MD apre un temporary shop nel cuore di Milano.

Per poche decine di metri il temporary shop di MD non è nel salotto di Milano. È comunque all’interno di un perimetro esclusivo. Neanche Esselunga è mai riuscita ad entrarci. È una presenza paradigmatica di ciò che oggi è il rapporto tra i cosiddetti discount e la grande distribuzione tradizionale. Non li hanno vista arrivare, si potrebbe dire. MD si è fisicamente incuneato tra la libreria Hoepli e il bar Ravizza. Anzi occupa una parte dello stesso bar. È un segnale, l’ultimo in ordine di tempo,  che non c’è più alcuna sudditanza psicologica.

Altri segnali l’hanno preceduto. Lidl che rompe sul CCNL stanca dei tira e molla di Federdistribuzione mentre afferma  la sua leadership smentendo la retorica della multinazionale che non capisce il nostro Paese e, infine  Eurospin che, secondo Mario Gasbarrino è “il supermercato della nuova classe media italiana”. Segnali evidenti che è un errore da matita blu considerare quel mondo figlio di un dio minore. Tra l’altro anche l’apertura del temporary è stata caratterizzata dalla solita confusione dell’ultimo minuto che precede le classiche aperture delle superfici più grandi. Non si sono fatti mancare nulla. Nemmeno la confusione.   Altro segnale di un’evoluzione del modello.

MD, da parte sua, aveva già stabilito un record già al suo apparire nel 1994. Il suo dominus Patrizio Podini è stato il primo imprenditore del nord che è riuscito a costruire una bella impresa partendo dal sud. Nessun altro prima e dopo di lui. Oggi quella terra è nota per un altro fuoriclasse: Jannik Sinner nato anche lui da quelle parti, sessantadue anni dopo. Ma tant’è.

MD, pur avendo qualche punto vendita in città, (ri)entra a Milano dalla porta principale seppure con un temporary shop. La stessa Conad ha preferito non ingaggiare un braccio di ferro con Esselunga quando ne avrebbe avuto l’opportunità. I Podini lo fanno con una insegna,  che  i milanesi non conoscono. Per questo non è solo un negozio, è una sfida. MD, in città, se non fosse per la pubblicità televisiva, sarebbe sconosciuta ai più, con questa mossa, però provoca, si distingue  e  alza il tiro. Lo aveva già fatto con la pubblicità interpretata da Herbert Ballerina (“Ma è tale e quale!”) fatta ritirare dalla diffida di  Centromarca ma anche con “Almeno provalo!” che l’ha seguita. 

Leggi tutto “MD apre un temporary shop nel cuore di Milano.”

Il panettone? Buono buono ma… caro caro

Il panettone, tipico dolce natalizio di Milano, ogni anni finisce sotto i riflettori per qualche motivo. C’è chi, ogni anno, si inventa, in estate,  l’idea di destagionalizzarlo.  Poi gli passa. Sulla riviera emiliana qualche tedesco lo mangia con il gelato in agosto e subito dopo vengono spesi fiumi di inchiostro sul business potenziale. A settembre l’idea rientra pronta a essersi rimessa in circolo l’anno successivo. Altrove non è così. In Perù il panettone si mangia durante le Fiestas Patrias peruanas, le festività dell’Indipendenza nazionale che ricorrono il 28 e il 29 luglio. E lì,  il 6% della popolazione, consuma il panettone in ogni periodo dell’anno per festeggiare diverse ricorrenze come i compleanni e altre occasioni.

Per i milanesi il panettone è una cosa seria. Vedere tutto questo chiasso inutile intorno ad un’abitudine che dura per noi un mese e mezzo circa  da un po’ fastidio. Il panettone  si compra a Natale e i resti si trascinano in un sacchetto nella dispensa fino a San Biagio,  il 3 febbraio, quando è tradizione mangiare un pezzetto di panettone benedetto avanzato da Natale, per tenere lontano i malanni e proteggersi dal mal di gola. Ovviamente ci rendiamo conto che il panettone ormai non riguarda solo noi milanesi.

Secondo l’Unione italiana Food, la produzione  è calata  da 33.628 tonnellate a 31.947 nell’arco di un anno mentre in termini di valore ha registrato una lieve crescita da 216,9 a 223,4 milioni di euro. L’export poi dei prodotti da ricorrenza rappresenta il 19% del totale. Ben  oltre il 90% degli acquisti passa attraverso la grande distribuzione. Il resto è coperto  dal comparto artigianale (pasticcerie e acquisti offline o online). Pur essendo un prodotto tipicamente milanese (o comunque espressione del Made in Italy) non siamo noi i maggiori produttori al mondo. A detenere il primato è il Brasile, con una produzione media annua di 200 milioni di pezzi. Il secondo posto nella classifica mondiale spetta al Perù, mentre all’Italia tocca la medaglia di bronzo, guadagnata con 50 milioni di pezzi l’anno.

Tra l’altro non è milanese e neppure italiano il pasticcere che ha vinto la “Coppa del mondo del panettone” 2024. È la  pasticceria Sucal di Barcellona che ha vinto il concorso per il miglior panettone del mondo, in una rassegna tenutasi a Milano, a Palazzo Castiglioni, dall’8 al 10 novembre. Cloudstreet Bakery, di Tonatiuh Cortés ha conquistato il primo posto davanti agli italiani Pasquale Pesce e Maurizio Sarioli. È la prima pasticceria straniera a vincere il riconoscimento. Questa edizione della Coppa del Mondo del Panettone 2024 è la quarta dall’istituzione del concorso. Un solo lombardo finalista.  Maurizio Sarioli della Forneria Il Pane di Brescia. Leggi tutto “Il panettone? Buono buono ma… caro caro”

Ma nella GDO, servono ancora i Direttori Risorse Umane?

È di qualche giorno fa il comunicato interno di Esselunga che chiude il rapporto con la  Direttrice Risorse Umane, in azienda da circa sei mesi. È la  seconda in poco tempo. Quello precedente era durato poco di più. La posizione è, di fatto, coperta ad interim dall’AD. La domanda (retorica) quindi nasce spontanea. È una figura inutile quella del DHR nella GDO, lì come altrove, o come si dice in questi casi, a Huston (Pioltello) continua ad esserci un problema? Esselunga è una delle più performanti realtà della GDO nazionale. E lo è, visti i premi e i riconoscimenti che continua a raccogliere praticamente ovunque e nonostante  il turn over di sede, gli avvicendamenti nell’organigramma, le difficoltà logistiche con i conseguenti problemi esplosi nel 2024 con i sindacati di base in Toscana, a Biandrate e a Pioltello. È un caso a sé?  È l’eccezione che conferma la regola  o segnala un problema più generale destinato ad emergere sempre più nella Grande Distribuzione?

Esselunga nel mio “Top Five Billion Club” (le cinque realtà più importanti della GDO) insieme a LIDL è quella con il perimetro aziendale  più definito. Pur disturbata da qualche concorrente locale e da quelli che qualcuno si  ostina a chiamare discount resta la lepre da inseguire. Inutile girarci intorno è ancora la prima della classe. Non è così nelle Risorse umane. Perso Luca Lattuada, ottimo professionista, memoria storica e punto di riferimento per l’intera categoria,   a quel livello nella GDO ne restano quattro: Paola Accornero in Carrefour, Sebastiano Sacillotto in Lidl, Angelo Pigatto in Despar e Piero Pisoni in Penny. Nessuno, credo, disponibile a muoversi. Ovviamente ce ne sono anche altri in crescita di ruolo ma preferisco sottolineare quelli che rappresentano la solidità di un DHR che ha voce in capitolo nei rispettivi  comitati di direzione. O comunque molto ascoltati dai CEO. Non solo bravi professionisti. Stiamo parlando di Esselunga. L’autorevolezza è il primo problema.

C’è un vecchio libro francese per chi vuole andare controcorrente con un titolo che non lascia dubbi: “Tous DRH”. La prima edizione è del 2001. Scritto  da Jean-Marie Peretti, professore di Gestione delle Risorse Umane all’ESSEC e all’Università della Corsica. È una sorta di manuale rivolto a manager e dirigenti di linea. Lo scopo è fornire conoscenze teoriche e pratiche e competenze che consentano, a chi gestisce persone nelle organizzazioni e indipendentemente dal loro ruolo aziendale di assumere le sembianze di un provetto “direttore delle risorse umane” dei propri dipendenti (senza esserlo). In fondo cosa ci vuole? (devono averlo pensato anche in Esselunga …).

Leggi tutto “Ma nella GDO, servono ancora i Direttori Risorse Umane?”

Grande Distribuzione e futuro del lavoro. Il progetto FINIPER

Finalmente un’altra ottima iniziativa del Gruppo Finiper che affronta il tema del rapporto tra scuola e lavoro, tra giovani e mestieri della tradizione in un settore che rischia di trovarsi molto preso in affanno nella ricerca di personale sia direttivo che nelle sue professionalità fondamentali. In altri settori del commercio tradizionale, la formazione di base ai mestieri, è coperto dalle associazioni di categoria (Confcommercio e Confesercenti) o da enti regionali. Alcuni molto qualificati. Soprattutto dopo il tramonto delle scuole civiche di macelleria e altro, o legate ad un ruolo locale degli istituti tecnici legati  all’industria alimentare. Restano gli istituti alberghieri E poco più.

Le scuole di Confcommercio che conosco molto bene svolgono un ruolo fondamentale per le attività del commercio tradizionale e non solo. Mi meraviglio che Federdistribuzione, Conad e Coop (con Confcommercio) non abbiano mai pensato di mettersi insieme almeno sulle attività formative limitandosi a giocare ciascuno nel proprio campo da gioco anche laddove soffrono di problemi comuni difficilmente risolvibili ciascuno a casa propria. Eppure laddove serve fare massa critica (welfare sanitario e previdenziale) qualche sforzo comune è stato fatto. Confimprese stessa che sta provando un progetto simile a quello di LIDL ma fatica (credo) per la difficoltà a far condividere progetti che prevedono impegni economici condivisi alle imprese associate.

Bene ha fatto quindi LIDL, benissimo Finiper. Sarà un caso ma sono entrambe fuori dalle associazioni di categoria. E questo dovrebbe far riflettere chi lavora per ricomporre le fratture presenti. Il Gruppo Finiper è, tra  l’altro, in movimento su diversi versanti (innovazione grande superfici, rilancio Viaggiator Goloso e UNES, accordo con Cortilia, acquisizione Giannasi, ecc.). “Iper La grande i” (22 punti vendita in 4 regioni, nato nel 1974 ad opera dell’imprenditore Marco Brunelli) una delle più importanti realtà nel panorama nazionale della Grande Distribuzione Organizzata e parte del Gruppo Finiper Canova, presenta Mestieri in Crescita. Il progetto ha già visto l’avvio dei corsi di macelleria e pasticceria, partiti rispettivamente a giugno e ottobre 2024. A novembre, prenderà il via la 2° edizione del corso di macelleria e nei prossimi mesi l’offerta formativa si amplierà ulteriormente con l’apertura di nuovi percorsi dedicati ad altri reparti dei freschi tradizionali.

Parto dal cuore dello  scambio, molto importante, tra azienda e partecipante al corso: l’assunzione diretta con l’azienda sin dal primo giorno di formazione per offrire l’opportunità concreta di entrare nel mondo del lavoro e ricevere da subito una retribuzione (il programma garantisce un percorso concreto e retribuito a tutti i partecipanti, con l’assunzione diretta in azienda (Tempo Determinato) sin dal primo giorno e la possibilità di un consolidamento della posizione lavorativa al termine del progetto formativo (Tempo Indeterminato). In tempi di superficialità dei contratti nazionali applicati, di part time obbligatorio e di lavoro povero, è un’iniziativa da sottolineare a prescindere. Il mondo del lavoro (anche povero) nell’era della crisi demografica dovrà gestire flussi migratori lavorando anche con i Paesi di provenienza,  gestire il rapporto tra scuola e lavoro, imparare a fare i conti con una forte mobilità del lavoro e gestire una maggiore anzianità lavorativa, fornire risposte economiche innovative ed adeguate e trovare anche soluzioni abitative soprattutto in luoghi dove il costo degli affitti e della vita rischia di essere fuori portata per molti. Spero la GDO lo capisca per tempo e si muova sollecitando riflessioni collettive più che risposte tattiche nelle singole aziende. Leggi tutto “Grande Distribuzione e futuro del lavoro. Il progetto FINIPER”

Alla fine dei giochi, vincerà il low cost?

Mentre da noi la discussione prevalente ruota intorno alla futura quota destinata ad essere occupata dai discount, della lenta avanza dell’online, dalla crescita degli specializzati  e dalla capacità di risposta della grande distribuzione tradizionale, altrove si stanno ponendo problemi più sistemici. Il punto è capire dove stiamo andando. Certo l’Italia ha le sue specificità soprattutto se parliamo di consumi alimentari però ci sono segnali inequivocabili che il futuro del commercio in generale e della grande distribuzione in particolare saranno caratterizzati in buona parte dal low cost inteso a 360° (lavoro, gestione punto vendita, back office, prezzi, ecc.).

Invecchiamento e difficoltà  della popolazione locale, immigrazioni da Paesi poveri, concorrenza delle piattaforme cinesi spingono i grandi player internazionali a serrare le fila e a ripensare al loro futuro. Questo non significa che non esisterà spazio per nicchie di popolazione, più o meno grandi, dove resterà una capacità di spesa importante ma è bastato il campanello dell’inflazione e delle tensioni geopolitiche per far comprendere che la “ricreazione è finita” e che nulla tornerà come prima. Ma è chiaro che, soprattutto il commercio tradizionale generalista, dovrà farci i conti.

Gli USA, sotto questi aspetti,  sono ritornati ad essere una delle grandi aree di sperimentazione.  Vuoi perché lì i modelli di consumismo sono arrivati all’estremo possibile, vuoi perché resta un Paese di grandi differenze territoriali e culturali, quindi di contraddizioni sociali evidenti. Senza sottovalutare che, anche  nell’altro grande contendente, la Cina, destinato sempre più ad essere il principale competitor mondiale, nascono idee, sperimentazioni, innovazioni  tecnologiche applicate al commercio, alle piattaforme (TikTok, Temu, Alibaba per citare le più note) e strategie di esportazione che  contribuiscono a cambiare gli scenari nel lungo periodo.

I 30 maggiori produttori cinesi di videogiochi rappresentano il 18% delle vendite globali del settore al di fuori della Cina. Le app di e-commerce collegate alla Cina hanno avuto un successo simile. Si ritiene che Shein, che vende vestiti economici, principalmente agli americani, abbia venduto capi di abbigliamento per un valore di decine di miliardi di dollari l’anno scorso. Temu, che ha sede a Boston ma è di proprietà del gigante cinese  Pdd Holding (che controlla anche Pinduoduo, piattaforma cinese per la vendita online di prodotti a basso prezzo, che ha raggiunto un utile netto circa 4 miliardi di euro e il fatturato è salito a quasi 12 miliardi di euro).

La risposta di Amazon, non si è fatta attendere.  È così, dopo “Amazon Saver” sui prodotti alimentari essenziali a basso costo, è arrivato “Haul”. Per ora in beta test negli USA. Per i boomer come il sottoscritto, “Haul” nel gergo social significa, più o meno, fare bottino (a prezzi stracciati) di vestiti o altro in rete. Il gigante di Seattle  gli ha dedicato una sezione di shopping della sua app e del suo sito con una selezione di proposte al prezzo inferiore a 20 dollari, “con la maggior parte inferiore a 10 dollari” e alcuni a partire addirittura da 1 dollaro. Gli sconti maturano man mano che gli ordini crescono. Mentre l’assortimento di questi articoli a basso prezzo abbraccia categorie, tra cui moda, casa, stile di vita, elettronica e altro, per questi ordini Amazon si è dovuta allontanare per forza dal suo modello di consegna rapida, indicando, per “prodotti con prezzi ultra bassi” da una a due settimane.

L’esperimento è ovviamente una risposta a Temu e ad altri mercati cinesi in rapida crescita. Amazon più che la concorrenza nei negozi fisici deve stare attenta ai nuovi arrivi in rete e quindi  decide di correre il rischio di vedersi  cannibalizzare le altre sue vendite, ritenendolo comunque preferibile alla perdita di quote per l’incalzare di questi concorrenti. Ricerche recenti mostrano che i consumatori statunitensi confermano  di fidarsi di più di Amazon rispetto a Temu, ma che stanno comunque facendo sempre più acquisti su Temu. Circa il 17,5% degli intervistati globali a un sondaggio della società di software di marketing Omnisend ha dichiarato di pensare che il sito cinese potrebbe addirittura superare Amazon come piattaforma di e-commerce leader. Leggi tutto “Alla fine dei giochi, vincerà il low cost?”

Chiude a Venezia il Fondaco dei Tedeschi

Il giorno dell’inaugurazione del Fondaco dei Tedeschi, nel 2016 a Venezia,  c’ero. Il palazzo il cui nome deriva dal rapporto che  le popolazioni di lingua tedesca avevano con Venezia è affacciato sul Canal Grande vicinissimo al Ponte di Rialto visibile dalla spettacolare terrazza. Mi aveva invitato Roberto Meneghesso un ex collega e amico dei tempi di Rewe Italia AD di DFS Italia che lo aveva costruito pezzo per pezzo, scegliendo persona per persona, partendo da un progetto sulla carta. Ci aveva messo l’anima. Il 29 settembre non stava più nella pelle quando annunciava con le chiavi in mano: “È un privilegio e una grande responsabilità essere qui” con al suo fianco l’architetto Alberto Torsello e l’ingegnere Federico Zaggia. Roberto è sempre stato così. Dove è stato ha sempre trasmesso entusiasmo e determinazione a tutte le squadre che gli sono state affidate. Stanchissimo per le problematiche incontrate nel totale rispetto dei luoghi che hanno preso il sopravvento sulla parte commerciale. Felice per averle superate. Certo di poter rappresentare un volano per l’economia cittadina. Era la persona giusta al posto giusto.

C’ero anche il giorno che ha lasciato. Fosse dipeso da lui non l’avrebbe mai fatto. I progetti del Gruppo prevedevano accelerazioni impossibili in quel contesto. Lì ho capito subito che il management del Gruppo francese Louis Vuitton Moët Hennessy (LVMH) del miliardario Bernard Arnault e di  DFS la loro società di gestione non avevano compreso la complessità della sfida che loro stessi avevano lanciato, i tempi necessari per il successo dell’iniziativa per dove era collocata, gli uomini necessari per realizzarli. E questo al di là delle vicissitudini di contesto che l’hanno accompagnato in tutti questi anni.

Sono passati diversi anni da quel giorno e oggi leggo che il Fondaco dei Tedeschi, in gestione ad un gruppo francese con sede a Hong Kong, chiude. “Dopo un’attenta valutazione, il Gruppo Dfs ha deciso di chiudere le attività commerciali presso il Fondaco dei Tedeschi a Venezia e di non rinnovare il contratto di locazione, che scadrà a settembre 2025”, queste le parole del Gruppo Dfs nella nota emanata alla stampa che giustifica la difficile decisione imputando la colpa “alla situazione e alle prospettive economiche molto critiche che Dfs e il settore del travel retail stanno affrontando a livello globale e, in particolare, dai risultati negativi del negozio di Venezia”.

Il Comune ha comunicato “di non aver ricevuto alcun tipo di preavviso, altrimenti come amministrazione comunale ci saremmo adoperati per individuare, insieme a tutti i soggetti coinvolti, possibili percorsi alternativi e diversi da una così drastica soluzione. Stiamo parlando di lavoratori, di famiglie e non di numeri”. L’assessore regionale al lavoro, Valeria Mantovan, ha confermato: “Abbiamo ricevuto la comunicazione di apertura di una procedura di licenziamento collettivo”. Leggi tutto “Chiude a Venezia il Fondaco dei Tedeschi”

Conad e Selex. Il derby d’Italia

Se togliamo le multinazionali e i discount, che per ora, fanno gara a sé, e ci concentriamo sui  top manager veri protagonisti della competizione, non stiamo solo parlando d un testa a testa tra fatturati, volumi e margini di due realtà pur differenti  che si misurano tra di loro. Stiamo anche parlando di due tra i migliori top  manager, non dipendenti da un singolo imprenditore. D’altra parte i manager non sono tutti uguali. Ognuno può dire la sua nel range dimensionale nel quale è abituato ad operare. Le alte quote sono per pochi. Anche in GDO. Ciascuno dei nostri due protagonisti potrebbe essere tranquillamente seduto al posto dell’altro. E, come sappiamo qualcuno, tempo fa,  ci ha pure pensato.  E questo è un dato che li differenzia da tutti gli altri.

Sarà un caso ma uno è interista e l’altro è juventino. Conoscono a fondo le realtà in cui operano. Entrambi vantano  anche esperienze professionali fuori dal settore. E questo è un bene. Maniele Tasca (Gruppo Bolton, Boston Consulting Group e Bain & Company, Gruppo Alpitour) dal 2009 General Manager SELEX Gruppo Commerciale S.p.A. Francesco Avanzini (Aia, Barilla, Arena, Unichips e Gruppo Fini). Dal 2009 prima Direttore Commerciale in Conad poi Direttore Generale Operativo, e, da poco,  Direttore Generale, guidando tutte le attività di business del Consorzio Nazionale. Sanno che la classifica che li vede protagonisti e che sottolineano o minimizzano, a seconda delle circostanze, è un modo come un altro per dimostrare  innanzitutto il loro lavoro e ciò che hanno saputo costruire o difendere.

Avanzini, classe 1963, è poi un vero interista. Conosce le sue capacità ma sa anche che, deve fare i conti con le bizze della sua squadra (di calcio). Campioni che a volte sottovalutano la forza dell’unità.  Anche Conad rischia di essere un po’  così. Grande capacità di movimento nelle singole cooperative ma difficoltà a concentrarsi e spendersi insieme nel gioco di squadra.  Avanzini è una persona per bene. È come Inzaghi dopo Conte. Per lui non basta garantire  i risultati. Ad ogni passo l’ombra del paragone con il predecessore lo accompagna. E sarà così ancora per lungo tempo. Per Avanzini però parla il CV. Dove è stato ha sempre fatto bene.  Forse sbaglia nei convegni a terrorizzare  i  suoi buyer bolognesi spaventandoli con l’imminente arrivo al loro posto dell’intelligenza artificiale o quando  insiste a presentarsi con  un profilo manageriale prescrittivo.  Ha un compito difficile. Come Inzaghi appunto. Ad Avanzini basterebbe imporre il suo originale stile di leadership per guidare sereno il Consorzio. Ha tutti i fondamentali per riuscirci. È il migliore  della compagnia. Deve solo crederci fino in fondo. Sotto di lui, tra l’altro,  stanno crescendo giovani leoni. Conad può contare a Bologna e nelle cooperative su profili manageriali interessanti per il suo futuro come Massimo  Lucentini, Francesco Cicognola, Alessandra Corsi, Nicola Webber, Matteo Capelli, Valentino Colantuono. Solo per citare quelli  a me più noti. Tutti in grado di garantire al consorzio un futuro di successi. Una grande realtà si misura anche su questo. Sono le performance della squadra che segnalano il vantaggio. Giocano insieme da una vita. Il primo, Avanzini, anche per il livello complessivo della sua squadra,  può dichiarare di competere in  Champion mentre il secondo dovrà, per ora, accontentarsi del campionato.

Sull’altra sponda Maniele Tasca, classe 1968, juventino. Niente di più diverso dal primo. Molto preparato, deciso, lungimirante. Bravo a coinvolgere l’interlocutore e a trascinare  una squadra di imprenditori da cui è stimato.  Ne deve gestire molti più del primo. A giudizio di molti è il migliore top manager del comparto. Anzi alcuni  si interrogano su cosa lo trattenga in Selex. Mi piace immaginare che,  nella sua testa, coltivi un sogno. Trasformare Selex in qualcosa di più di una centrale. Forse un punto di arrivo per l’intera compagine.  Sarebbe una svolta. Un punto di riferimento per l’intero settore. La trasformazione di quello che già oggi è già un “signor” bruco in farfalla. La stessa pubblicità, in fondo,  insiste sul ruolo protagonista dell’insegna  Selex. Tasca, più che Motta,  mi ricorda  l’ex juventino Conte.  Sa però che non può fare la Champion. Tutte le centrali, così come sono oggi, mostrano un limite strutturale. Ma se c’è un top manager che può portare Selex un passo alla volta nel futuro del retail questo è Tasca. È però pronto per nuove sfide. Da DHR lo vedrei bene in Esselunga quando Giuliana Albera e Marina  Caprotti decideranno quale dovrà essere  il futuro della loro azienda.
Leggi tutto “Conad e Selex. Il derby d’Italia”

Despar c’è. Non solo in italia

Despar è la dimostrazione evidente che quando un’azienda globale impara a pensare localmente, vince sempre. E non c’entra nulla se in un singolo Paese viene gestita direttamente, con società consortili, franchising o cooperative. Il punto è che chi presidia il territorio deve conoscere il mestiere, interpretare le esigenze  e stare un passo avanti ai propri clienti anticipandone aspettative e consumi. Il modello imprenditoriale di Despar è una delle traiettorie possibili per il futuro della GDO. Nella mia ipotetica classifica dovrò rivalutarne ruolo e peso perché è vero che è sotto i cinque miliardi di fatturato (4,4 miliardi di euro) che per me è una linea di demarcazione significativa per valutare peso del management e imprese ma occorre considerare che l’insegna non copre tutto il territorio nazionale.

Il prodotto a marchio (MDD) si conferma elemento distintivo dell’offerta Despar e un asset strategico di sviluppo: ad oggi, la MDD Despar è tra le best performer per tasso di crescita nella Gdo (Fonte: Nielsen IQ Discover) con vendite che hanno superato il miliardo di euro. Despar Italia ha raggiunto una quota MDD sul totale vendite grocery pari al 23,9%, superiore a quella del mercato totale MDD in Italia (che si attesta al 22,6%) e in crescita di 1,3 pt rispetto all’anno precedente (Fonte Nielsen, dati I+S Grocery, progressivo settembre 2024) “e ci avvicina progressivamente e con grande slancio all’obiettivo del 25% di quota MDD entro il 2025” ha dichiarato Filippo Fabbri Direttore Generale di Despar Italia. Probabilmente comincia a “vedere” il secondo posto dopo Conad che è già pari al 33,5% delle sue vendite.

Guardando all’Italia, in un contesto di mercato grocery in crescita a valore del 2% rispetto all’anno precedente, Despar Italia sta ottenendo delle performance positive crescendo del +2,7% rispetto al 2023 (fonte dati Nielsen I+S progressivo settembre 2024). Despar in Italia si sta preparando, nel 2025,  a festeggiare i  65 anni. È nata il 9 ottobre del 1960 all’interno della famiglia di SPAR International. Il nome deriva dal motto olandese “Door Eendrachtig Samenwerken Profiteren Allen Regelmatig” (Attraverso la cooperazione armoniosa tutti traggono vantaggio con regolarità), il cui acronimo venne poi modificato in “De Spar” che in olandese significa “l’abete”, da cui il marchio.

Con riferimento al contesto internazionale, il 2023 è stato un anno ricco di risultati positivi in tutto il mondo per Spar International, il maggior gruppo mondiale della distribuzione associata presente in 48 Paesi nel mondo. Spar International ha raggiunto nel 2023 un fatturato complessivo di 47,1 miliardi di euro, registrando un aumento dell’8,3% rispetto al 2022. Una crescita che si accompagna all’espansione in nuove aree geografiche in tutto il mondo: dopo l’ingresso in Kirghizistan, il marchio SPAR nel 2024 è entrato anche in Paesi nuovi come l’Uzbekistan e il Rwanda. Leggi tutto “Despar c’è. Non solo in italia”

Fusione Fnarc Darty e Unieuro. Giusta la strategia ma il diavolo sta nei dettagli del percorso…

L’Opas di Fnac Darty e Ruby Equity Investment su Unieuro com’era prevedibile ha avuto successo. La soglia minima del 66,67% è stata superata e oltre 6,3 milioni di azioni, pari a circa il 30% del capitale, sono state consegnate nella seduta del 25 ottobre. Fnarc Darty oggi controlla il 71,5% del capitale, compreso il  4,4% racimolato sul mercato prima dell’opas. Tutto fatto quindi? Temo proprio di no.

Domenica 17 e lunedì 18 novembre 2024 si terranno le elezioni regionali in Emilia-Romagna. Qualcuno ipotizza l’annuncio di “golden power”.  I partiti politici, impegnati all’ultimo voto in una regione che sta vivendo momenti difficili, guardano, insieme ai sindacati  a Roma e chiedono, all’unisono  “se intende procedere con l’utilizzo del Golden Power sull’offerta del gruppo francese, una procedura che permetta al Governo di bloccare o apporre particolari condizioni a specifiche operazioni finanziarie nell’interesse nazionale, in settori considerati strategici”. È un momento teso nei rapporti con i francesi. Sullo sfondo aleggia Stellantis e le promesse non mantenute di Tavares. Nessuno si fida di nessuno. Tantomeno i forlivesi.

Il Golden Power, di fatto, è un’autorità speciale che consente a un Paese di prendere decisioni chiave o di influenzare l’operatività di un’azienda. Può essere applicato in diversi contesti e situazioni. È in sostanza  “la facoltà di dettare specifiche condizioni all’acquisto di partecipazioni, di porre il veto all’adozione di determinate delibere societarie nei confronti di aziende che ricadono nell’interesse nazionale”. Il commercio, in realtà, non lo è. Ma i dati dei clienti, per qualcuno,  potrebbero esserlo. L’agenzia multimediale economica Bloomberg cita, al riguardo, fonti “informate sulla questione”, secondo cui l’esecutivo potrebbe valutare se imporre limitazioni all’influenza di Fnac Darty su Unieuro. E le limitazioni riguarderebbero l’accesso dei francesi ai dati sensibili di milioni di clienti, con le relative preoccupazioni riguardanti anche i pagamenti digitali degli utenti.

Per ora non ci sono commenti ufficiali. Si sa che il ministro del made in Italy D’Urso non è mai stato convinto di cedere ai francesi Unieuro. E tutti i partiti dell’intero arco costituzionale, con varie motivazioni, sollecitano  il “No Pasaran”.  C’è però un problema difficile da negare: l’azionista principale della Unieuro è già francese: dal 2021 la Iliad di Xavier Niel possiede il 12%, la famiglia del fondatore Silvestrini ha meno del 10%, ma la catena di negozi è stata costruita a sua volta grazie al fondo britannico Rhone Capital. Difficile definirla italiana. 

Leggi tutto “Fusione Fnarc Darty e Unieuro. Giusta la strategia ma il diavolo sta nei dettagli del percorso…”

Gli italiani vogliono salvare il pianeta…. senza rinunciare al buon cibo.

Uno studio del 2023 condotto da Profundo (una piattaforma di ricerca basata sull’IA) per  Madre Brava ha evidenziato  che se in Europa  Ahold Delhaize, Carrefour, Lidl e Tesco sostituissero metà delle loro vendite di carne con proteine vegetali entro il 2030, risparmierebbero  emissioni equivalenti a quelle che si otterrebbero togliendo 22 milioni di auto dalle strade, la metà delle auto circolanti nel nostro Paese. Che si tratti di un’iperbole per impressionare gli interlocutori o segnali  un dato realistico  con cui è necessario confrontarsi stiamo comunque parlando del futuro del pianeta.

Nella Commissione Agricoltura e Sviluppo Rurale del Parlamento europeo,  si è iniziato  lavorare alla Strategia europea sulle proteine già nella legislazione appena conclusa. C’è quindi un ampio consenso in Europa sulla necessità di promuovere le colture proteiche. Nella nuova Politica Agricola Comune, infatti, è previsto l’aumento pari al 25% degli aiuti economici previsti nel 2022 per permettere agli agricoltori e alle aziende di ridurre la dipendenza dalle importazioni e coltivare in autonomia più proteine vegetali e più leguminose. Questa Strategia europea è fondamentale per accelerare la transizione ecologica e lo sviluppo sostenibile ma di tutte le proteine vegetali e animali. Le prime, a mio parere, non dovrebbero escludere totalmente le seconde.

Paesi Bassi e Germania puntano decisamente verso un’offerta di prodotti a base vegetale. “Alcuni retailer europei hanno dalla loro ambizione e dimensioni sul mercato e quindi vogliono posizionarsi come leader, non come follower. Questi due Paesi hanno costantemente mostrato alti livelli di consapevolezza ambientale tra il pubblico, insieme a un solido lavoro da parte della società civile per esporre gli impatti dell’agricoltura animale sull’ambiente, sulla salute e sul benessere degli animali”. Aggiunge Nico Muzi Managing Director a Madre Brava: “Dopo anni di campagne di sensibilizzazione dei consumatori sui benefici per la salute, l’ambiente e il benessere degli animali derivanti dal passaggio a diete ricche di vegetali, i consumatori olandesi e tedeschi, in particolare le generazioni più giovani come la Gen Z, hanno capito che fa bene alla loro salute e a quella del pianeta mangiare più vegetali e meno carne e latticini.

In Italia è diverso. Cultura, tradizioni locali, reddito  e abitudini alimentari plasmano i modelli di consumo. Lo sottolinea la fotografia che emerge da una ricerca realizzata da SWG per Carrefour Italia su un campione rappresentativo di italiani, per comprendere come si orientano i comportamenti di consumo in ambito food rispetto al binomio gusto e sostenibilità. “Gusto ma non a tutti i costi. Gli italiani mettono il buon cibo al centro della loro dieta, e chiedono prodotti attenti all’ambiente, freschi e di provenienza locale ma a un giusto prezzo. La transizione alimentare secondo gli italiani passa più dalla lotta agli sprechi alimentari e da una maggiore consapevolezza nei consumi, che dall’aumento della produzione o da politiche centrate sul prezzo più basso possibile dei prodotti alimentari. A questo riguardo è centrale il ruolo della GDO e la sua capacità di proporre soluzioni per ridurre sprechi e imballaggi, ma anche di valorizzare i prodotti freschi locali e di stagione. Leggi tutto “Gli italiani vogliono salvare il pianeta…. senza rinunciare al buon cibo.”