Conad/Auchan. La Margherita e i petali terminati….

Firmo o non firmo. La vicenda Conad/Auchan sul versante sindacale è arrivata così al suo epilogo naturale. L’accordo in sede ministeriale è stato firmato da tutte e tre le sigle sindacali. In questo modo l’intera operazione di gestione degli esuberi è incardinata in un’intesa complessiva.

Il ministero ha giocato un ruolo importante ammortizzando l’eterna ritrosia al momento della firma che colpisce sempre una delle tre organizzazioni di categoria del sindacato confederale. Era successo, non molto tempo fa, al momento della sigla del primo accordo aziendale alla LIDL. Lì però la Filcams, alla fine,  non firmò.

Resta dunque da chiudere il negoziato in  sede sindacale.

Ha ragione Vincenzo Dell’Orefice segretario della Fisascat cisl a ritenere quella sede molto importante. Lì si decide la qualità della gestione. Se la procedura definisce i numeri complessivi, la sede sindacale definisce le modalità, i controlli, le verifiche. Il ruolo e il peso del sindacato nella gestione. 
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Fondi pensione, parti sociali possono diventare protagonisti al tempo del Coronavirus. di Francesco Rivolta****

Davvero noi rischiamo al termine di questo dramma di trovarci nel mezzo di un deserto, costretti a contare devastanti danni al sistema produttivo, alle reti commerciali, alle categorie professionali.
Si è fermato il motore economico del Paese, rischiano di acuirsi le tensioni sociali, i mali antichi della nostra società pesano ora più che mai come macigni e rischiano di rendere ancora più arduo il cammino verso la difficile ripresa.

Le parti sociali stanno con forza chiedendo al Governo ed al Parlamento provvedimenti eccezionali per mettere al riparo il nostro tessuto economico e produttivo altrimenti destinato a dissolversi.
Da più parti viene indicata l’unica terapia possibile: immettere liquidità nel sistema per consentire di scavallare con meno perdite possibili gli effetti della pandemia.

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Non conosciamo mai la nostra altezza di Emily Dickinson

Non conosciamo mai la nostra altezza

Finché non siamo chiamati ad alzarci. 

E se siamo fedeli al nostro compito

Arriva al cielo la nostra statura. 

L’eroismo che allora recitiamo 

Sarebbe quotidiano, se noi stessi 

Non c’incurvassimo di cubiti 

Per la paura di essere dei re

La grande distribuzione non può reggere da sola il virus del panico sociale

 

Il Coronavirus costringe a scelte drammatiche. Stare chiusi in casa per evitare l’espandersi del contagio è fondamentale. Ma, a mio modesto parere,  sarebbe altrettanto fondamentale tenere accesa la macchina produttiva. Ieri un  sindacalista ha affermato che fatica a pensare che acque minerali o merendine siano così imprescindibili per una dozzina di giorni. Ecco forse qui sta il punto.

Saper distinguere ciò che è tutela della sicurezza dei lavoratori sul luogo di lavoro da ciò che, se non valutato in maniera scevra da pregiudizi, può contribuire a provocare molti più danni di quelli che intende evitare.

Innanzitutto il metodo. Al Governo e ai sindacati è stato affidato il compito di decidere cosa è essenziale e cosa non lo è. Non cosa è essenziale in termini di sicurezza dei lavoratori. E questo è stato un errore. Nessuno credo contesti che la salute e la sicurezza vengano prima del lavoro, dell’impresa  e del reddito ma separare gli aspetti del problema stabilendone una loro incompatibilità a prescindere potrebbe essere una decisione che saremo destinati a pagare molto caro tra non molto.

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L’unica via è più debito. Ma sul come farlo, corre (e correrà) la differenza tra il successo e il baratro di Luigi Marattin

Shock di offerta e/o shock di domanda? Entrambe, ma abbiamo anche capito che questa pandemia è qualcosa di più: il rischio di perdere permanentemente un pezzo della capacità produttiva del paese. Una cosa dalla quale non ti riprendi per decenni. Va evitato a tutti i costi. 

Sul come farlo, lo ha già detto meglio di tutti Draghi: il debito pubblico deve funzionare da gigantesco ammortizzatore sociale, tenendo in vita la capacità delle imprese di produrre e delle famiglie di consumare finché non saranno in grado di riprendere da sole. 

In Europa ci sono due modalità per gestire questa prossima fase di giganteschi aumenti di debito pubblico: 1) ognuno per conto suo 2) insieme. 

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Conad/Auchan. Ogni frutto ha la sua stagione…

E finalmente l’accordo sindacale è praticamente arrivato. A dieci mesi circa dal closing i  “porcospini” presenti in entrambe le parti hanno trovato il modo di gestire i reciproci aculei ed avvicinarsi costruendo le premesse per l’unica intesa possibile in una situazione veramente complessa e certamente non semplificata dal contesto esterno.

Non l’hanno ancora firmato tutti e tre i sindacati confederali ma questo credo fosse inevitabile. È un passaggio importante per il futuro della nuova Conad. In un angolo sono così finalmente finiti quelli che l’accordo non l’hanno mai né voluto né cercato. Chi trattenuto dalla nostalgia di ciò che ha rappresentato sul piano personale e umano la propria storia sindacale in Auchan chi, probabilmente,  alla ricerca di visibilità personale.

Per chi come me ha seguito questa vicenda  con passione professionale e personale questa  conclusione era necessaria da tempo nell’interesse del futuro di questa importante realtà economica ma anche dei lavoratori molti dei quali si sarebbero trovati in una situazione di non ritorno.

L’accordo non è un colpo di mano antiunitario. Forse c’era chi sperava che la responsabilità della mediazione se la prendesse qualcun altro; il MISE o il Ministero del lavoro. Non enfatizzo nemmeno  il contesto esterno con la GDO nel bel mezzo di una situazione che potrebbe riservare amare sorprese se la vicenda del Coronavirus dovesse protrarsi. Leggi tutto “Conad/Auchan. Ogni frutto ha la sua stagione…”

La Grande Distribuzione ai tempi del Coronavirus…

I nodi purtroppo stanno venendo al pettine. La Grande Distribuzione ha retto il primo impatto  del Coronavirus solo grazie alla sua “fanteria”. Logistica e soprattutto il personale di filale hanno  tenuto come e quanto hanno potuto. Organici all’osso, malattie ordinarie e straordinarie del personale, turnazioni saltate, paure per sé e per i propri cari, protezioni da progettare, consumatori disorientati dalla scarsità di certezze stanno creando una situazione di pesantissima difficoltà interna in una situazione straordinaria  di crisi e disorientamento generale che riguarda  più o meno tutte le insegne soprattutto nelle zone più critiche. E non è finita qui.

Il contesto è feroce. Da un lato c’è il dramma delle imprese chiuse. Forse non ce ne rendiamo ancora conto ma, prima o poi, scopriremo che un significativo  numero di quelle imprese rischiano concretamente di fallire durante questo periodo. Non è un problema di incentivi o di sostegno al reddito dei lavoratori. Nessuna azienda può restare per 3/4 mesi in questa situazione.

Dall’altro la virulenza del Coronavirus non lascia alternative. Chiudere tutto è l’unica ricetta possibile. In mezzo c’è la Grande Distribuzione insieme agli ospedali e ai servizi essenziali. Innanzitutto, come ho già scritto, è necessario dare merito alla “fanteria”. Cassiere, banconisti, addetti al caricamento, capi reparto direttori e su spesso fino ai capi area, si sono trovati in trincea a reggere l’urto necessariamente disordinato e imprevedibile dei consumatori.

La GDO, e questo va riconosciuto a tutte le insegne, ha evitato il panico sociale, ha garantito i rifornimenti sui lineari, ha supportato lo sforzo nella fase iniziale impedendo il caos. La maggior parte delle insegne hanno fatto quello che hanno potuto ma adesso il gioco comincia a complicarsi nei tempi e nelle modalità e fa così emergere i limiti di un comparto che fatica nel suo complesso a darsi una visione e un’autorevolezza complessiva con le istituzioni nazionali comprensibilmente impegnate su  problematiche molto complesse. Soprattutto a farlo con la rapidità necessaria.
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Grande distribuzione e responsabilità economica e sociale

L’esperienza imposta dal Covid-19 è una importante prova di maturità per la grande distribuzione. Al centro della scena subito dopo il sistema sanitario del Paese sta reggendo con professionalità e rigore l’urto del caos generalizzato provocato dall’impennata di acquisti compulsivi generati da una situazione a cui non eravamo preparati.

Nessuno ha perso la calma. Dalle cassiere al personale di filiale e su fino ai top manager si sono ritrovati improvvisamente al centro della scena e l’hanno saputa tenere a tutto campo. Alcune insegne lo hanno capito subito, altre si sono adeguate rapidamente.

Passare improvvisamente da presunti  “speculatori” della filiera, affossatori del piccolo commercio, modello di un consumismo esasperato e “sfruttatori” di lavoro povero a strutture indispensabili per governare il panico popolare, in grado di fornire servizi anche gratuiti alle fasce deboli della popolazione e supportare la stessa protezione civile nel tenere ordinate le comunità improvvisamente coinvolte dall’epidemia è stato un passo importante.

È come se ciascuna insegna nel farsi avanti e nel mettersi a disposizione  sia contemporaneamente riuscita a fare un passo indietro lasciando i riflettori sul problema e non esclusivamente sull’insegna. Esselunga ha dato indubbiamente  la linea anche per il suo essere baricentrata nelle zone più a rischio nella fase iniziale ma molte altre insegne non sono state  da meno. Spesso senza farsi notare.
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Non dimentichiamo chi lavora per noi…

Quando il coronavirus sarà argomento di ricordo ormai fortunatamente alle nostre spalle  ci resteranno impresse  innanzitutto l’abnegazione del personale sanitario ma anche  la grande prova di tenuta delle strutture pubbliche. Ci racconteremo che non ce l’avremmo mai fatta senza di loro. E poi passeremo alle inevitabili conseguenze.

Sull’economia, su quanto i nostri comportamenti e come si sono modificati nella vita di tutti i i giorni, nel lavoro e nelle nuove priorità di create da questa prova epocale. Forse non ci ricorderemo dei tanti che, grazie al loro lavoro, ci hanno reso la nostra vita meno pesante nella quotidianità. E sono tanti.

Per loro lo smart working è rimasta una parola priva di significato. E non parlo di coloro i quali hanno subito un contraccolpo economico e personale immediato perché il loro lavoro si è fermato o fortemente rallentato. Insieme al loro reddito. Piccoli imprenditori, lavoratori autonomi, partite IVA. Interi settori precipitati nell’indeterminatezza più assoluta per i quali dovranno essere trovate le risposte adeguate.

C’è un’altra categoria di persone; quelle che “devono” lavorare. Sono quelli che incontriamo tutti i giorni sulle strade per la nostra sicurezza, gli uomini e le donne dei carabinieri, dell’esercito, della polizia anche locale. Sono i trasportatori impegnati a consegnare le merci e tutti coloro che ci consentono di vivere l’emergenza con i minori disagi possibili.

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Conad/Auchan. I quadri e il loro diritto a scegliersi chi li rappresenta alla prova del nove

“Il cavaliere tra due dame fa la figura del salame” dicevano i nostri nonni. Essere tra due fuochi non è mai auspicabile. Purtroppo succede. I quadri aziendali nel settore del commercio a differenza che in altre categorie si trovano spesso in questa situazione. Altrove sono più laici. Rispettano chi ne rappresenta le istanze e non si fanno molti problemi. Nel commercio non è sempre così.

Sopra di loro i dirigenti che godono di tutele individuali,  sanitarie e previdenziali di prim’ordine garantite da un contratto nazionale specifico gestito da Manageritalia, sotto un mondo variegato che comprende tutta quella popolazione compresa e rappresentata nel perimetro contrattuale firmato dai sindacati dei lavoratori del commercio che, osserva spesso con sospetto questa figura “ambigua” che rappresenta l’azienda, ha una sua autonomia professionale peraltro sancita dalla codice civile   ma convive nel medesimo contratto nazionale beneficiandone nei risultati, soprattutto nel passato, dovuti alla mobilitazione altrui.

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