Inflazione. Tutti si smarcano e il cerino resta in mano al consumatore

La situazione sul fronte dei prezzi è surreale. L’inflazione nei prodotti alimentari resta alta. Secondo Nielsen l’indice d’inflazione teorica nel largo consumo risulta pari al 15,4%. Su alcune tipologie di prodotti è ancora più alta. Così come lo è sulle fasce di consumatori con i redditi più bassi. I fatturati delle insegne e dell’industria però schizzano verso l’alto. Ma non è un buon segno. Il Governo sul tema, tace.

Almeno per ora, fortunatamente, non è partita la dinamica già presente in altri Paesi di richieste salariali generalizzate compensative dell’inflazione. Il rischio che il tessuto sociale che fino ad ora ha tenuto, si laceri, è alto. La reazione per ora  resta individuale. Ciascuno taglia i consumi che ritiene meno importanti per sé o per la propria famiglia. In altre parole ci si rassegna. Una situazione che, se prolungata nel tempo, può produrre effetti depressivi sull’andamento dei consumi e sulla crescita dell’economia.

Il Centro studi di Confindustria confida sulla ripartenza dell’economia italiana evidenziando il Pil nel primo trimestre sopra le attese (+0,5%) e con la variazione acquisita per il 2023 a +0,8%. Scommette sulla riduzione dell’inflazione pur ammettendo che sarà lenta e continuerà a frenare i consumi. L’industria di marca punta sul rientro del dato medio in corso d’anno. Quindi mantiene i prezzi alti e mette “fieno in cascina”. La GDO, va detto,  ha intuito il rischio sul lungo periodo e ha  provato a mettere le mani avanti chiedendo un tavolo di confronto. I contratti standard tra industria e GDO tradizionali in tempi di inflazione sono un errore. Lo capiscono tutti ma nessuno fa nulla. Prezzi e rientro da costi seguono dinamiche differenti. Il cosiddetto “tavolo” sarebbe servito a governare il fenomeno almeno per l’anno in corso.

Con i discount che avevano, almeno all’inizio della risalita, le mani libere e l’industria che premeva, la GDO ha eretto la classica linea Maginot che è stata aggirata facilmente. Divisi tra di loro, con alcune insegne certe che sottobanco qualche antico rimedio (vedi sconti e promozioni) avrebbe funzionato come sempre, si sono presentati ai negoziati convinti di poter reggere il confronto. E mentre tutti parlavano del “caro carrello” addossando alla GDO gli aumenti c’è chi ha preferito giocare per sé trasformandosi per qualche settimana in paladino dei consumatori contro il carovita o altri che hanno indossato tute e scudi stellari mentre i prezzi schizzavano verso l’alto e il solito Einstein invitava a farsi furbi e andare nei suoi negozi. Il solito piccolo cabotaggio del marciare divisi per azzoppare il vicino di corsia e provare a vincere la gara. Leggi tutto “Inflazione. Tutti si smarcano e il cerino resta in mano al consumatore”

È arrivato il momento di accendere i riflettori sull’ultimo miglio.

Un recente studio dell’’INAPP (https://bit.ly/3UNLo88) ci permette di circoscrivere le dimensioni del fenomeno dei platform worker in Italia sul versante degli addetti. Nel 2020/21 rientravano in questa categoria 570.000 lavoratori, così suddivisi: 36,2 % consegna pasti a domicilio (i rider), 14% consegna prodotti o pacchi, 4,7% autisti (tipo Uber), 9,2 % lavori domestici, 34,9% attività on line, 1% altre attività). Se restiamo nel cosiddetto ultimo miglio (quell’ultimo tassello della consegna delle merci che le porta da un centro di stoccaggio al cliente finale) stiamo parlando di circa trecentomila persone che a vario titolo si muovono per trasportare cose nel nostro Paese.

Un mercato in espansione, che ha generato in Italia oltre 2 miliardi di euro di business solo per il settore ristorazione nel 2022 destinato a crescere. Secondo McKinsey (https://mck.co/43MasAr) il mercato globale della consegna dell’ultimo miglio nel mondo  dovrebbe raggiungere i 66 miliardi di dollari entro il 2026, dai 39.5 miliardi del 2020. A Milano e provincia la ristorazione è il settore più attivo indicato dal 62%, seguito dal grocery al 36% e dal retail per il 20%. Oltre 6.000 rider che lavorano per l’online food delivery solo in città. (Secondo una recente indagine Confcommercio/Glovo). Consegne ecologiche quindi? Le loro certamente si.

Il discorso si fa più complesso se alziamo lo sguardo all’insieme del comparto.  I veicoli a motore che fanno consegne rappresentano quasi un terzo del traffico totale delle città. Mezzi che viaggiano spesso semivuoti e che in media rientrano al magazzino con parte delle merci non consegnate. Un contributo  tra il 20 e il 30% all’inquinamento dell’aria nelle aree urbane da non sottovalutare. Altri studi che comparano l’inquinamento prodotto dagli acquisti tramite l’e-commerce con i negozi negozi fisici non alimentari riducono fortemente la percentuale (https://owy.mn/41JSLj0) così come il traffico generato. In generale, quindi, l’ultimo miglio, indipendentemente dalla tipologia della modalità di acquisto è il tratto che impatta maggiormente sull’ambiente rispetto all’intero processo logistico. È quindi un problema serio.

La prima soluzione è legata all’avvento delle consegne con veicoli elettrici, per ridurre l’inquinamento e per decongestionare le strade. Ma la vera rivoluzione arriverà più avanti con i veicoli automatizzati. Ma mentre aspettiamo i droni occorre lavorare per  ottimizzare questo processo. L’ultimo miglio è l’elemento meno efficiente della maggior parte delle catene di approvvigionamento, e comporta una spesa, come parte finale del trasporto, che incide pesantemente (https://bit.ly/3Abnr0K) sul costo totale di trasporto del prodotto. Oltre a questo costo di natura economica, il traffico nelle aree urbane, la distanza tra zone lontane, gli indirizzi non validi o errati, le destinazioni difficili da localizzare e la mancanza di persone che firmino le consegne fanno sì che il processo sia tutt’altro che ottimale. Leggi tutto “È arrivato il momento di accendere i riflettori sull’ultimo miglio.”

Il negozio del futuro non è nato solo a Seattle…

Anche a Rimini fu un ingegnere a mettere a terra un suo grande sogno. Al largo delle coste tra Bellaria e Igea Marina nacque l’Isola delle Rose. Una micronazione  ideata da Giorgio Rosa, un uomo visionario intenzionato a creare un’isola felice in mezzo al mare andando contro corrente rispetto all’epoca. Lì dove è nato, il sogno è tramontato, travolto dalla cultura del tempo e dalla burocrazia. A Terni, pur su scala ridotta, è nata un’idea per certi versi anch’essa  rivoluzionaria ideata dall’ingegnere lecchese Davide Milani, che ha voluto dare vita a una formula commerciale che coniugasse innovazione tecnologica, sostenibilità ambientale, valorizzazione della comunità locale.

L’esperimento ha funzionato pur poi terremotato  dalla pandemia e da una ripartenza con costi pesanti per tutti che ha travolto start up tecnologiche importanti e azzerato decine di iniziative per mancanza di risorse economiche. Il caro bollette poi ha messo in ginocchio molte piccole imprese compreso  il percorso che ha generato Vivogreen ma non certo l’idea e la sua possibile prospettiva futura. Il supermercato, primo store a Terni e in Italia privo di casse e imballaggi, si caratterizzava  per tecnologia, sostenibilità ambientale e collaborazione con le scuole, nell’arco di pochissimi mesi ha visto aumentare del 300% le bollette elettriche. Difficile per chiunque risalire la china.

Leggi tutto “Il negozio del futuro non è nato solo a Seattle…”

Grande distribuzione. La ripartenza viene dal fresco…

Se dico che la GDO si è un po’ avvitata su sé stessa scopro l’acqua calda. L’innovazione, quella vera,  langue, i discount fanno da metronomi all’intero comparto e le grandi superfici sono alla ricerca di nuove identità nella speranza di ridimensionarne la crisi. Passa di mano qualche punto vendita tra insegne, soprattutto al nord e tra l’insegna e  franchisee che, attraverso una gestione più “rude” e modellata sul territorio e le sue specificità a volte funziona e a volte sposta solo  il problema più in là.

Non essendo riuscite a governare l’inflazione a monte le insegne e i fornitori stanno concordando promozioni a getto continuo che confondono i clienti ma che non rimuovono l’idea che i prezzi sono schizzati alle stelle e gli “scudi” televisivi e gli uomini mascherati che difendono i consumatori rischiano di essere un pannicello caldo inventato markettari che non vanno a fare la spesa. La GDO sta quindi adottando la tecnica del “fingersi morta” sperando che la nottata passi presto. D’altra parte i fatturati seguono l’onda e illudono che domani è un altro giorno. Nessuna nuova buona nuova, quindi? No. Qualcosa si muove a macchia di leopardo. Presto ritornerò a ragionare sul sud perché è dove la GDO, discount a parte,  sta cercando di dare il meglio di sé. E poi nell’ortofrutta e nel fresco in generale dove la GDO soffre e dove il 2023 ci riserverà qualche sorpresa positiva.

Leggi tutto “Grande distribuzione. La ripartenza viene dal fresco…”

Italian sounding, contraffazione e dupe culture. Quando l’imitazione diventa una moda e la trovi nel supermercato sotto casa

Nel mondo, il valore del falso Made in Italy agroalimentare è salito ad oltre 100 miliardi di euro in costante aumento nell’ultimo decennio. Parole, colori, località, immagini, denominazioni e ricette che richiamano all’Italia vengono associati ad alimenti che evocano il nostro Paese ma non vi hanno nulla a che fare. Aggiungo che nel 2019 le importazioni di merci contraffatte e piratate in Italia erano pari a 8,7 miliardi di Euro. Tra il 2008 e il 2021 sono stati quasi 208 mila i sequestri per contraffazione, con un quantitativo di circa 617 milioni di articoli falsificati sequestrati, per un valore economico stimato della merce sequestrata di oltre 5,9 miliardi di euro.

L’Italia è il quarto Paese più colpito al mondo dalla contraffazione dopo Stati Uniti, Francia e Germania. Tutto ciò ha gravi conseguenze sul lavoro: secondo la Camera di Commercio Internazionale, per l’anno in corso, si prevede che a livello mondiale i posti di lavoro messi a rischio dal mercato grigio ammontino a 5,4 milioni. Nel 2022 Amazon ha rimosso dalla rete di distribuzione globale oltre 6 milioni di prodotti contraffatti e ha bloccato, prima che pubblicassero un’offerta, oltre 800 mila tentativi di creare nuovi account di vendita, un numero in calo rispetto ai 2,5 milioni di tentativi nel 2021 e ai 6 milioni del 2020.

Per quanto riguarda i cloni di fragranze non si può parlare di contraffazione semplicemente perché un odore non può essere brevettato. Solo il nome del marchio, il nome del profumo, la descrizione e l’imballaggio possono essere protetti dalla legge. Le aziende produttrici di profumi potrebbero brevettare i prodotti, ma per farlo dovrebbero divulgare le loro formule. Per questo in rete, nei supermercati o nei discount, cosmetici e profumi che assomigliano ai marchi più celebrati si sono trasformati in una moda che attraversa il mondo intero.

La Dupe Culture è un fenomeno culturale nato negli Stati Uniti che poi si è diffuso in ogni parte del mondo, grazie anche alle piattaforme social. Le generazioni più coinvolte sono la Z (nati dal 1995 al 2012) è i millenial (dal 1981 al 1994).  Generazioni che amano ostentare oggetti di lusso pur non potendoseli permettere. Lo scopo è quindi comprare abiti, accessori e cosmetici che sono simili a quelli firmati, ma a un prezzo accessibile. I dupes sono in pratica delle riproduzioni abbastanza fedeli di un prodotto di un brand di abbigliamento o di cosmetica. Leggi tutto “Italian sounding, contraffazione e dupe culture. Quando l’imitazione diventa una moda e la trovi nel supermercato sotto casa”

Esselunga non allunga e gli inseguitori si avvicinano…

Una degli accadimenti   che mi avevano lasciato abbastanza perplesso ai tempi dell’operazione Auchan da parte di Conad è stata la scarsa determinazione messa in campo sulla possibile espansione del Consorzio nella  città di Milano. Pensavo fosse uno delle premesse della strategia alla base dell’acquisizione: entrare finalmente nella città dove la lotta per la leadership avrebbe avuto ben altri connotati. Conad ha però preferito girare al largo.

Ha ceduto  ad altri l’onere di fronteggiare in casa Esselunga. Una ritirata, come si è scritto,  imposta dagli equilibri interni o conseguente alle determinazioni dell’ antitrust  oppure una difficoltà intrinseca del Consorzio in una città così diversa dalle altre. Certo, Auchan era ormai in caduta e pretendeva ben altre priorità, ma tant’è. L’impressione esterna è stata questa.

Come ho già scritto il solco che separa la prima della classe a Milano e non solo dal resto delle insegne è ancora evidente. Ovviamente Esselunga non è solo Milano. I risultati 2022 lo confermano. L’azienda ha chiuso il 2022 con ricavi in aumento del 3,2% a 8,83 miliardi, con una accelerazione nel secondo semestre che indica un +6,7%. Completato il riassetto societario tutte le società del gruppo Esselunga sono interamente di proprietà di Marina Caprotti e della madre Giuliana Albera. In tempi di inflazione è fuorviante osservare fatturati e l’anno ormai alle spalle. I volumi di vendita hanno comunque sofferto. Esselunga dichiara un calo dell’1% contro una media del 3,4% della GDO. È però la media del pollo di Trilussa. Non tutti lamentano questo calo. L’ebitda è sceso a 501,4 milioni dai 689,7 del 2021. Ha pesato anche il costo dell’energia, quasi raddoppiato rispetto all’anno prima.

Per un milanese andare a Esselunga è comunque altra cosa che andare al supermercato. E il “supermercato” sono le altre insegne accumunate dal destino di assomigliarsi un po’ tutte. Credo come per altri nei rispettivi territori di insediamento. Qualcuno ha provato nel tempo ad insidiare Esselunga  con proposte commerciali tarate su fasce particolari di consumatori  ma la distanza da colmare è sempre stata troppo ampia e le risorse messe in campo dalla concorrenza tutto sommato abbastanza  modeste.
Leggi tutto “Esselunga non allunga e gli inseguitori si avvicinano…”

Grande Distribuzione e sponsorizzazioni.

Le sponsorizzazioni sono una cosa seria. Se usciamo dalla logica dei comunicati ufficiali e dalle tifoserie pro o contro l’assegnazione ad un’azienda tedesca sia della qualifica di Premium Partner che della fornitura dell’ortofrutta italiana alla nazionale di calcio che hanno accompagnato l’assegnazione del 2019, dobbiamo prendere atto che queste sono  scelte sempre molto ponderate. Tra tutti coloro che si sono lamentati e che avrebbero potuto “scendere in campo” al posto di LIDL nessuno  si è mai fatto avanti a quelle cifre.

E credo che anche nel recente passaggio di consegne tra LIDL e Esselunga abbia pesato la volontà dell’azienda tedesca di spostare il suo investimento  ad un livello più alto e diventare sponsor UEFA. Dal 14 giugno al 14 luglio 2024 le nazionali di calcio europee si sfideranno in Germania, in dieci differenti città. In palio il titolo di Campione d’Europa. Dal marzo 2023 al marzo 2024 si svolgerà la fase di qualificazione che designerà le finaliste che, a loro volta, scenderanno in campo per disputare le 51 partite del torneo finale. In qualità di Partner Ufficiale, LIDL, sarà sponsor sia delle Qualificazioni Europee sia del torneo finale UEFA EURO 2024. Una collaborazione di altissimo livello: Lidl, infatti, conta oggi più di 12.000 punti vendita in 31 paesi, 30 dei quali proprio in Europa.

Il direttore marketing UEFA, Guy-Laurent Epstein, ha dichiarato: “UEFA è orgogliosa di dare il benvenuto a Lidl come partner ufficiale delle Qualificazioni Europee e di UEFA EURO 2024. La presenza di Lidl in tutto il continente darà un forte contributo alla promozione di quella che sarà un’altra competizione indimenticabile. Siamo lieti di sostenere insieme i valori della salute e del benessere condivisi da Lidl e UEFA”. Eduardo Tursi, amministratore delegato acquisti e marketing di LIDL Italia ha sottolineato: “Siamo entusiasti di essere parte di un evento che appassionerà milioni di persone in tutto il nostro continente e, in primis, i nostri 21 mila collaboratori in Italia e gli oltre 360 mila a livello mondiale. Così come i nostri prodotti sono accessibili a tutti, vogliamo contribuire a rendere UEFA EURO 2024 un’esperienza collettiva unendoci nel tifo calcistico sempre all’insegna della sana alimentazione“.

Nessuno ha scalzato nessuno quindi. Queste cose non accadono all’improvviso. È bastato un giro di telefonate ad alto livello politico con alcuni tra  i principali CEO del comparto per chiudere la partita. In questo momento Esselunga era l’unica realtà in grado di rispondere “Presente!” al desiderio, manifestato dal Governo, che avrebbe voluto contare su una sponsorizzazione “nazionale”. Leggi tutto “Grande Distribuzione e sponsorizzazioni.”

FICO. Con un’idea non si mangia…

“Un’idea un concetto un’idea finché resta un’idea è soltanto un’astrazione” cantava Giorgio Gaber. Eppure FICO sembrava promettere uno sviluppo interessante. Il luogo dove è stato realizzato, è apparso però subito un azzardo. Eppure per Oscar Farinetti si può parafrasare quello che Voltaire aveva coniato per i banchieri svizzeri. “se vi capita di vederlo saltare da una finestra, seguitelo. Di sicuro c’è qualcosa da guadagnare”.

In fondo è sempre stato così. Ed è quello che avranno certamente pensato i vertici di Coop Alleanza quando  hanno scommesso sulla riuscita certa dell’operazione FICO in quel di Bologna. La Disneyland del cibo purtroppo sì è presto dimostrata un flop. Non era però difficile prevederlo. Avevo già scritto qualche mese fa il mio pensiero sull’intera operazione (https://bit.ly/3BH6jQL). Solo la visione e la capacità di tessere alleanze del suo fondatore poteva far nascere  un progetto che personalmente continuo a pensare intelligente per il nostro Paese realizzandolo in un luogo che non  poteva funzionare.

Leggi tutto “FICO. Con un’idea non si mangia…”

La partecipazione del lavoro (e del risparmio) per lo sviluppo dell’impresa, del comparto e del Paese

Non sono molte le aziende che hanno, nel tempo, scelto la strada del coinvolgimento dei dipendenti attraverso proposte di  partecipazione economica o gestionale. Argomento complesso e ostico che compare ciclicamente anche nel dibattito sindacale italiano sopratutto per merito della CISL.

Luigi Sbarra lo ha rilanciato ultimamente annunciando che “nelle prossime settimane inizieremo un’articolata campagna nazionale di raccolte firme per una proposta di legge di iniziativa popolare sulla partecipazione, che deve diventare diritto fondamentale dei lavoratori e dei cittadini; leva centrale di un progresso socialmente sostenibile verso una prospettiva di vera democrazia economica. Abbiamo voluto concretizzare ciò che già è presente nella nostra Costituzione (articoli 41 e 46). Con il nostro disegno di legge intendiamo definire e promuovere iniziative contrattuali nazionali e di secondo livello per la partecipazione gestionale, economica, organizzativa e consultiva dei lavoratori”.

Intanto le imprese più sensibili si muovono. Le ultime in ordine di tempo sono Campari e Carrefour. Campari fondata in Italia nel 1760 è oggi il sesto player mondiale per importanza nell’industria degli Spirit di marca.  22 impianti produttivi, 4.000 persone, in  Italia è presente con la sede centrale di Sesto San Giovanni e i 4 stabilimenti di Canale, Novi Ligure, Alghero e Caltanissetta. Per il segretario generale della Fai Cisl nazionale, Onofrio Rota: “Il piano rappresenta un salto di qualità per le relazioni industriali in chiave innovativa e partecipativa, come da sempre promosso dalla Fai e dalla Cisl, e si affianca al già rodato integrativo di Gruppo con il premio di risultato e i piani di welfare aziendale, ampliando i principi fondamentali di partecipazione e democrazia economica. E’ una strada che ci auguriamo venga intrapresa presto anche da altre realtà produttive”.

Carrefour attraverso Carrefour Invest propone  a suoi quasi 335.000 dipendenti in Francia e altri paesi, di associarli a condizioni privilegiate alla performance dell’azienda coinvolgendoli nel suo successo economico e finanziario attraverso piani di compensazione collettiva e di risparmio dei dipendenti. Alexandre Bompard, CEO del Gruppo ha dichiarato che: “Questo programma di azionariato dei dipendenti arricchisce il modello sociale di Carrefour, che è già molto interessante e consente ai nostri dipendenti di essere coinvolti ancora più direttamente alla performance del gruppo. Proponendo condizioni di investimento privilegiate e sicure per diventare azionista di Carrefour, questo piano si rivolge a tutti i nostri collaboratori, e costituirà un fattore di successo del nostro piano Carrefour 2026”. Leggi tutto “La partecipazione del lavoro (e del risparmio) per lo sviluppo dell’impresa, del comparto e del Paese”

Amazon. Innovazione tecnologica e crescita continua, prima o poi, devono misurarsi con i margini.

La riduzione dei costi e il conseguente taglio del personale da parte di Amazon ha coinvolto tutte  le strutture e le società che fanno capo all’azienda di Seattle. Da  Zappos entrato in Amazon  nel 2009 ad Amazon Robotics, l’unità dell’azienda focalizzata sull’automazione che aveva acquisito nel 2012  Kiva Systems, un produttore di robot di magazzino, per 775 milioni di dollari; da AWS che ha aperto la strada al mercato dell’infrastruttura cloud, consentendo alle aziende di scaricare i loro server e le loro esigenze di storage e pagare in base all’abbonamento e all’utilizzo fino ad Amazon Logistics.

Da  Amazon Pay ai dipendenti che lavoravano sulle varie offerte di assistenza sanitaria di Amazon. Amazon Pharmacy, la farmacia online che ha lanciato nel 2020 fino a coloro che lavoravano sugli strumenti di salute digitale e sul tracker di salute e fitness Halo. Anche Amazon Launchpad, un’unità che assiste i nuovi venditori, ha subito pesanti tagli. L’unità di consegna dei droni di Amazon ha visto anch’essa licenziamenti diffusi, con i dipendenti dei siti di Washington, Oregon, Texas e California tagliati, secondo quanto riportato  dalla CNBC.

Gli stessi dipendenti coinvolti nella costruzione e nella pianificazione delle strutture, nelle transazioni immobiliari, nel ripristino di emergenza e nello sviluppo di negozi fisici hanno, in buona parte, perso il lavoro. Nessun comparto è stato risparmiato. Infine Amazon ha annunciato che nei primi giorni di aprile chiuderà definitivamente otto dei suoi Amazon Go, di cui due a Seattle. Ne resteranno altri 21. Un portavoce ha dichiarato “Valutiamo periodicamente il nostro portafoglio di negozi e prendiamo decisioni di ottimizzazione lungo la strada”.

Amazon vive la stessa incertezza economica del post pandemia di molte realtà  e che, tra le altre,  ha colpito le grandi imprese tecnologiche. Dopo 28 anni di crescita continua è arrivato il  piano di riorganizzazione che prevede 18.000 esuberi e che attraversa tutte le aree aziendali e gli stessi nuovi progetti sono attentamente monitorati o posticipati a tempi migliori. Dopo i tagli di Twitter, Meta e NETFLIX alla fine del 2022,  il 2023 è iniziato con l’annuncio dei tagli da parte di Amazon nelle divisioni Amazon stores, People experience e Technology solutions. Amazon oggi cuba 1.5 milioni di dipendenti, che, tra gli altri primati,  rendono l’azienda il secondo più grande datore di lavoro privato negli Stati Uniti, dopo Walmart. Leggi tutto “Amazon. Innovazione tecnologica e crescita continua, prima o poi, devono misurarsi con i margini.”