Delocalizzazioni e politiche attive. Una discussione partita con il piede sbagliato…

Le discussioni recenti sui processi di delocalizzazione coinvolgono poche imprese industriali. Situazioni politicamente rilevanti sul piano locale ma assolutamente marginali sul piano generale. Sufficienti però a scatenare polemiche inconcludenti quanto inefficaci tese a contrastare un fenomeno che ha ragioni profonde. O proposte di legge elaborate per  restare in un cassetto perché destinate a produrre più danni di quelli che si vorrebbero evitare. 

A volte si semplifica assegnando al termine “delocalizzazione” un significato semplicemente negativo perché legato a ciò che provoca in termini occupazionali alla  realtà che chiude dimenticando che le imprese, se coinvolte in processi di internazionalizzazione della catena delle forniture restano competitive solo se inserite in catene globali di produzione.

E questo le spinge  non solo ad operare sul piano dei costi e del superamento di burocrazie e vincoli legislativi locali ma a concentrarsi, attingere alle migliori risorse, a sistemi scolastici collegati, ai mercati di sbocco e di approvvigionamento più profittevoli, a nuove tecnologie di prodotto o di processo.

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Grande Distribuzione, politiche attive, ricollocamento degli esuberi. Il caso Conad/Auchan

Le politiche attive funzionano solo se domanda e offerta si incontrano. Bayer e Confindustria di Bergamo hanno collaborato per individuare le soluzioni possibili. Confindustria Brescia è avviata sullo stesso percorso: offrire posti di lavoro per attenuare gli effetti della vicenda  Timken. l’associazionismo imprenditoriale in questi casi può fare molto per creare condizioni favorevoli al reimpiego sul territorio e senza ulteriori interventi legislativi. Non è un caso che nelle due realtà citate il contesto delle relazioni industriali può contare anche su un sindacato confederale che fa del pragmatismo un suo tratto caratteristico.

La vicenda Conad/Auchan quando si diraderanno i fumi delle  polemiche capziose evidenzierà che, anche nella Grande Distribuzione, la prima grande operazione di ricollocamento del personale causata dal disimpegno di Auchan si va chiudendo con un risultato ben oltre le aspettative iniziali. E questo grazie soprattutto alla determinazione di Conad e di quella parte del sindacato che ha tenuto ferma la volontà di tutelare al massimo possibile i lavoratori pur in condizioni difficilissime. Sbandare verso posizioni demagogiche avrebbe messo in pericolo molti più posti di lavoro e, forse, l’intera operazione.

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Garantire a tutti la copertura dei contratti nazionali? Un obiettivo, oggi, di non facile realizzazione

Roberto Benaglia, segretario generale dei metalmeccanici della Fim CISL nell’articolo pubblicato sull’huffpost (https://bit.ly/3jt3NX4) sulla materia salariale non lascia molto  spazio di manovra sul tema: “E’ solo la piena e unica rappresentatività di un CCNL in ogni settore o comparto la soluzione da adottare, se vogliamo fare qualcosa di veramente utile per le persone”.

Il suo punto di osservazione gli consente un approccio così determinato. Il  loro CCNL di categoria appena rinnovato inverte una tendenza sulla contrattazione  salariale, il secondo livello pur interessando una minoranza delle aziende, è relativamente diffuso e consolidato, sindacati e imprese sul lavoro, sul suo riconoscimento e sulla sua valorizzazione sembra vogliano giocare la stessa partita.

Condivido nel suo ragionamento che il CCNL non è solo l’individuazione dei minimi salariali. E questo rende particolarmente complessa l’adozione meccanica di altre opzioni.  Posto in questi termini è evidente che parlare di salario minimo come semplice   alternativa alla contrattazione nazionale rischia solo di provocare una destrutturazione dell’esistente e nessun vantaggio per i lavoratori oggi coperti dalla contrattazione nazionale. Per le imprese soprattutto quelle più piccole, il discorso sarebbe però ben diverso. 

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La guerra tra invisibili nei piazzali della logistica.

Chiunque si interessi, per lavoro,  di magazzini logistici, cooperative serie o spurie e sindacati dei trasporti sa che la notte e l’alba nei piazzali avvengono spesso contrapposizioni  durissime tra autisti, magazzinieri e lavoratori con le varie forme del sindacalismo di base.

A Tavazzano si è replicato il copione di fronte ai magazzini della Zampieri. Non è una novità. Spesso questi fatti restano confinati ai comunicati dei COBAS e si concludono con una scazzottata tra autisti inviperiti, gomme bucate, scontri “spintanei” tra etnie contrapposte. La scelta del blocco dei piazzali è strategica per i COBAS perché a quelle ore, di solito la polizia è lontana o ci mette tempo per arrivare lasciando il tempo ai più esagitati di bloccare i cancelli.

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L’associazionismo datoriale nella GDO alla prova dell’unità.

Quello tra ANCD (La struttura politico-sindacale delle Cooperative aderenti al Consorzio Nazionale Conad) e Confcommercio è un “avvicinamento” che stava nelle cose. L’idea, nel comparto della GDO, di cominciare a semplificare la rappresentanza prospettandone  una maggiore sintonia e collaborazione è certamente interessante. Conad, dopo l’operazione Auchan, è entrata in un’altra fase della propria crescita dove deve necessariamente giocare la sua partita in un campionato di prima divisione. I ruoli evolvono e Conad e le sue cooperative credo ne siano ben  consapevoli.

Anche Confcommercio, la più grande organizzazione datoriale del Paese, è in una fase particolare. Seppure per altri motivi. Il suo Presidente è, nei fatti, a fine  corsa nonostante le resistenze sue e del suo inner circle, è attualmente in grande difficoltà nei territori, ripiegata su sé stessa, a causa della pandemia e in evidente difficoltà a proporsi come unico rappresentante del variegato mondo del terziario italiano.  Quindi costantemente alla ricerca di una identità più in sintonia con i tempi. Avere nel proprio perimetro associativo aziende del livello di Conad, di Amazon, di Autogrill o di altre realtà significative nei loro settori è certamente un fatto positivo in termini di peso della rappresentanza datoriale. Così come provare a ritornare centrale nei settori del turismo,  della ristorazione di qualità, della distribuzione moderna e della logistica.

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Grande Distribuzione e rinnovo del Contratto Nazionale di Lavoro

La scelta di Federmeccanica e del rispettivo sindacato di categoria di scommettere insieme sul futuro di quel comparto industriale ha rappresentato un segnale importante. Non si affronta un cambiamento radicale come quello che attende le aziende senza un quadro di riferimento condiviso. Certo le imprese del settore avrebbero potuto preferire un rinnovo contrattuale di basso livello cercando di mantenere le mani libere ciascuno nella propria realtà.

Hanno fatto un’altra scelta perché la dimensione e la profondità del cambiamento che le sta attraversando  è fuori dalla portata delle singole imprese e dei singoli lavoratori. Certamente dovranno gestire contraddizioni, fughe in avanti o resistenze ma lo scenario nel quale hanno collocato il loro contratto nazionale scommette sulla collaborazione.

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Il futuro della contrattazione aziendale. Alla ricerca dell’accordo perduto…

C’è chi osserva il bicchiere mezzo pieno e ne valuta la qualità e l’innovazione laddove viene praticata. C’è chi osserva l’insieme delle imprese italiane e ne intuisce un evidente declino.  La contrattazione decentrata o aziendale sembra essere  diventata come la Bella di Torriglia che “tutti la vogliono, ma nessuno se la piglia”. Il mainstream imperante la individua come un passaggio decisivo e naturale delle relazioni industriali 4.0.

Ogni giorno si leggono di accordi aziendali in numerose imprese che testimonierebbero una ripresa di interesse sul tema. Gli esperti della materia la indicano come la strada maestra da percorrere. Confindustria e le sue federazioni di categoria la ribadiscono in ogni contratto nazionale. La stessa Commissione europea l’ha individuata come una strada decisiva da percorrere e non a caso aveva salutato positivamente l’accordo del marzo 2018 tra Confindustria e i tre sindacati confederali che tra gli altri obiettivi mirava ad ampliare la contrattazione di secondo livello.

La logica stessa porterebbe ad individuare l’azienda come l’elemento centrale del confronto tra le parti. “Le persone al centro”, la loro importanza nell’evoluzione del’impresa e del lavoro, le sfide che raccontano sostantivi che vanno oltre il taylorismo novecentesco come merito, responsabilità, impegno, condivisione, impongono declinazioni intermediate esclusivamente con l’attuale rappresentanza dei lavoratori o ne richiedono un’evoluzione che non c’è ancora?

E, laddove si raggiungono gli stessi accordi innovativi, qual’è il peso e il ruolo effettivo della rappresentanza sindacale nel porre o modificare le intenzioni già presenti nelle strategie e nelle disponibilità aziendali? In altri termini il cosiddetto “totalismo aziendale” e cioè la volontà dell’azienda di essere autosufficiente anche nelle sue varianti apparentemente disponibili alla negoziazione quanto nasconde la capacità del sindacato di dimostrarsi interprete e interlocutore attendibile del “nuovo che avanza”? Leggi tutto “Il futuro della contrattazione aziendale. Alla ricerca dell’accordo perduto…”

I rider senza soluzioni costretti tra interessi contrapposti…

Da una parte chi ha in testa esclusivamente il proprio business. Dall’altra chi pensa che le tutele degli addetti siano una priorità assoluta. In mezzo ci sono loro: i cosiddetti ciclofattorini o, per rendere meno banale la loro job description, i rider. Quelli che, spesso stranieri, bussano alla nostra porta con nella borsa i nostri ordini al ristorante o alla pizzeria.

Lo scontro tra i due partiti è senza esclusione di colpi. Il primo schieramento pressato dalla necessità di fare qualche passo ha negoziato un contratto nazionale provocatorio pur assolutamente legittimo con l’UGL facendo imbufalire sia il sindacato confederale che tutto quel mondo variopinto e spesso inconcludente che, pur senza alcun titolo, segue la vicenda.

All’opposto chi pretenderebbe la semplice applicazione del CCNL della logistica che vincolerebbe, una volta per tutte, questa figura come lavoratore dipendente. In mezzo vari esperimenti locali e promesse generiche di future applicazioni di contratti probabilmente molto diversi da quello in essere o auspicato.

Per i primi è una semplice questione di costi e di flessibilità. Per i secondi di diritti e di tutele. Un dialogo tra sordi. Il lockdown fortunatamente sta spingendo le parti forse verso soluzioni praticabili. Il contratto firmato dalla sola UGL ha svolto il suo compito di rompighiaccio ma non può essere l’approdo finale. Di questo le aziende se ne devono convincere. Pur legittimo sul piano formale resta divisivo. All’opposto quello della logistica, mai condiviso dalle imprese del settore, resta un obiettivo impraticabile. Leggi tutto “I rider senza soluzioni costretti tra interessi contrapposti…”

Contratto metalmeccanici. Si conferma la volontà di condividere una strategia comune

Doveva finire così. Ed è finita bene.  Lo sciopero di categoria, la ripresa del confronto, la lunga volata finale, le notti insonni. Un rito che nei metalmeccanici mantiene una sua caratura  particolare. Roba per negoziatori veri e fino all’ultimo secondo perché il contratto deve essere conquistato, argomento per argomento, parola per parola.

Un negoziato anomalo,  diverso da tutti gli altri, catapultato in piena pandemia, con alla base una piattaforma sindacale in parte superata dal contesto e condotta attraverso numerose videoconferenze e poche plenarie tradizionali. Una sorta di “remote negotiation” quasi a voler rappresentare plasticamente un aspetto della nuova fase del lavoro. 

Forma e percorso anomalo non hanno però impedito di riaffermare la sostanza innovativa che conferma anche in questo negoziato la centralità e l’importanza del lavoro.  Un buon contratto si distingue sempre dall’elemento che lo caratterizza e che ne determina la sua ragion d’essere, la sua particolarità, la sua necessità. Soprattutto se e quando riafferma una strategia e persegue una convinzione condivisa.

La costruzione della stessa piattaforma di categoria aveva risentito dei ritardi e delle contraddizioni  della fase precedente e per questo avrebbe potuto pesare negativamente sul percorso producendo contrapposizioni strumentali. Così non è stato. Nessuno ha giocato a dividere né nessuno ha mai pensato di rompere pur avendo sul tavolo il tema della contrattazione aziendale che non è decollata a sufficienza, come era negli auspici del sindacati così come lo stesso  diritto soggettivo alla formazione. Federmeccanica è riuscita ad inserire questi elementi in un percorso da realizzare comunque ma che necessitano inevitabilmente di tempi di maturazione più lunghi della durata di un contratto nazionale. 
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Al via il confronto sul rinnovo del CCNL del terziario tra Confcommercio e i sindacati di categoria

La video conferenza che ha segnato l’avvio del rinnovo del CCNL del terziario che vede protagonisti Confcommercio insieme a Fisascat Cisl, Filcams Cgil e Uiltucs Uil è un segnale importante.

Scaduto nel 2019, quindi prima dell’esplosione della pandemia, l’intenzione di affrontarlo ha galleggiato per mesi stretto tra la volontà della responsabile della commissione lavoro della Confederazione,  Donatella Prampolini (titolare di una piccola azienda della GDO e vice presidente confederale) di procedere al confronto e il timore di Lino Stoppani, (vicepresidente vicario di Confcommercio e presidente di FIPE, la Federazione dei Pubblici Esercizi) di innescare una stagione di rinnovi che avrebbero coinvolto anche la sua realtà alle prese con i lockdown successivi e una crisi senza precedenti.

Il cosiddetto terziario di mercato è un perimetro i cui confini contrattuali sono pressoché infiniti grazie all’abilità di Confcommercio e dei suoi interlocutori sindacali di costruire uno strumento flessibile, adatto ad una realtà che nei decenni è cresciuta molto pur in modo disordinato, dai costi contenuti e competitivi rispetto a quelli proposti da altri contratti firmati in altri settori.

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