Conad/Auchan. La politica, la realtà e il negoziato

I polveroni quando sono strumentali sono sempre destinati a durare poco. Soprattutto quando sono sollevati per impedire ad una vicenda già di per sé complessa di trovare una corretta dimensione economica e sociale. L’audizione in Commissione Attività Produttive della Camera dei Deputati del Direttore Generale di ANCD-Conad Sergio Imolesi (http://bit.ly/2EcfAmN) era necessaria  per chiarire il perimetro dell’operazione, la complessità della stessa e gli impegni, soprattutto sul versante occupazionale. E mantenere quindi  l’intera vicenda entro binari accettabili.

Sul piano parlamentare era un passaggio fondamentale. Il senso di marcia è stato quindi ben compreso. Inutile attaccarsi a dettagli per esperti della materia o enfatizzare le legittime preoccupazioni dei sindacati sul piano occupazionale poco presenti nel confronto. La politica ha dato il suo “via libera” centrando con inusuale perspicacia quella che dovrebbe essere la mission della GDO italiana. Crescere e concentrarsi, salvaguardare la specificità e i legami con il proprio territorio, puntare, prima o poi, all’internazionalizzazione trasformandosi in un veicolo per l’intera filiera nazionale.

Ovviamente la preoccupazione sulla gestione delle possibili conseguenze sul piano occupazionale resta forte così come la richiesta ai vertici Conad di farsene carico fino in fondo. L’allarme lanciato da Pietro Bussolati della direzione del PD (http://bit.ly/36rYkpB) va in questa direzione. Quello che è emerso anche in quella sede è che Auchan era arrivata comunque al capolinea e che nessuno l’avrebbe potuta rilanciare. Ma anche che nessuno lo ha mai pensato.

I numeri consigliavano i francesi di andarsene il più rapidamente possibile, viste le altre attività che mantenevano e mantengono nel nostro Paese. Era l’unica opzione a disposizione. La stessa scelta di BDC (società creata allo scopo da Conad e Raffaele Mincione) di non puntare né ad un rilancio attraverso l’ingaggio di un nuovo gruppo dirigente esperto del comparto né sul management interno avrebbe dovuto far riflettere almeno  i sindacati. Leggi tutto “Conad/Auchan. La politica, la realtà e il negoziato”

Conad/Auchan. Un dialogo tra sordi?

Da osservatore esterno trovo veramente incomprensibile l’epilogo verso cui sta progressivamente avviandosi la vicenda sindacale collegata alla cessione e al salvataggio di Auchan. Ogni incontro fotografa esclusivamente lo stallo della situazione e l’impermeabilità delle rispettive  posizioni.

Da una parte la strategia seguita da BDC fin dall’acquisizione. Chiara e lineare. Seppure estremamente cruda sul piano sindacale. Accelerare i passaggi dei punti vendita e i cambi di insegna  in modo da garantire una ripartenza immediata, impostare, attraverso il ripensamento del vecchio modello  ipermercati i progetti di rilancio laddove è possibile, attendere la conclusione della pratica antitrust per decidere la collocazione presso altri operatori commerciali della rete in sovrapposizione e, infine, ricollocare gli esuberi dentro o fuori al sistema Conad.

Questa strategia impone una complessa navigazione a vista. Quantità e qualità degli organici, loro collocazione nel tempo e nei modi all’interno del sistema o presso chi subentrerà, laddove l’autorità della concorrenza stabilirà limiti precisi ed esuberi finali non sono predeterminabili se non nei numeri  complessivi. Così come i relativi costi che non sono una variabile indipendente dell’operazione.

Al di là delle evidenti spigolosità dell’approccio dei consulenti in campo non mi sembra difficile capire che questi elementi per quanto complessi non possono essere bypassati facilmente senza compromettere il risultato finale. Quindi l’unico accordo possibile dovrebbe prevedere un’intesa di massima sui numeri da gestire (i famosi 3105) a cui si aggiungerebbero formalmente tutti coloro che, ad oggi, hanno una soluzione teorica ma che dovrà essere riconfermata dalle operazioni in corso e dalla loro conclusione positiva.
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Contratto metalmeccanici. Un passo avanti e due indietro?

Pochi giorni dopo la firma dell’ultimo contratto nazionale dei metalmeccanici il cosiddetto “trio metal” composto dai tre segretari generali della categoria esprimeva un giudizio sostanzialmente positivo della firma unitaria ma con qualche sfumatura differente.

Marco Bentivogli, vero regista dei contenuti dell’intesa insieme a Stefano Franchi, direttore generale di Federmeccanica e al suo Presidente Fabio Storchi, sottolineava la carica innovativa di quanto firmato, Maurizio Landini, sollecitato dall’intervistatore che lo incalzava sui contenuti degli impegni da poco sottoscritti rispondeva sardonico: “alla scadenza vedremo se gli impegni saranno rispettati”.

Il momento della verifica è arrivato e le valutazioni, come spesso succede  in questi casi,  divergono. Per Federmeccanica l’arco temporale di valutazione è insufficiente. Le intuizioni e le innovazioni innescano cambiamenti culturali che necessitano tempi lunghi per le imprese come per i lavoratori. Per i sindacati quel tempo è però abbondantemente scaduto. Le aziende non sono state ai patti.

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Conad/Auchan. Illusioni e realtà…

Sulla proclamazione dello sciopero e della manifestazione in piazza Duomo a Milano  di Filcams Cgil e UILTuCS Uil e della conseguente dissociazione della Fisascat CISL lombarda  ho scritto un pezzo che ha mosso una discussione interessante sulla quale voglio tornare.

Sembra impossibile nel 2019 ma, secondo alcuni commentatori, il dissenso tra sigle sindacali e quindi  le ragioni che lo hanno determinato non dovrebbero essere argomento di discussione pubblica. Esaspererebbe gli animi. Quindi la responsabilità sarebbe di chi ne parla. Non di chi decide di dissociarsi ma forse preferirebbe farlo sotto traccia  sperando che la notizia non diventi di pubblico dominio.

Nel complesso dei riti e delle liturgie del 900 l’idea che “i panni sporchi si  lavano in casa” aveva un posto preminente. Oggi non è più così. Cosa sta succedendo, allora? C’è molto probabilmente chi, nel Sindacato, vorrebbe chiudere questo negoziato prima che la situazione degeneri e chi attende improbabili interventi risolutori esterni.

Adesso c’è chi insegue il feticcio del MISE. L’idea che un organismo evaporato nella sua autorevolezza grazie a precise responsabilità politiche come scrive l’ottimo Dario Di Vico (http://bit.ly/2YkLXck) possa “chiudere in una stanza” le due parti e imporre una soluzione che sgravi i rappresentanti dei lavoratori dalla responsabilità della firma e costringa l’azienda a più miti consigli  è affascinante quanto ingenua.

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Conad/Auchan. Il primo “spezzatino” è del sindacato?….

In Lombardia  la Fisascat CISL non aderisce allo sciopero e alla manifestazione del 5 dicembre in piazza Duomo indetto da Filcams CGIL e UILTuCS UIL e ne prende le distanze.  A Legnano a pochi chilometri dal capoluogo lombardo lo sciopero viene indetto dalla Fisascat CISL di Milano e dalla Filcams CGIL per il 7 dicembre. Difficile comprenderne le motivazioni.

Fino a poco tempo fa ci avevano pensato i consulenti e gli avvocati BDC a tenere unito e compatto il sindacato di categoria nella vicenda Conad/Auchan. La loro rigidità al tavolo negoziale aveva contribuito, per una buona parte, alla costruzione di  un muro di incomunicabilità  che di fatto ha impedito  al negoziato  di fare passi in avanti.  Atteggiamento  ricambiato con analoga rigidità dall’altra parte. Uno stallo garantito. 

Per dirla con uno slogan, tra i sindacalisti  c’è chi era (e forse lo è ancora) convinto che fosse possibile auchanizzare la trattativa e quindi Conad puntando a farle ingoiare un boccone indigesto e chi, molto più prosaicamente cercava (e credo forse continui a cercare) di privilegiare le soluzioni occupazionali possibili con l’obiettivo di ridurre al massimo gli impatti dell’operazione.

Prima o poi l’equivoco sarebbe dovuto comunque emergere. Il modello imprenditoriale di Conad è da sempre inaccettabile per una parte del sindacato. Auchan per certi versi ne rappresentava l’antitesi.
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Rinnovi dei contratti nazionali e ruolo della rappresentanza.

Per il momento sulla certificazione della rappresentanza non c’è nulla in dirittura d’arrivo. I sindacati confederali hanno fatto le loro proposte mentre le associazioni datoriali, chi più, chi meno, non sembrano intenzionate a fare un passo in avanti. I CCNL sono passati in sette mesi da 888 a 909 di cui il 54% scaduti. Secondo il CNEL almeno nove milioni di lavoratori hanno il contratto in scadenza.

Un’ambiguità di fondo caratterizza questa reticenza. Un accordo presupporrebbe una maggiore  trasparenza. Sul reale numero degli associati e su come contarli, sul peso nei diversi sotto settori, sulle entrate e sulla loro finalizzazione. Numeri che non tutti sono disposti a mettere sul tavolo. È quindi molto probabile che, al di là delle parole, anche  la prossima stagione contrattuale si svolga nel solco della tradizione.

Non essendoci coperture nella legge di bilancio non credo ci potranno essere defiscalizzazioni o decontribuzioni collegate ai rinnovi stessi. Quindi il Governo si terrà a debita distanza. Semmai, alla prima occasione,  rilancerà il tema del salario minimo come panacea della palude delle accuse reciproche  in cui rischiano di finire i rinnovi stessi.

Come nelle stagioni migliori è toccato ai metalmeccanici aprire le danze. Una piattaforma certamente meno brillante e innovativa di quella che l’ha preceduta tenta comunque di rompere il freddo intenso  che sta calando sul rapporto tra le parti sociali. Nonostante il fiume di  parole che annuncerebbero il contrario. In questi mesi  sono state molte le occasioni di convergenza e di possibile  intesa. La sostanza però resta un’altra. Leggi tutto “Rinnovi dei contratti nazionali e ruolo della rappresentanza.”

Rinnovi dei contratti nazionali e strategie sull’inquadramento professionale

Trovo interessante che si ritorni a parlare di evoluzione dei sistemi di inquadramento professionale in vista dei rinnovi contrattuali. Maurizio Sacconi riprende alcune idee (http://bit.ly/2D1zeRR) da cui, credo, possa partire una riflessione meno scontata.

Fino ad oggi, nelle imprese,  ha prevalso la preoccupazione di mettere mano a ciò che dagli anni 70 del secolo scorso ha caratterizzato questo tema ad ogni rinnovo del CCNL corrispondente. La paura di riaprire un contenzioso legale infinito ha spinto le differenti parti datoriali a evitare di concretizzare più di tanto quanto andavano via via stabilendo le sempre generiche intese contrattuali nazionali in numerose categorie.

Contemporaneamente nelle singole aziende e quindi in quasi tutti i settori si sono sviluppati sistemi nuovi e coerenti che seppur gestiti unilateralmente dalle direzioni HR rispondevano alle evoluzioni delle esigenze sia organizzative che professionali. Si è realizzato, così negli anni, una decisa ripresa  di autorità delle imprese sul tema che, pur tenendo formalmente a riferimento il CCNL applicato, ha spostato il suo baricentro e le sue dinamiche concrete in azienda con riferimenti retributivi nel comparto di appartenenza dettati più dal mercato e quindi spesso disomogenei.

Se a questo  sommiamo la distanza dei CCNL con le retribuzioni delle categorie più professionalizzate e i profondi cambiamenti organizzativi che hanno attraversato le imprese  ci rendiamo immediatamente conto del declino di ruolo e di peso che il CCNL, ha concretamente subìto. E l’arrivo del salario minimo non lascia presagire alcun rafforzamento del modello che ha avuto il suo massimo splendore nel secolo scorso. Leggi tutto “Rinnovi dei contratti nazionali e strategie sull’inquadramento professionale”

Etica del business, coscienza, professionalità degli HR e responsabilità sociale delle imprese

Che sia per una ristrutturazione, una riorganizzazione, un passaggio di proprietà o un capriccio del capo, il licenziamento è come una sentenza di Cassazione difficile da metabolizzare se non nel tempo. Individuale o collettivo poco importa. Non c’è alcuna ragione logica che lo possa rendere meno drammatico per chi lo subisce. Soprattutto nel momento della comunicazione.

Licenziare è anche un “mestiere” demandato in genere, nelle aziende più strutturate,  ad una figura professionale particolare: l’uomo dell’HR. Nell’interessantissimo libro “il futuro del lavoro spiegato a mia figlia” di Pino Mercuri DHR di Microsoft, l’autore attribuisce a suo padre la definizione più semplice e immediata della sua attività: assumere e licenziare. Non è solo questo il lavoro dell’HR, ovviamente. Ma se dovessimo lanciare una survey nel mondo del lavoro chiedendo a tutti una sintesi della job descriprion HR non avremmo risposte molto diverse. Assumere e licenziare.

Da ormai troppo tempo,  la prima caratteristica è spesso condivisa con altri colleghi o con società specializzate esterne, la seconda lasciata volentieri all’HR di turno. O agli avvocati. A licenziare si impara. Spesso addirittura ci si abitua. Per alcuni è un esercizio di potere personale. Forse l’ultimo rimasto ad una professione spinta forzatamente ad un  declino di ruolo dopo anni di euforia. Per altri un semplice dovere. Per altri ancora una sensazione alla quale non si è mai preparati per quanto sempre simile a sé stessa.

Devi colpire duro, sotto la cintura  mentre hai di fronte la persona nel momento in cui è più fragile. Le parole aiutano chi le pronuncia ma non attutiscono il colpo a chi lo riceve. E non è questione di ruolo. Dal CEO alla commessa fa male allo stesso modo. Sono momenti in cui ti scorrono davanti errori e successi come in un  film. Quello che hai costruito anche sul piano personale lo vedi crollare improvvisamente. Tutto sembra sbriciolarsi. Non capisci cosa ti ha portato lì. E mentre cerchi di uscire dalla morsa, chi ti sta di fronte, pronuncia e pesa parole sempre uguali a sé stesse. Assumere e licenziare. Leggi tutto “Etica del business, coscienza, professionalità degli HR e responsabilità sociale delle imprese”

Grande Distribuzione e media. La ragione della scarsa visibilità

La vicenda Conad/Auchan ha portato in superficie la vexata questio della scarsa visibilità di tutto ciò che riguarda la Grande Distribuzione sui media, soprattutto nazionali.

La sollecitazione di Luigi Rubinelli, un guru della comunicazione di settore che rispetto molto,  mi ha stimolato a riflettere.  È vero la GDO nel suo complesso  è un nano dal punto di vista politico e della comunicazione. È un comparto che non è mai riuscito a trasmettere all’esterno una identità comune.

La stessa Federdistribuzione ci ha provato per anni  ma alla fine ha dovuto ripiegare su un più gestibile “minimo comun denominatore”. Niente di più. Troppi personalismi e troppi interessi in conflitto tra le diverse aziende da gestire. Forse potrà cambiare qualcosa in un futuro prossimo  con tutti i “grandi vecchi”, protagonisti del successo del comparto e a cui comunque si deve l’imponente fase di crescita, ormai praticamente a fine corsa.

Non dimentichiamo che buona parte della crescita del passato si è concretizzata più per capacità di relazione con le istituzioni locali che per creatività o innovazione  commerciale dell’insegna in sé. La stessa vicenda che ha coinvolto recentemente i vertici di un’azienda varesina dimostrano che certe pratiche sono tutt’altro che archiviate. Leggi tutto “Grande Distribuzione e media. La ragione della scarsa visibilità”

Conad/Auchan. Il dito e la luna

Ci sono molti modi per osservare una vicenda complessa come quella che vede coinvolti la multinazionale francese Auchan e Conad. C’è chi spera che se pur costretta sulle montagne russe quest’ultima riesca a portarla a termine e formare così un punto di riferimento importante per la grande distribuzione italiana e chi mira, strumentalmente o meno, a trascinare in una palude tipicamente italiana l’intera vicenda.

Sergio Marchionne dal palco del workshop Ambrosetti di Cernobbio, nel 2014, invitato a parlare del nostro Paese, decise di esordire citando Charles Osgood, un anchorman della CBS:” Questa è la storia di 4 persone, chiamate ognuno, qualcuno, ciascuno e nessuno. C’era un lavoro importante da fare e ognuno era sicuro che qualcuno lo avrebbe fatto. Ciascuno poteva farlo, ma nessuno lo fece, qualcuno si arrabbiò perché era il lavoro di ognuno. Ognuno pensò che ciascuno potesse farlo, ma nessuno capì che ognuno l’avrebbe fatto. Finì che ognuno incolpò qualcuno perché nessuno fece ciò che ciascuno avrebbe potuto fare”.

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