Ma un impresa può aver paura del Governo?

Non era mai successo che il mondo delle imprese fosse così preoccupato alla vigilia di una legge finanziaria. E’ vero che, per ora, le notizie che filtrano sono generalmente volute e pilotate per sondare le reazioni ma il quadro complessivo resta preoccupante.

Condoni, nuove tasse, patrimoniale sulle pensioni alte accompagnano in sottofondo e compensano gli interventi più mediatici. Quelli che hanno caratterizzato la campagna elettorale.

E’ chiaro che una coalizione così eterogenea come quella uscita dalle urne il 4 marzo vanta, comprensibilmente, priorità in conflitto tra loro sia nell’efficacia proposta che in termini di costo per la collettività.

Ma quello che preoccupa le imprese è che, mentre  i risultati contenuti nelle promesse elettorali non aiutano né la ripresa né il lavoro, il rastrellamento di risorse, necessario per consentirne la spendibilità politica e mediatica, rischia di provocare un aggravio d costi e nuovo piombo alle ali.

L’aumento dell’IVA è l’incognita principale. Ed è singolare che ci si trovi quasi costretti ad accettarne, almeno concettualmente,  una sua “rimodulazione” per evitare un risultato ben più pesante.

Così la realtà viene edulcorata con nuove parole, slogan soavi nella forma ma ben più preoccupanti nella sostanza, proposti  come risolutivi e positivi che rischiano di confondere l’opinione pubblica. “Rimodulazione dell’IVA”, “pace fiscale”, “domeniche in famiglia”, “decreto dignità”, “quota 100”, “spazza corrotti” e via discorrendo ci preparano ad un futuro prossimo che rischia di essere ricco di incertezze e preoccupazioni soprattutto per chi è obbligato a fare i conti non fermandosi al fascino diabolico delle parole. Leggi tutto “Ma un impresa può aver paura del Governo?”

Ricostruire rapidamente un luogo comune di confronto e di proposta per tutto il retail Italiano

A Chia Laguna in Sardegna si celebra ogni anno una sorta di Woodstock del terziario associato. Meno nota dell’appuntamento di Cernobbio che resta un appuntamento più politico e istituzionale, vicino a Cagliari, la Confederazione che vanta il numero più alto di imprese iscritte si interroga al proprio interno sul contesto economico, sociale e mette a terra la strategia necessaria per affrontare l’anno che verrà.

Quasi 800 persone provenienti da tutto il Paese ascoltano le testimonianze degli esperti invitati alle tavole rotonde, ne discutono le tesi, vivono insieme due giornate intense che consolidano i rapporti associativi e consentono di condividere esperienze e progetti.

L’appuntamento non ha alcuna eco esterna, non ci sono giornalisti presenti e, forse per questo, consente di percepire, più che altrove, la consistenza di quell’impasto di umanità, professionalità e impegno quotidiano che costituisce  la colonna vertebrale della Confederazione. Qui forse più che altrove, si cerca di ascoltare, proporre e osservare il mondo per quello che è anche quando rende evidente i limiti e la fatica della rappresentanza.

Il tema delle chiusure domenicali non poteva non animare  un confronto acceso tra rappresentanti delle federazioni e delle associazioni territoriali per come è stato posto dall’agenda della  politica. E’ un dibattito difficile tra chi vorrebbe ritornare a ben prima delle liberalizzazioni e chi cerca di individuare una soluzione praticabile.

E’ chiaro che l’uscita di Federdistribuzione del 2011 ha lasciato il segno in molti territori. Personalmente credo non abbia fatto bene né a loro né a Confcommercio che si trova inevitabilmente più sbilanciata nel confronto interno. Non è facile, e questo va detto, gestire un confronto equilibrato in  una Confederazione che associa alcuni tra i più importanti giganti del web, imprese e gruppi della GDO, rappresentanti dei piccoli esercizi e federazioni che hanno subito una moria di associati impressionante.
Assistervi è comunque un privilegio perché fa emergere e comprendere asprezze, diffidenze, rancori di chi fa impresa.

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Il dilemma nel “Governo del cambiamento”. Distruggere o difendere il lavoro?

Aldo Cazzullo sul Corriere (http://bit.ly/2OuWzze) affronta il tema della inopportunità delle chiusure domenicali dal punto di vista del lavoro, della sua importanza, della sua qualità e dei suoi cambiamenti e di ciò che dovrebbe essere all’ordine del giorno per un vero Governo del cambiamento.

“Negli ultimi quarant’anni l’automazione ha distrutto il lavoro operaio; oggi la rivoluzione digitale sta distruggendo il lavoro dei bancari, degli assicurativi, degli agenti di viaggio. Per restare al commercio, intere categorie rischiano di essere messe fuori mercato dal web: grossisti, rappresentanti, trasportatori, commessi sono sempre più spesso sostituiti da un clic. Tesori di esperienze e competenze potrebbero in poco tempo essere spazzati via. Un disastro sociale che, però, richiede un sforzo di inventiva, di diversificazione, insomma di lavoro; altro che serrande abbassate la domenica.”

E’ l’altra angolatura del problema. Per questo sbaglia approccio Marco Beretta, segretario della Filcams Cgil di Milano quando attacca: ”Con ogni evidenza le liberalizzazioni di orari e giorni di apertura non hanno portato più occupazione. Anzi. le aziende hanno licenziato ed è peggiorata la condizione generale dei lavoratori.” Una frase forte che, per certi versi, descrive un punto di osservazione della crisi e di come ha colpito nel territorio milanese. Ma non c’entra nulla con le liberalizzazioni.

Innanzitutto non considera la natura e l’impatto che la crisi hanno avuto sulle  diverse insegne. Poche sono cresciute a parità di perimetro. Alcune si sono ritirate dal Paese, altre sono passate di mano, altre sono fallite. Altre ancora hanno ricalibrato offerta e formati. Infine sono cresciuti i discount. Alcune insegne sono rimaste prigioniere delle loro strategie e dei loro vincoli organizzativi. Leggi tutto “Il dilemma nel “Governo del cambiamento”. Distruggere o difendere il lavoro?”

Grande distribuzione. Il lavoro domenicale nella prospettiva dell’integrazione online/offline

Quella sulle domeniche è sicuramente una battaglia di retroguardia che infiamma le discussioni ma rischia di provocare inutili danni alle imprese in un momento difficile. E, indipendentemente dalla possibile soluzione che verrà individuata, nel tempo le costringerà comunque a cambiare.  E quando i cambiamenti diventano forzatamente più rapidi del contesto nei quali si devono innestare creano effetti collaterali imprevedibili.

Se restiamo sul tema, quello del lavoro tradizionale nel commercio,  che i 5S vorrebbero tutelare a prescindere e anche a  scapito di altre componenti del sistema basta un giro in altri Paesi per capire cosa questo potrebbe comportare.  

Alcuni esempi neanche tanto rivoluzionari per capire la posta in gioco. Non c’è solo Amazon GO che insidia il lavoro delle commesse  della GDO e supera, di fatto, il concetto di lavoro, settimanale,  festivo o domenicale che sia. A Seattle dopo una prima sperimentazione del negozio senza casse ne apriranno presto altri due. Un altro seguirà a New York. Quindi l’esperimento sta  funzionando.

Walmart, da parte sua,  non poteva stare a guardare e, da tempo ha creato un centro di ricerche che si occupa di nuove tecnologie, intelligenza artificiale ma anche di cambiamenti con basso impatto tecnologico. Nella recente visita  di Esselunga a Bentonville in Arkansas presso l’Head Quarter del colosso americano i top manager italiani hanno potuto vedere in prima persona alcune di queste novità. Leggi tutto “Grande distribuzione. Il lavoro domenicale nella prospettiva dell’integrazione online/offline”

Grande Distribuzione. Le domeniche tra inutili proclami e soluzioni da trovare

Questo è, purtroppo, il tempo dei rispettivi proclami e delle prese di posizione senza se e senza ma. Da un lato chi, come il Governo, vuole azzerare il lavoro festivo e domenicale e, dall’altro chi, rivendicando a buon diritto la libertà di impresa, vorrebbe lasciare tutto com’è.

Tre soggetti in campo apparentemente con esigenze opposte. Innanzitutto i dodici milioni di consumatori ormai abituati a  frequentare i punti vendita la domenica. Gli abolizionisti la fanno semplice.

Basterebbe, secondo loro, distribuire gli acquisti negli altri giorni della settimana. Ovviamente nessuno prende in considerazione i differenti format distributivi, la loro collocazione sul territorio, le merceologie proposte. Per gli abolizionisti un supermercato di vicinato piuttosto che un centro commerciale a 20 chilometri dalla abitazione del consumatore sono la stessa cosa, così come le insegne e sono frequentabili in qualsiasi giorno della settimana allo stesso modo. Dopo una giornata di lavoro, o prima. Magari anziché fare jogging. O in pausa pranzo lasciando in auto la spesa…

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Starbucks, meglio il binocolo dello specchietto retrovisore…

Un aforisma attribuito a Robert Kennedy ricorda che “alcuni uomini vedono le cose come sono e si chiedono: “perché?” Altri, davanti alle stesse cose, si domandano: “perché no?”

Era il 27 novembre 1957 quando a Milano, in viale Regina Giovanna veniva inaugurato il primo supermercato italiano di Esselunga. Da viale Tunisia fino a Piazza 8 novembre e su fino a piazza Maria Adelaide di Savoia una folla festante che non voleva perdersi l’avvenimento si era accalcata fin dalle prime ore della giornata.

Esattamente come nei giorni scorsi all’inaugurazione di Starbucks a Milano. Nulla di nuovo o di eccezionale, quindi. Solo un avvenimento altrettanto importante per la nostra città. C’è chi partecipa e vive questi avvenimenti e chi rifiuta, per principio di attribuirgli un valore, un significato che vada al di là dell’avvenimento stesso. Come l’inaugurazione del nuovo Apple Center di piazza Liberty. Una Milano cosmopolita, aperta al mondo che attira investimenti, turisti, progetti e opportunità di lavoro. Esattamente come era successo con Esselunga nel 1957.

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L’andamento lento dei corpi intermedi…

Siamo in Agosto,  opposizione e sindacati, dalle dichiarazioni e dalle proposte sparate un po’ a casaccio  sembrano ancora tutti in vacanza.

Nelle liturgie di quasi tutti i corpi intermedi che ne scandiscono la vita organizzativa e mediatica ci sono momenti importanti dove si presentano all’esterno tesi e riflessioni che provano ad alimentare il dibattito politico, economico e sociale.

Il Meeting di Comunione Liberazione è certamente uno di questi. Mai banale o scontato, gli organizzatori cercano sempre di scavare nelle viscere profonde dell’uomo contemporaneo alla ricerca di senso, valori e stimoli positivi per proporre una visione del futuro legato all’importanza della comunità come luogo di crescita, integrazione, incontro con l’altro. 

Per questo motivo la sua importanza travalica i confini del movimento stesso, e, al di là della passerella dei partecipanti, più o meno famosi, è importante seguirne i passaggi proposti anche per chi cerca di riflettere sul ruolo dei corpi intermedi più in generale. Leggi tutto “L’andamento lento dei corpi intermedi…”

Lavoro. Quando l’eccezione diventa la regola…

Il caso Foodora e la sua decisione di lasciare il nostro Paese riporta in primo piano i rider e rilancia finalmente il loro punto di vista. Fino ad oggi non è stato così. Loro malgrado sono stati trasformati nel simbolo della precarietà ben più di chi lavora in nero o di chi viene sfruttato nei campi dell’agro nocerino.

Ritenuti uno dei più importanti problemi  dal neo Ministro del Lavoro Luigi di Maio, protagonisti di scioperi mediatici che non ci sono mai stati, hanno addirittura  spinto alcune istituzioni a livello locale ad inventarsi tavoli e soluzioni specifiche. Nessuna categoria professionale ha mai avuto lo stesso trattamento.

Le ragioni sono da ricercare negli ingredienti diventati subito indigesti all’opinione pubblica che rendono questa storia diversa da molte altre ben più gravi. Innanzitutto i rider come novelli Davide contro la spregevole multinazionale sfruttatrice Golia. Molti, da  genitori, ci hanno visto il destino dei propri figli impegnati nella ricerca di un lavoro che non trovano e che, trovato, non soddisfa le loro aspettative. Infine la paura del futuro. L’algoritmo, il grande fratello con le sue app che distribuisce e toglie il lavoro a suo piacimento.

A parte qualche giovane rider un po’ più politicizzato degli altri spinto dai sindacati desiderosi di entrare nella vicenda,  il grosso di loro ha assistito con una certa riluttanza a questo eccessivo protagonismo, non richiesto. La ragione è molto semplice. Nella stragrande maggioranza dei casi questi “lavoretti” sono utili sia agli studenti universitari per mettere in tasca qualcosa, sia a chi, in attesa di un lavoro, si mette a disposizione per periodi limitati e compatibili con le proprie aspettative. Ma questo approccio non rendeva mediaticamente interessante il tema.  Leggi tutto “Lavoro. Quando l’eccezione diventa la regola…”

ILVA. Tertium non datur..

In azienda, quando un manager viene “dimesso” viene rilanciato puntualmente il racconto delle famose due lettere da scrivere da parte del subentrante. Così come le aveva preparate in passato, chi lo aveva preceduto. Nella prima, da aprire alle prime difficoltà, c’è scritto di scaricare tutte le colpe sul predecessore. Funziona sempre. Nella seconda, però, c’è scritto solo di scrivere due lettere.. Quel momento capita, prima o poi, a  tutti.

Il Ministro Di Maio ha già  aperto la prima lettera. Secondo Giuseppe Sabella adesso ha, davanti a sé, solo due opzioni. La più logica, è quella di “costringere” ArcelorMittal a migliorare la proposta fatta a suo tempo al suo predecessore e ai sindacati prendendosi la libertà di continuare ad accusare Carlo Calenda di superficialità o peggio.

La seconda quella di assecondare la volontà dell’elettorato grillino di Taranto che vorrebbe, di fatto,  l’acciaieria chiusa. La scelta di riunire oltre sessanta associazioni per ascoltarle, un minuto a testa, è la prova che la decisione, quella vera,  non c’è ancora. Nonostante la pressione dei sindacati e il disorientamento di ArcelorMittal. Inoltre i commissari stimano l’esaurimento di cassa a settembre 2018. Lo si legge nella documentazione dei commissari ILVA portata in audizione in Senato.

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FCA ovvero la solitudine dei numeri uno…

E’ indubbiamente vero che chi comanda si senta solo. Non lo pensa solo Sergio Marchionne. È così dappertutto. Nel bene e nel male. E, lo dico in premessa perché non credo di avere il diritto di parlare di un uomo della sua storia umana e di un’esperienza manageriale che non ho conosciuto se non attraverso gli articoli dei giornali o il racconto di terze persone.

Mi interessa approfondire il tema della solitudine manageriale, della composizione della squadra che affianca il CEO e del trauma che, inevitabilmente, subisce l’intera struttura decisionale aziendale quando la solitudine si trasforma in un vuoto comunque impossibile da colmare attingendo dentro o fuori la squadra di testa. Soprattutto in aziende quotate in borsa e di grandi dimensioni.

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