Amazon USA. Nel food deve uscire dall’angolo…

La maggior parte delle operazioni di M&A si incagliano quasi sempre sulla necessità di allineare le diverse culture presenti in chi acquisisce e in chi è acquisito. Nel caso di Amazon e Whole Foods già nel 2017 era chiaro che le difficoltà sarebbero state molto forti . Entrambe le aziende erano dotate di una forte personalità organizzativa con un punto in comune: l’”ossessione” per il cliente visto però da due prospettive molto diverse tra di loro. La prima punta a raggiungerlo e soddisfarlo attraverso la tecnologia e il servizio. La seconda blandendolo con un’esasperata ricerca della qualità del prodotto offerto nel negozio fisico.  In altre parole l’obiettivo dell’acquisizione era mettere insieme il meglio di entrambi i campi. Facile da teorizzare, difficile da mettere a terra.

Andy Jassy, subentrato da poco a Jeff Besoz e proveniente da AWS, il cuore del sistema Amazon, ci ha messo poco a capire che, le due culture altrettanto forti e vincenti nei loro campi d’azione, non avrebbero legato facilmente. Inoltre Jassy doveva anche venire a capo di Amazon Fresh lanciato nel 2007 a Seattle senza grande successo, rilanciato nel 2019, uscito alla grande  dalla pandemia,  ma ancora alla ricerca di una sua vera identità nell’eco sistema  Amazon. Whole Foods, da parte sua, aveva un imprinting troppo forte. Un portato della cultura e del profilo del suo fondatore Jack Makey un personaggio particolare con un grande fiuto per gli affari che ha compreso tra i primi che il biologico avrebbe potuto  diventare un business importante negli USA. L’azienda è cresciuta  lentamente e con fatica fino ai primi anni 90 quando il biologico è esploso. Whole Food si è allargata  così a ovest, in California, e poi è sbarcata a New York. I negozi Whool Foods sono diventati dei templi del bio, pieni di cibi organic, local, vegani, alimenti ispirati dalle diete ‘paleo’, amatissime dalle celebrità Usa, e basate su prodotti freschi, antiossidanti e antinfiammatori. Ma il rovescio della medaglia è che i prezzi sono sempre stati alti. “La qualità richiede che le cose costino, anche tanto”, ripeteva  spesso lo stesso Mackey.

Acquisita l’azienda, messo alla porta Mackey, per evitare traumi organizzavi viene nominato CEO Jason Buechel che in quella cultura è cresciuto ma che non conosce le dinamiche competitive della  grande distribuzione. Whole Foods non compete con Walmart e compagnia. Anzi, per certi versi ne condivide i i clienti che, dopo gli acquisti bio vanno altrove a cercare coca cola e hamburger per i figli..  Jassy allora tenta la mossa del cavallo. L’obiettivo di Amazon  era ed è quello di costruire un’esperienza di acquisto  best-in-class, diventando la prima scelta per selezione, valore e convenienza. Insieme a Doug Herrington CEO World Wide Amazon Stores decidono di chiamare  Tony Hoggett da Tesco. Uno dei migliori su piazza con un percorso professionale adatto alla sfida. Hoggett arriva portando con sé Claire Peters da Woolworths supermarket (prima in Tesco) e il direttore della vendita al dettaglio di Boots e anch’esso veterano di Tesco, Peter Bowery.

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Conad e Selex. Il derby d’Italia

Se togliamo le multinazionali e i discount, che per ora, fanno gara a sé, e ci concentriamo sui  top manager veri protagonisti della competizione, non stiamo solo parlando d un testa a testa tra fatturati, volumi e margini di due realtà pur differenti  che si misurano tra di loro. Stiamo anche parlando di due tra i migliori top  manager, non dipendenti da un singolo imprenditore. D’altra parte i manager non sono tutti uguali. Ognuno può dire la sua nel range dimensionale nel quale è abituato ad operare. Le alte quote sono per pochi. Anche in GDO. Ciascuno dei nostri due protagonisti potrebbe essere tranquillamente seduto al posto dell’altro. E, come sappiamo qualcuno, tempo fa,  ci ha pure pensato.  E questo è un dato che li differenzia da tutti gli altri.

Sarà un caso ma uno è interista e l’altro è juventino. Conoscono a fondo le realtà in cui operano. Entrambi vantano  anche esperienze professionali fuori dal settore. E questo è un bene. Maniele Tasca (Gruppo Bolton, Boston Consulting Group e Bain & Company, Gruppo Alpitour) dal 2009 General Manager SELEX Gruppo Commerciale S.p.A. Francesco Avanzini (Aia, Barilla, Arena, Unichips e Gruppo Fini). Dal 2009 prima Direttore Commerciale in Conad poi Direttore Generale Operativo, e, da poco,  Direttore Generale, guidando tutte le attività di business del Consorzio Nazionale. Sanno che la classifica che li vede protagonisti e che sottolineano o minimizzano, a seconda delle circostanze, è un modo come un altro per dimostrare  innanzitutto il loro lavoro e ciò che hanno saputo costruire o difendere.

Avanzini, classe 1963, è poi un vero interista. Conosce le sue capacità ma sa anche che, deve fare i conti con le bizze della sua squadra (di calcio). Campioni che a volte sottovalutano la forza dell’unità.  Anche Conad rischia di essere un po’  così. Grande capacità di movimento nelle singole cooperative ma difficoltà a concentrarsi e spendersi insieme nel gioco di squadra.  Avanzini è una persona per bene. È come Inzaghi dopo Conte. Per lui non basta garantire  i risultati. Ad ogni passo l’ombra del paragone con il predecessore lo accompagna. E sarà così ancora per lungo tempo. Per Avanzini però parla il CV. Dove è stato ha sempre fatto bene.  Forse sbaglia nei convegni a terrorizzare  i  suoi buyer bolognesi spaventandoli con l’imminente arrivo al loro posto dell’intelligenza artificiale o quando  insiste a presentarsi con  un profilo manageriale prescrittivo.  Ha un compito difficile. Come Inzaghi appunto. Ad Avanzini basterebbe imporre il suo originale stile di leadership per guidare sereno il Consorzio. Ha tutti i fondamentali per riuscirci. È il migliore  della compagnia. Deve solo crederci fino in fondo. Sotto di lui, tra l’altro,  stanno crescendo giovani leoni. Conad può contare a Bologna e nelle cooperative su profili manageriali interessanti per il suo futuro come Massimo  Lucentini, Francesco Cicognola, Alessandra Corsi, Nicola Webber, Matteo Capelli, Valentino Colantuono. Solo per citare quelli  a me più noti. Tutti in grado di garantire al consorzio un futuro di successi. Una grande realtà si misura anche su questo. Sono le performance della squadra che segnalano il vantaggio. Giocano insieme da una vita. Il primo, Avanzini, anche per il livello complessivo della sua squadra,  può dichiarare di competere in  Champion mentre il secondo dovrà, per ora, accontentarsi del campionato.

Sull’altra sponda Maniele Tasca, classe 1968, juventino. Niente di più diverso dal primo. Molto preparato, deciso, lungimirante. Bravo a coinvolgere l’interlocutore e a trascinare  una squadra di imprenditori da cui è stimato.  Ne deve gestire molti più del primo. A giudizio di molti è il migliore top manager del comparto. Anzi alcuni  si interrogano su cosa lo trattenga in Selex. Mi piace immaginare che,  nella sua testa, coltivi un sogno. Trasformare Selex in qualcosa di più di una centrale. Forse un punto di arrivo per l’intera compagine.  Sarebbe una svolta. Un punto di riferimento per l’intero settore. La trasformazione di quello che già oggi è già un “signor” bruco in farfalla. La stessa pubblicità, in fondo,  insiste sul ruolo protagonista dell’insegna  Selex. Tasca, più che Motta,  mi ricorda  l’ex juventino Conte.  Sa però che non può fare la Champion. Tutte le centrali, così come sono oggi, mostrano un limite strutturale. Ma se c’è un top manager che può portare Selex un passo alla volta nel futuro del retail questo è Tasca. È però pronto per nuove sfide. Da DHR lo vedrei bene in Esselunga quando Giuliana Albera e Marina  Caprotti decideranno quale dovrà essere  il futuro della loro azienda.
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Tempo di primi bilanci al “REWE fully plant-based” di Berlino

Il primo novembre si è festeggiato la Giornata Mondiale del Veganismo e Rewe ha colto l’occasione per tracciare un primo bilancio dell’apertura, a marzo 2024, a Berlino, del suo primo e nuovo supermercato vegano . Sono passati più o meno sei mesi ed è tempo per  una prima verifica. Già prima del passaggio a Rewe era comunque un supermercato vegano gestito da Veganz. “È ancora presto per decidere l’espansione in altre realtà del modello” ha affermato Peter Maly, membro del consiglio di amministrazione del gruppo REWE. Sei mesi dopo l’apertura, però Peter Maly si dimostra soddisfatto per i risultati  del negozio. “Lanciare un negozio puramente vegetale nel mercato di oggi è stata una decisione coraggiosa, ma eravamo fiduciosi nella nostra competenza e nell’esperienza dei prodotti vegani dalla gestione di oltre 3.800 negozi in tutta la Germania”.

I dati  confermano che l’idea di un retailer a base vegetale con una gamma completa può funzionare se collocato nella giusta posizione. “Va inoltre  considerato che  le nostre sedi REWE a livello nazionale beneficiano così di prodotti testati per la prima volta nel “REWE voll pflanzlich” (completamente vegetale) prima di essere aggiunti alla più ampia gamma di prodotti REWE”. I dati sono comunque interessanti Con oltre 2.700 prodotti vegani in uno spazio di 212 metri quadrati, il negozio offre verdure fresche, prodotti da forno, articoli refrigerati, dolci e cura della persona ed è frequentato da 5500 clienti alla settimana che possono contare su orari  prolungati fino alle 23.

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Amazon USA. Un altro top manager lascia Seattle…

Non esistono top manager adatti a tutte le stagioni. Così come non esistono persone indispensabili. Certi “addii” sono più pesanti di altri  ma la vita continua. Non esistono però, CEO fotocopia. Se un top manager lascia o viene sostituito l’azienda deve mettere in conto che ne risentiranno strategie e traiettorie del business.  Amazon è una realtà importante e in grado di reagire con tempestività all’uscita di due top manager di primo livello. Beth Galetti, SVP, People eXperience and Technology di Amazon insieme al CEO Andy Jassy saranno già al lavoro perché non solo Tony Hoggett SVP Worldwide Grocery Stores ha lasciato. Anche Matt Wood, vicepresidente di Amazon Web Services e storico promotore delle iniziative di apprendimento automatico e intelligenza artificiale del gigante del cloud, ha lasciato l’azienda dopo 15 anni. Wood ha annunciato la sua uscita da Amazon in un post su LinkedIn mercoledì mattina. Un portavoce di Amazon ha confermato la sua partenza a GeekWire.

Non si sa ancora nulla sul successore di Wood. Così come non si sa ancora nulla sul successore di Hoggett. Due casi diversi tra di loro e probabilmente nemmeno collegati ma entrambi i top manager alla testa di due settori nevralgici per il gigante di Seattle. Pur sotto lo stesso tetto sono realtà agli  antipodi. AWS è una “macchina” da soldi . Grande punto di forza di Amazon. Il retail fisico, al contrario,  è il suo punto di debolezza; una “macchina” che deve trovare il suo equilibrio. Sia Hoggett che Wood sono già al lavoro altrove. 

Partiamo da Wood che è US & Global Commercial Technology and Innovation Officer at PwC. Wood in Amazon AWS è stato coinvolto nelle iniziative di machine learning e business intelligence di Amazon per molti anni, molto prima dell’ascesa dell’intelligenza artificiale generativa. È diventato VP of AI di AWS a settembre 2022, appena prima che ChatGPT di OpenAI mostrasse il potenziale dell’intelligenza artificiale generativa, spingendo AWS e altri a darsi da fare per recuperare terreno. Più di recente, Wood è stato coinvolto nel lancio di Amazon Q, l’assistente AI generativo dell’azienda per la business intelligence e lo sviluppo di software. “Dopo 15 anni incredibili, è tempo per me di dire addio ad Amazon”, ha detto Wood nel post su LinkedIn mercoledì mattina, che ha generato centinaia di commenti.

Dall’altra  parte se dovessi scrivere un romanzo sulla vita di un top manager della grande distribuzione mondiale sceglierei proprio Tony Hoggett. Da noi forse solo  Maura Latini AD di  Coop Italia può vantare un percorso simile seppure circoscritto al nostro Paese. Tony ha iniziato come “trolley boy” in un parcheggio Tesco a Bridlington, ha fatto  30 anni in Tesco ed era uno dei suoi migliori manager. Quando Hoggett è entrato in Amazon ha detto:  “Amazon mi ha offerto una sfida. Il punto di incontro tra qualcosa che amo e mi piace davvero, qualcosa in cui penso che sarò bravo e qualcosa di cui il mondo del retail ha bisogno”. Leggi tutto “Amazon USA. Un altro top manager lascia Seattle…”

Despar c’è. Non solo in italia

Despar è la dimostrazione evidente che quando un’azienda globale impara a pensare localmente, vince sempre. E non c’entra nulla se in un singolo Paese viene gestita direttamente, con società consortili, franchising o cooperative. Il punto è che chi presidia il territorio deve conoscere il mestiere, interpretare le esigenze  e stare un passo avanti ai propri clienti anticipandone aspettative e consumi. Il modello imprenditoriale di Despar è una delle traiettorie possibili per il futuro della GDO. Nella mia ipotetica classifica dovrò rivalutarne ruolo e peso perché è vero che è sotto i cinque miliardi di fatturato (4,4 miliardi di euro) che per me è una linea di demarcazione significativa per valutare peso del management e imprese ma occorre considerare che l’insegna non copre tutto il territorio nazionale.

Il prodotto a marchio (MDD) si conferma elemento distintivo dell’offerta Despar e un asset strategico di sviluppo: ad oggi, la MDD Despar è tra le best performer per tasso di crescita nella Gdo (Fonte: Nielsen IQ Discover) con vendite che hanno superato il miliardo di euro. Despar Italia ha raggiunto una quota MDD sul totale vendite grocery pari al 23,9%, superiore a quella del mercato totale MDD in Italia (che si attesta al 22,6%) e in crescita di 1,3 pt rispetto all’anno precedente (Fonte Nielsen, dati I+S Grocery, progressivo settembre 2024) “e ci avvicina progressivamente e con grande slancio all’obiettivo del 25% di quota MDD entro il 2025” ha dichiarato Filippo Fabbri Direttore Generale di Despar Italia. Probabilmente comincia a “vedere” il secondo posto dopo Conad che è già pari al 33,5% delle sue vendite.

Guardando all’Italia, in un contesto di mercato grocery in crescita a valore del 2% rispetto all’anno precedente, Despar Italia sta ottenendo delle performance positive crescendo del +2,7% rispetto al 2023 (fonte dati Nielsen I+S progressivo settembre 2024). Despar in Italia si sta preparando, nel 2025,  a festeggiare i  65 anni. È nata il 9 ottobre del 1960 all’interno della famiglia di SPAR International. Il nome deriva dal motto olandese “Door Eendrachtig Samenwerken Profiteren Allen Regelmatig” (Attraverso la cooperazione armoniosa tutti traggono vantaggio con regolarità), il cui acronimo venne poi modificato in “De Spar” che in olandese significa “l’abete”, da cui il marchio.

Con riferimento al contesto internazionale, il 2023 è stato un anno ricco di risultati positivi in tutto il mondo per Spar International, il maggior gruppo mondiale della distribuzione associata presente in 48 Paesi nel mondo. Spar International ha raggiunto nel 2023 un fatturato complessivo di 47,1 miliardi di euro, registrando un aumento dell’8,3% rispetto al 2022. Una crescita che si accompagna all’espansione in nuove aree geografiche in tutto il mondo: dopo l’ingresso in Kirghizistan, il marchio SPAR nel 2024 è entrato anche in Paesi nuovi come l’Uzbekistan e il Rwanda. Leggi tutto “Despar c’è. Non solo in italia”

Fusione Fnarc Darty e Unieuro. Giusta la strategia ma il diavolo sta nei dettagli del percorso…

L’Opas di Fnac Darty e Ruby Equity Investment su Unieuro com’era prevedibile ha avuto successo. La soglia minima del 66,67% è stata superata e oltre 6,3 milioni di azioni, pari a circa il 30% del capitale, sono state consegnate nella seduta del 25 ottobre. Fnarc Darty oggi controlla il 71,5% del capitale, compreso il  4,4% racimolato sul mercato prima dell’opas. Tutto fatto quindi? Temo proprio di no.

Domenica 17 e lunedì 18 novembre 2024 si terranno le elezioni regionali in Emilia-Romagna. Qualcuno ipotizza l’annuncio di “golden power”.  I partiti politici, impegnati all’ultimo voto in una regione che sta vivendo momenti difficili, guardano, insieme ai sindacati  a Roma e chiedono, all’unisono  “se intende procedere con l’utilizzo del Golden Power sull’offerta del gruppo francese, una procedura che permetta al Governo di bloccare o apporre particolari condizioni a specifiche operazioni finanziarie nell’interesse nazionale, in settori considerati strategici”. È un momento teso nei rapporti con i francesi. Sullo sfondo aleggia Stellantis e le promesse non mantenute di Tavares. Nessuno si fida di nessuno. Tantomeno i forlivesi.

Il Golden Power, di fatto, è un’autorità speciale che consente a un Paese di prendere decisioni chiave o di influenzare l’operatività di un’azienda. Può essere applicato in diversi contesti e situazioni. È in sostanza  “la facoltà di dettare specifiche condizioni all’acquisto di partecipazioni, di porre il veto all’adozione di determinate delibere societarie nei confronti di aziende che ricadono nell’interesse nazionale”. Il commercio, in realtà, non lo è. Ma i dati dei clienti, per qualcuno,  potrebbero esserlo. L’agenzia multimediale economica Bloomberg cita, al riguardo, fonti “informate sulla questione”, secondo cui l’esecutivo potrebbe valutare se imporre limitazioni all’influenza di Fnac Darty su Unieuro. E le limitazioni riguarderebbero l’accesso dei francesi ai dati sensibili di milioni di clienti, con le relative preoccupazioni riguardanti anche i pagamenti digitali degli utenti.

Per ora non ci sono commenti ufficiali. Si sa che il ministro del made in Italy D’Urso non è mai stato convinto di cedere ai francesi Unieuro. E tutti i partiti dell’intero arco costituzionale, con varie motivazioni, sollecitano  il “No Pasaran”.  C’è però un problema difficile da negare: l’azionista principale della Unieuro è già francese: dal 2021 la Iliad di Xavier Niel possiede il 12%, la famiglia del fondatore Silvestrini ha meno del 10%, ma la catena di negozi è stata costruita a sua volta grazie al fondo britannico Rhone Capital. Difficile definirla italiana. 

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Tony Hoggett lascia Amazon.

La notizia non passerà certo inosservata. E il primo a comunicarla su LinkedIn è stato il diretto interessato spiazzando sia l’azienda, presa un po’ alla sprovvista,  sia le riviste USA del comparto che non avevano evidenziato problemi. “Dopo quasi tre anni in Amazon, è arrivato il momento di fare il passo successivo nella mia carriera. Il mio tempo in Amazon è stato incredibile e sono grato ai miei colleghi per il loro supporto, la loro guida e la loro amicizia. Sono ottimista riguardo al lavoro che Amazon sta facendo per migliorare l’esperienza di acquisto dei clienti e non ho dubbi che i team manterranno lo slancio in mia assenza. Farò il tifo per tutti voi”.

Tony Hoggett, SVP, Worldwide Grocery Stores lascia quindi Amazon. Ex dirigente di Tesco, Hoggett ha iniziato a lavorare in Amazon nel gennaio 2022 e ha fatto parte fino ad oggi, del senior leadership team dell’azienda, o S-team, che si incontra regolarmente con il CEO di Amazon Andy Jassy e gli altri alti dirigenti. L’S-Team  comprende i 23 consiglieri più fidati ed è il luogo deputato a  prendere le decisioni strategiche a lungo termine che  modellano il business aziendale. Gli incontri quotidiani coinvolgono per lo più membri dell’ S-Team sul lato retail dell’azienda, come Doug Herrington, CEO, Worldwide Amazon Stores,   Brian Olsavsky, SVP and CFO,  Udit Madan, VP, Worldwide Operations, Drew Herdener, SVP, Communications & Corporate Responsibility  e la responsabile delle risorse umane Beth Galetti, SVP, People eXperience and Technology. Vedremo presto chi sostituirà Tony Hoggett.

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Retribuzioni top manager USA. Cresce l’insofferenza anche nei confronti degli azionisti che le avvallano

In Italia, soprattutto in GDO, siamo molto lontani da queste cifre. E comunque non si parla volentieri delle retribuzioni come avviene in altre parti del mondo. Qui da noi, nel dibattito pubblico, il denaro è ancora ritenuto “lo sterco del diavolo”. Difficile parlarne in modo trasparente. Aggiungo che, nella GDO, non essendoci aziende quotate in borsa i pacchetti retributivi dei top manager pur essendo decisamente più bassi, non sono pubblici. Altrove il tema è all’ordine del giorno. Secondo un  rapporto dell’Economy Policy Institute dal 1978 al 2023, la retribuzione dei CEO di alto livello è aumentata dell’1,085%, rispetto a un aumento del 24% della retribuzione di un lavoratore medio.  Nel 2023, l’Ad di una società S&P 500 ha guadagnato 196 volte di più rispetto ai dipendenti medi, nel 2022 il compenso era di 185 volte superiore (Lo stipendio lordo medio in America è stato di $59,980 nel 2023. Era di $56,428 nel 2022 (+5.4% rispetto al 2021). Nel 1965, quando venivano pagati 21 volte di più.

I CEO vengono pagati di più per la loro influenza sui consigli di amministrazione aziendali, non solo per le loro competenze o per il contributo che apportano alle loro aziende. Secondo i primi risultati di un sondaggio condotto da Gallup e dall’Università di Bentley, due terzi degli americani ritengono che le aziende non si stiano impegnando a ridurre il divario di ricchezza tra gli amministratori delegati e i dipendenti.  Gli stipendi esorbitanti dei CEO hanno contribuito ad aumentare la disuguaglianza negli ultimi decenni, poiché hanno probabilmente aumentato lo stipendio di altri grandi percettori di reddito, concentrando i guadagni al vertice e lasciando meno guadagni per i lavoratori comuni. “Le retribuzioni dei Ceo sono scandalose. E minano enormemente la fiducia nelle nostre istituzioni”, ha dichiarato Nell Minow, vicepresidente di ValueEdge Advisors, alla CNN, che ha riportato per prima i risultati del sondaggio. L’articolo completo è disponibile su Fortune.com.

Aggiungo che l’inflazione oltre ad essere una tassa iniqua e particolare che colpisce inversamente il reddito negli USA ha lasciato un segno pesante ed è diventata un elemento centrale addirittura della campagna elettorale. Molte imprese, inutile negarlo, hanno rimesso a posto i loro conti nel 2023 dopo qualche anno di magra. E i top manager che avevano parte della loro retribuzione legata ai risultati di business e all’andamento azionario ci hanno guadagnato. E il 2023, sotto questo punto di vista è stato per loro molto positivo. E se il fenomeno inflativo in parte è rientrato, le code sul reddito delle persone continuano a  produrre effetti diseguali.

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Gli italiani vogliono salvare il pianeta…. senza rinunciare al buon cibo.

Uno studio del 2023 condotto da Profundo (una piattaforma di ricerca basata sull’IA) per  Madre Brava ha evidenziato  che se in Europa  Ahold Delhaize, Carrefour, Lidl e Tesco sostituissero metà delle loro vendite di carne con proteine vegetali entro il 2030, risparmierebbero  emissioni equivalenti a quelle che si otterrebbero togliendo 22 milioni di auto dalle strade, la metà delle auto circolanti nel nostro Paese. Che si tratti di un’iperbole per impressionare gli interlocutori o segnali  un dato realistico  con cui è necessario confrontarsi stiamo comunque parlando del futuro del pianeta.

Nella Commissione Agricoltura e Sviluppo Rurale del Parlamento europeo,  si è iniziato  lavorare alla Strategia europea sulle proteine già nella legislazione appena conclusa. C’è quindi un ampio consenso in Europa sulla necessità di promuovere le colture proteiche. Nella nuova Politica Agricola Comune, infatti, è previsto l’aumento pari al 25% degli aiuti economici previsti nel 2022 per permettere agli agricoltori e alle aziende di ridurre la dipendenza dalle importazioni e coltivare in autonomia più proteine vegetali e più leguminose. Questa Strategia europea è fondamentale per accelerare la transizione ecologica e lo sviluppo sostenibile ma di tutte le proteine vegetali e animali. Le prime, a mio parere, non dovrebbero escludere totalmente le seconde.

Paesi Bassi e Germania puntano decisamente verso un’offerta di prodotti a base vegetale. “Alcuni retailer europei hanno dalla loro ambizione e dimensioni sul mercato e quindi vogliono posizionarsi come leader, non come follower. Questi due Paesi hanno costantemente mostrato alti livelli di consapevolezza ambientale tra il pubblico, insieme a un solido lavoro da parte della società civile per esporre gli impatti dell’agricoltura animale sull’ambiente, sulla salute e sul benessere degli animali”. Aggiunge Nico Muzi Managing Director a Madre Brava: “Dopo anni di campagne di sensibilizzazione dei consumatori sui benefici per la salute, l’ambiente e il benessere degli animali derivanti dal passaggio a diete ricche di vegetali, i consumatori olandesi e tedeschi, in particolare le generazioni più giovani come la Gen Z, hanno capito che fa bene alla loro salute e a quella del pianeta mangiare più vegetali e meno carne e latticini.

In Italia è diverso. Cultura, tradizioni locali, reddito  e abitudini alimentari plasmano i modelli di consumo. Lo sottolinea la fotografia che emerge da una ricerca realizzata da SWG per Carrefour Italia su un campione rappresentativo di italiani, per comprendere come si orientano i comportamenti di consumo in ambito food rispetto al binomio gusto e sostenibilità. “Gusto ma non a tutti i costi. Gli italiani mettono il buon cibo al centro della loro dieta, e chiedono prodotti attenti all’ambiente, freschi e di provenienza locale ma a un giusto prezzo. La transizione alimentare secondo gli italiani passa più dalla lotta agli sprechi alimentari e da una maggiore consapevolezza nei consumi, che dall’aumento della produzione o da politiche centrate sul prezzo più basso possibile dei prodotti alimentari. A questo riguardo è centrale il ruolo della GDO e la sua capacità di proporre soluzioni per ridurre sprechi e imballaggi, ma anche di valorizzare i prodotti freschi locali e di stagione. Leggi tutto “Gli italiani vogliono salvare il pianeta…. senza rinunciare al buon cibo.”

E Walmart non sta certo a guardare…

Walmart Inc. non sta a guardare Amazon e anch’essa si propone sempre di più come  un retailer omnicanale. L’obiettivo dell’azienda è di mantenere la sua leadership consentendo alle persone di risparmiare denaro e vivere meglio, sempre e ovunque, nei negozi fisici, online e attraverso i loro dispositivi mobili. Ogni settimana, circa 255 milioni di clienti e membri visitano più di 10.500 negozi e numerosi siti web di e-commerce in 19 paesi. Con un fatturato dell’anno fiscale 2024 di 648 miliardi di dollari, Walmart impiega circa 2,1 milioni di collaboratori in tutto il mondo. Anche Walmart punta a rivoluzionare l’esperienza di acquisto attraverso tecnologie all’avanguardia. Sta accelerando la sua strategia Adaptive Retail, con l’obiettivo di combinare l’intelligenza artificiale generativa, la realtà aumentata e la personalizzazione per creare esperienze immersive nei negozi, nelle app e nei siti web di Walmart e Sam’s Club.

Il retailer ha sviluppato una serie di grandi modelli linguistici (LLM) chiamati Wallaby e prevede di utilizzare la tecnologia per supportare assistenti ed esperienze rivolte ai clienti. Un modello linguistico di grandi dimensioni (Large Language Model, detto LLM) è un modello di intelligenza artificiale che utilizza tecniche di machine learning per comprendere e generare linguaggio umano. Gli LLM sono strumenti di grande utilità per le aziende e le organizzazioni che puntano ad automatizzare e migliorare la comunicazione e l’elaborazione dei dati. Walmart ha formato Wallaby avendo la disponibilità  di dati interni accumulati nei decenni, che gli consentono di lavorare con altri LLM per creare risposte altamente personalizzate per l’ambiente di riferimento.

Walmart ha anche creato una piattaforma decisionale dei contenuti basata sull’intelligenza artificiale che cerca di prevedere ciò che i clienti vogliono trovare sul suo sito web per creare homepage uniche per ogni cliente in base ai suoi interessi. Il sito web aggiornato dovrebbe essere lanciato negli Stati Uniti entro la fine del 2025. Walmart punta anche in questo campo a distinguersi dalla concorrenza. L’azienda di Bentonville ha inoltre utilizzato una combinazione di piattaforme di intelligenza artificiale generativa per sviluppare una versione più personalizzata del suo chatbot AI Customer Support Assistant. L’assistente all’assistenza clienti è in grado di riconoscere il cliente, comprenderne le intenzioni e intraprendere azioni, come trovare gli ordini e gestire i resi. Walmart ha affermato che sta sviluppando decine di altri strumenti GenAI per clienti, membri, associati e partner che utilizzano le sue piattaforme GenAI.

“Una barra di ricerca standard non è più il percorso più rapido per l’acquisto”, ha affermato Suresh Kumar, Global Chief Technology Officer e Chief Development Officer di Walmart Inc. “Piuttosto, dobbiamo usare la tecnologia per adattarci alle preferenze e alle esigenze individuali dei clienti. Al centro della nostra strategia di piattaforma c’è lo sviluppo di capacità globali comuni che vengono costruite una volta e distribuite in Walmart US, Sam’s Club e Walmart International. Come azienda globale con più segmenti di business, questo ci consente di muoverci rapidamente mentre offriamo esperienze coerenti a tutti i nostri clienti e membri”. “Il cliente medio trascorre sei ore a cercare e navigare online ogni settimana” ha dichiarato Anshu Bhardwaj, SVP e COO di Walmart Global Technology e Walmart Commerce Technologies, a CX Dive alla conferenza della National Retail Federation. Gli aggiornamenti generativi dell’IA mirano a ridurre questo tempo consentendo ai clienti di utilizzare le query in linguaggio naturale e ricevere in cambio risposte più accurate. Gli investimenti tecnologici di Walmart mirano anche a migliorare le esperienze in negozio. L’azienda ha utilizzato l’intelligenza artificiale generativa per creare o migliorare la qualità di oltre 850 milioni di dati in tutto il suo catalogo di prodotti. Leggi tutto “E Walmart non sta certo a guardare…”