che non ha alcuna intenzione di intestarsi un eventuale fallimento. Lo scaricherà inevitabilmente sull’ultimo anello della catena. L’IDM lo ha firmato, pur a modo suo, obtorto collo. Però lo ha firmato. Ed è su questa firma che occorre tenere alta la guardia.

Altri sui social banalizzano, già ora, i possibili risultati.  Innanzitutto i pattoscettici, quelli che hanno già deciso che siamo di fronte ad un banale esercizio di stile.  “Non ho mai conosciuto un pessimista che abbia concluso qualcosa di buono” amava ripetere Giovanni XXIII. Poi c’è ovviamente, chi contesta politicamente questo governo, e quindi, ne sminuisce la portata. Infine i benaltristi e i sognatori. Quelli che pensano che bisognerebbe sempre fare altro. Ovviamente sui social sono i più agitati. C’è poi chi non avrebbe voluto fare nulla, chi ipotizza la diminuzione dei prezzi per decreto, chi sogna aumenti di stipendi generalizzati, chi la giusta remunerazione per tutta la filiera con il conto spedito altrove e messo in carico alla collettività. O al consumatore finale. Giorgio Gaber nella sua famosa canzone quelli che….. avrebbe concluso questo elenco con un Oh Yeah!

Poi fortunatamente ci sono le insegne della Grande Distribuzione e del commercio in genere. Quelle che hanno dato mandato alle loro associazioni. A cominciare dalle principali che si stanno già muovendo con convinzione sperando di non essere lasciate sole dal Governo e dal resto della filiera nel confronto di merito che dovrà seguire nei prossimi mesi. Per ora, le insegne rappresentano  il colibrì della famosa storiella africana. L’incendio della foresta consiglierebbe a tutti di scappare. Di lasciar perdere. Lui no. Con nel becco la sua goccia d’acqua vola sopra l’incendio. E a tutti quelli che scappano e che lo deridono e che gli chiedono cosa pensa di fare con quella goccia d’acqua nel becco lui risponde tranquillo: “la mia parte, solo la mia parte”.

La stragrande maggioranza delle insegne ha deciso di scommetterci  sul serio e di fare la propria parte. Certo c’è chi è convinto  di averlo  sempre fatto (le famose vecchie e care promozioni). E chi in questi due anni ha sacrificato parte dei suoi margini per tenere volumi e clienti. Ma nessuno, fuori dal perimetro, gliene renderà  merito. Il passato conta poco.  Il “caro carrello” era addebitato alla GDO non agli aumenti dei listini, più o meno giustificati.  I clienti, come ho già scritto, leggono lo scontrino. Non le dotte elucubrazioni sulle cause internazionali dell’inflazione o degli andamenti delle materie prime. In questo senso nell’operazione in corso oltre alla normale passerella a favore di telecamera del Governo, c’è ovviamente una componente di comunicazione esterna  importante da parte della GDO senza la quale si sarebbe scatenata una campagna mediatica difficile da arginare. E questo avrebbe determinato a sua volta una rincorsa confusa e pasticciata sui prezzi, insegna per insegna, per rimbalzare le accuse. Questo rischio è, per ora, alle spalle.
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Patto anti inflazione. Trentadue partecipanti al via….

Non siamo certo al Protocollo sulla politica dei redditi e dell’occupazione, sugli assetti contrattuali, sulle politiche del lavoro e sul sostegno al sistema produttivo (Protocollo Ciampi-Giugni) del 23.07.93 ma l’accordo firmato dal Governo con le 32 associazioni della distribuzione, dell’industria, dell’artigianato, delle cooperative e del mondo dell’agricoltura è un segnale importante. Pur caratterizzato dalla classica liturgia prevista in questi casi a favore di telecamera per enfatizzare l’avvenimento, il ruolo del Governo  e dei  firmatari, il passaggio era comunque delicato e affatto scontato.

Il cosiddetto Trimestre Anti-inflazione prende il via alla presenza istituzionale della Presidente del Consiglio e dei ministeri competenti. Centromarca e Ibc che avevano tentato, in un primo tempo di sottrarsi “hanno confermato oggi a Palazzo Chigi, alla presenza del Presidente del Consiglio Giorgia Meloni, del Ministro delle Imprese e del Made in Italy Adolfo Urso, e del Ministro dell’Agricoltura, della Sovranità Alimentare e delle Foreste Francesco Lollobrigida, il massimo supporto dell’Industria del Largo Consumo al contenimento delle tensioni inflative”.

Così Federdistribuzione  che ha ribadito  “l’impegno del prossimo trimestre, durante il quale le nostre imprese potenzieranno l’offerta di risparmio per milioni di italiani, si aggiunge infatti a tutto lo sforzo messo in campo negli ultimi diciotto mesi per rallentare l’aumento dei prezzi al consumo, frenando la spinta della crescita dei costi energetici, delle materie prime e dei prezzi di listino dei prodotti industriali. Questo perché l’essenza stessa del nostro settore mette al centro la “Dedicata a te” per dare sostegno alle famiglie a più basso reddito, così come oggi il trimestre anti-inflazione che dimostra, ancora una volta, il senso di responsabilità delle nostre imprese”. E così tutto il resto dei presenti che si è  metaforicamente impegnato con la classica firma collettiva.

Rispettata la liturgia cosa succederà ora? Innanzitutto la scelta di lasciare l’assoluta libertà ai firmatari di declinare il loro impegno puntando sulla responsabilità di ciascuno e non su una imposizione sottolinea la serietà dell’iniziativa. Ci sono aumenti di prezzo inevitabili che non possono essere fermati pena la sopravvivenza di realtà economiche, altri rinviabili e altri ancora frutto di decisioni discutibili legate alle strategie delle singole imprese. Le aziende quindi sono libere di dimostrare o meno la loro sensibilità sociale e di sentirsi parte o meno di uno sforzo collettivo nell’interesse del Paese e dei consumi delle famiglie. I diciotto mesi passati che hanno visto l’impegno sul tema delle insegne della GDO sarebbero passati nel dimenticatoio o banalizzati senza la conferma di questa sperimentazione per il prossimo trimestre.

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Esselunga. Far politica con una pesca…

Era immaginabile tutto questo trambusto sulla nuova pubblicità di Esselunga. Critiche feroci,  minacce di boicottaggio, accuse di utilizzare lo spot per spostare l’attenzione verso una visione della famiglia dal sapore fortemente tradizionalista. La bolla dei social si è scatenata. Favorevoli e contrari si sono affrontati senza esclusione di colpi. Il mio commento a caldo è stato: “Crea contrasto e fa discutere. Incidenza sulle vendite? Non credo. Indignazione e approvazione erano in preventivo. Amplifica però la notorietà del brand in un contesto dove le insegne sembrano tutte uguali. Nel merito, non è nelle mie corde ma non mi ha lasciato indifferente”. Lascio agli esperti di marketing il dibattito sull’efficacia e agli estremismi della rete il corpo a corpo sul tema.

Mi interessa ritornare su Esselunga. E su come la GDO vive questo momento dove i riflettori improvvisamente si accendono sul suo agire come mai era successo prima. Non dimentichiamo il patto anti inflazione, il ruolo politico che il comparto, non abituato, si troverà ad interpretare, le ricadute nelle prossime settimane scatenate dalle inchieste vere, o presunte tali, sul rispetto degli accordi sottoscritti. Le inevitabili  furbizie di chi nel comparto pensa che tutto sia sostanzialmente come prima del patto e che la sua libertà di azione non ne risentirà più di tanto. Non dimentichiamo mai le abitudini e la composizione imprenditoriale e manageriale complessiva. Ne vedremo quindi delle belle.

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E continuano a chiamarli Discount. L’exploit di Todis

La crisi e l’inflazione hanno messo sotto i riflettori i discount e la loro capacità di muoversi in sintonia con i consumatori. Per osservare da vicino il fenomeno basta entrare in un supermercato o in un ipermercato tradizionale. Almeno tra quelli impegnati a contrastarli replicandone lo spartito. C’è una grande confusione. I discount, tedeschi o italiani, però, stanno facendo anche altro, interessati come sono, a consolidarsi sperimentando strade nuove.

Tra gli italiani dietro Eurospin e MD, si fa strada Todis, insegna nata a Roma, di proprietà di Iges Srl, controllata dalla cooperativa PAC2000A Conad che comprende oltre 300 punti vendita distribuiti in 10 regioni del centro-sud d’Italia (compresi quelli controllati da Addis srl, joint venture con Conad Adriatico). Ha appena aperto un nuovo punto vendita  a Roma nel rione Prati,  un elegante quartiere di Roma, con i suoi negozi, i ristoranti ricercati, le osterie che propongono la cucina tradizionale o dove fare acquisti, ad esempio in via Cola di Rienzo, una delle principali vie dello shopping della città, ex sede di uno storico punto vendita di  Standa oggi di Coin con al suo interno   laEsse di Esselunga.

Il nuovo punto vendita aperto ha una configurazione particolare. Per farla semplice  è, a mio parere,  a metà strada tra il flagship store “Terre d’Italia che Carrefour sta sperimentando a Milano, in piazza De Angelis e laEsse di Esselunga con però una vocazione specifica rispetto al quartiere di riferimento. Qui sta la vera differenza. Siccome siamo a Roma direi una sorta di “pizzicarolo” 2.0 parte viva del rione e del contesto. Ricorda un po’ il vecchio negozio di quartiere, ovviamente in chiave moderna, che gestiva, mettendoci la faccia, i suoi affezionati clienti. Era lui che decideva i prodotti da consigliare. Trasmetteva fiducia. Era lui, la marca. La differenza è che Carrefour e Esselunga  traferiscono al contesto locale la forza e la notorietà della loro insegna. Todis sceglie di includere  il  contesto, nella sensibilità del punto vendita. Non è a mio parere una differenza da poco.

Todis Rione Prati “La Via Gustosa” sul Lungotevere Michelangelo, segue Todis Rione Colonna e Todis Rione Trastevere. Il format del nuovo punto vendita, totalmente innovativo dedicato ai 22 Rioni che delineano il cuore della Capitale e che prendono il nome del Rione che lo ospita. Un formato rivolto ai quartieri centrali, ricco di servizi con un assortimento particolarmente incentrato sul segmento Premium e sul Food To Go. Comunicazione bilingue vista la forte presenza di turisti, tecnologia che accompagna e facilita l’acquisto grazie alla presenza di numerosi strumenti per poter visionare, ad esempio, tutte le caratteristiche dell’offerta vinicola. Leggi tutto “E continuano a chiamarli Discount. L’exploit di Todis”