Il contributo della grande distribuzione a sostegno delle fasce più deboli

C’è una parte del mondo industriale che non si è limitata a banalizzare  il cigolante ”carrello anti inflazione” contestandone l’utilità ma, di fronte al perdurare dell’inflazione, ha deciso di aggirare l’ostacolo a proprio vantaggio.  Era chiaro che l’intervento del Governo e delle Associazioni che ne hanno condiviso la finalità non poteva essere risolutivo per un problema che ha origini ben più complesse ma l’obiettivo politico era comunque importante: segnalare all’opinione pubblica una preoccupazione comune, un impegno e una volontà condivisa.  Tra l’altro iniziative analoghe sono state messe in atto in altri Paesi europei.

Aggiungo che, per la GDO, era l’occasione di smarcarsi dalle accuse di essere, essa stessa, causa del problema e non possibile parte della soluzione. In realtà, chi non ha sottoscritto il patto, sapeva benissimo che, consumatori a parte, l’inflazione avrebbe potuto portare  vantaggi immediati ai conti delle imprese. E così sono state messe in atto altre due strategie che miravano a contenere la reazione dei consumatori traendone  il massimo vantaggio possibile in una condizione oggettivamente complessa. La descrivono bene due brutti termini inglesi: shrinkflation e greedflation.

La prima, banalmente punta a ridurre la quantità o qualità di un prodotto nella confezione senza che il suo prezzo però venga ritoccato. Il vantaggio supposto, da chi lo mette in pratica,  è che i clienti faticano a percepirne l’effetto. La seconda, detta greedflation, si basa sul banale aumento dei prezzi non necessariamente giustificati dall’inflazione. I consumatori tendono comunque a subirlo perché il clima determinato dagli aumenti dei prezzi in generale lo rende credibile. Semmai ripiegando su sostitutivi (vedi discount e MDD).

La morale di questa vicenda, lo sottolineo per chi è convinto che, passata la nottata, per la spesa quotidiana tutto tenderà a ritornare come prima, è che, non sarà affatto così.  L’uscita dalla pandemia, l’inflazione, le preoccupazioni per il contesto stanno agendo da acceleratore, modificando le abitudini di spesa e i consumi degli italiani. Aggiungo che l’inflazione, i suoi effetti sulla spesa delle famiglie e sulle scelte   dei consumatori, proprio grazie ai i comportamenti dei soggetti in campo, si sono inevitabilmente trasformati in uno grande spot a favore di discount e marca del distributore.  Un sostanziale autogol per l’industria di marca.

Banalizzato  il carrello tricolore, aumentati i prezzi e sgrammati i prodotti siamo arrivati ad oggi. Due dati su cui riflettere. Il primo è che sul tema della shrinkflation, nella GDO si è mossa con forza Carrefour  France e pochi altri. La maggioranza delle insegne ha preferito abbozzare per non sollecitare reazioni  da parte dell’industria di marca spingendola ad aumentare i prezzi e provocando così un danno ulteriore. Il secondo dato è che, attraverso  la greedflation, molte imprese hanno aggiustato i bilanci 2023.

Pochi lo hanno sottolineato, a parte la GDO, che pur protestando con i fornitori ha tentato di resistere in parte assorbendone i costi. ”Se non puoi convincerli (i consumatori), almeno confondili”, parafrasando la legge di Truman, sembra essere stata la tattica adottata da una parte dell’industria di marca e su chi l’ha seguita. Purtroppo a danno delle famiglie  e, di fatto, pure dei volumi di vendita delle insegne della GDO. Il Consiglio dei ministri, in ritardo  e con i “buoi ormai usciti dalla stalla”, ha  approvato il disegno di legge annuale per il Mercato e la Concorrenza introducendo una misura di contrasto al fenomeno della cosiddetta “shrinkflation” prevedendo  un obbligo di informazione a favore del consumatore attraverso l’apposizione di una specifica etichetta nel prodotto esposto. Leggi tutto “Il contributo della grande distribuzione a sostegno delle fasce più deboli”

Dao Conad. A Trento raddoppia e apre il secondo ‘autonomous store’

Mi ero perso l’inaugurazione di Verona a due passi dal balcone di Giulietta nel mese di novembre. Non potevo perdermi una visita  del secondo ‘autonomous store’ a Trento aperto a maggio dalla cooperativa Dao Conad. La prima impressione è che l’evoluzione tecnologica, rispetto ai primi Amazon Go, è notevole. Non siamo ancora al “telepass” autostradale ma poco ci manca. Per questo il confronto tra favorevoli e scettici alle casse senza cassiere, dovrebbe spostarsi sul “quando” il nuovo sistema sostituirà inevitabilmente il tradizionale modello piuttosto che perdere tempo sui limiti organizzativi e tecnologici ancora presenti.

Un negozio  di vicinato di poco più di 200 metri quadri in piazza  Santa Maria Maggiore dove ha sede la chiesa più importante di Trento, insieme al Duomo, costruita nel Cinquecento in occasione del Concilio Tridentino. Bellissimo il campanile (il più alto della città con i suoi 53 metri). Una piazza molto bella sottratta al degrado da poco anche attraverso l’apertura di nuove attività economiche a cominciare proprio dal  “Tuday Conad”. Nel negozio si può pagare con l’apposita app, oppure con carta o bancomat. Il personale c’è. La tecnologia, come è evidente,  non svuota il negozio dagli addetti. Il lavoro di queste persone è prestare attenzione ai clienti, non  passare ore a scansionare prodotti seduti alla cassa.

Nel punto vendita, c’è di tutto. E la convenienza non cambia rispetto ad altri store. Interessante la bilancia per l’ortofrutta. Ogni prodotto posizionato  viene riconosciuto e visualizzato sullo schermo della bilancia SM-6000 AI – DIGI Italia (Gruppo TERAOKA) che consente la conferma della scelta con un semplice tocco, senza la necessità di numeri o codici. Un avanzamento tecnologico esportabile anche nei supermercati tradizionali. Un passo in avanti verso la semplificazione della spesa quotidiana.

Centrali i protagonisti: retailer e partner tecnologico.

Innanzitutto la cooperativa Dao (Dettaglianti Alimentari Organizzati) che gestisce in Trentino e nelle province vicine 280 punti vendita a marchio Conad. DAO nasce come gruppo nel 1962 dalla volontà di 20 alimentaristi della città di Trento. Oggi i soci sono più di 120. Dal 2004 opera come centro distributivo Conad per le province di Trento, Bolzano, Verona, Vicenza e Belluno e sono presenti nelle province di Brescia e Bergamo con l’insegna Maxì. Il fatturato di tutto il gruppo, comprensivo delle società partecipate, ammonta a 422 milioni di Euro, con un incremento del 13% rispetto al 2022. Il numero totale dei collaboratori sfiora le 2000  persone.  In Trentino nelle zone montane che spesso contano meno di 1000 abitanti, i negozi ad insegna Conad insieme a quelli di Sait (Coop) rappresentano una fonte sicura e affidabile di approvvigionamento.

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Cultura manageriale e risorse. Il nodo gordiano della Grande Distribuzione italiana

Riparto dalla vicenda Decò Italia. Rifletto e cerco di andare più a fondo su ciò che ha proposto alla riflessione  Mario Gasbarrino su LinkedIn. Il mantra è “mettersi insieme, conviene”. Soli non si va da nessuna parte. È vero. Mi pongo però un’altra domanda. Ma c’è veramente qualcuno su piazza in grado di  andare “oltre” ciò che ha costruito nella sua vita o ha ereditato da chi c’era prima di lui? In sostanza, quello che temo, è che non manchino solo le risorse economiche per crescere  come ricorda Gasbarrino,  ma anche la cultura imprenditoriale e manageriale necessaria.

Per crescere, non bastano le risorse, ovviamente indispensabili, occorre avere sogni nel cassetto, visione, coraggio e, intorno a sé, una squadra. Chi vuole crescere e competere deve andare “oltre” proprio dove i concorrenti  non se la sentono. Parafrasando  Frida Kahalo, chi assume dei rischi, vede orizzonti dove altri vedono confini invalicabili. Spesso chi guarda lontano è “ossessionato” dai suoi obiettivi. E chi gli sta intorno, pur dovendo tenere il ritmo,  non sempre ne capisce l’approccio. Brunelli, Caprotti, Podini, Panizza, Pomarico, Bastianello, Ratti, e pochi altri ancora, ciascuno a modo suo, ha visto prima nei propri sogni dove sarebbe  voluto arrivare.

Grandissimi profili della GDO del novecento, tutti però con un limite. Ciascuno ha giocato nel suo campionato, nazionale o regionale che fosse. Nessuno le coppe europee. Nell’industria non è stato così. I migliori si sono contraddistinti ovunque. E questo è stato già il  segnale evidente di un limite culturale. Bravi si, ma nel cortile di casa. Bernardo Caprotti lo ha sottolineato in una lettera al Corriere l’11 settembre del 2013: “Diversamente da Armani e Luxottica che hanno «creato», noi abbiamo soltanto cercato di dare un po’ di eleganza, di efficienza, di carattere ad un mestiere assai umile“. Così è. È uno dei pochi settori che non si è mai immaginato in un campo da gioco molto più grande. Tutti bravi a stigmatizzare gli errori delle multinazionali (che pur ci sono stati) incapaci di giocare contro le nostre difese arcigne ma nessuno dei nostri in grado di giocare in trasferta. Questa purtroppo è la realtà.

Crescere, non è quindi un esclusivo problema di mancanza di risorse economiche. Mancano soprattutto imprenditori e manager in grado  di affrontare scenari futuri o M&A complesse. Magari fosse solo un problema di piccoli imprenditori! Le stesse centrali di acquisto, per quanto ben governate, restano un elemento di stabilizzazione a difesa del sistema esistente. Non certo promotori di rotture di equilibri consolidati.  C’è un evidente problema di management. Ottimo fino a certi livelli di fatturato, probabilmente inadatto ad andare oltre.
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In Ontario, se non è fresco è gratis…

Solo pochi giorni fa, un post del prof. Daniele Tirelli sullo “sconto al costo” proposto dal Gigante aveva provocato reazioni forti da chi ritiene che la deriva innescata sia senza ritorno. Poi è toccato a Esselunga  stupire gli esperti con il suo 10% prolungato anche in agosto. Dai noi c’è un po’ di tutto.  Sconti, cash back, anniversari, per categorie (pensionati, studenti, ecc.). Loblaws Companies Limited, uno dei principali retailer del Canada, ha rilanciato con con un rimborso riservato solo agli insoddisfatti. Verrà copiata anche da noi? Partiamo dall’inizio.

L’insegna Loblaw nasce  a Toronto dai droghieri Theodore Pringle Loblaw e J Milton Cork. Negli  gli anni ’50, George Weston Limited ha acquisito il controllo della società, favorendo la sua rapida espansione in tutto il Canada e negli Stati Uniti.  Loblaws Companies Limited ora gestisce sei divisioni indipendenti, che comprendono oltre 2400 negozi in gestione diretta e in franchising e 190.000 collaboratori. Le insegne sono i supermercati Loblaws, la catena di farmacie Shopper Drug Mart,  il supermercato discount No Frills e il rivenditore di moda Joe Fresh. I marchi del distributore includono President’s Choice, No Name e Life Brand. 45 miliardi di dollari di fatturato nel 2023 con un aumento del 3,9 percento sulle vendite di prodotti alimentari quell’anno. I concorrenti principali in Canada sono Sobeys, Walmart e Metro.

L’insegna non è nuova a idee che suscitano un certo  interesse. Già nel 2016  aveva  piazzato nel reparto ortofrutta cestini con banane e mele che i bambini potevano prendere e mangiare mentre erano nel negozio. Quest’ultima trovata, però, è fuori dagli schemi. L’obiettivo, credo, sia di fidelizzare i clienti sulla freschezza e sulla qualità dei prodotti acquistabili nei loro negozi. In sostanza se i clienti per una qualsiasi ragione non dovessero ritenersi soddisfatti dei prodotti acquistati, potranno farseli sostituire e, in aggiunta, ottenere il  rimborso sugli acquisti effettuati entro sette giorni.

“Vogliamo che i clienti escano dai nostri negozi ogni giorno convinti di ciò che hanno acquistato”, ha detto Frank Gambioli, presidente della divisione Loblaw Super Market. “Sappiamo quanto la freschezza e la qualità giocano nel valore percepito, e la nostra “Fresh Promise” dimostra l’impegno dell’azienda nei confronti  dei canadesi che fanno acquisti da noi. Perché, se non sono freschi, saranno gratis.” La “Fresh Promise” si applica a qualsiasi prodotto fresco acquistato presso le sedi Loblaws, Independent, Valu-mart e Zehrs, sia in negozio che online. Se i clienti restituiscono i  prodotti, dovranno presentare solo la ricevuta di acquisto originale presso il negozio Loblaw da cui il prodotto ha avuto origine. Leggi tutto “In Ontario, se non è fresco è gratis…”

Imprenditori immigrati e commercio tradizionale…

Oggi nessuno fa più caso se la pizza è sfornata da un pizzaiolo egiziano o napoletano. Ci abbiamo messo qualche decennio a capire che una pizza fatta bene e il pizzaiolo che la prepara sono due cose diverse. Secondo un’elaborazione  della  Camera di commercio di Milano su dati del registro imprese a Milano ci sarebbero 119 pizzaioli egiziani contro 31 campani e 10 napoletani doc A Roma il 18,1% delle pizzerie e’ gestita da egiziani e il 10% nella provincia di Monza e Brianza. La tradizione resiste ancora a Napoli dove solo due egiziani risulterebbero titolari di un ristorante e nessuno registrato come pizzeria.

Se guardiamo i dati al 31 dicembre 2023 in Italia ci sono 775.559 imprenditori nati all’estero (10,4% del totale) e 586.584 imprese a conduzione prevalentemente straniera (11,5%). Negli ultimi dieci anni (2013-2023), appare evidente la diversa tendenza tra imprenditori nati in Italia (-6,4%) e nati all’estero (+27,3%). Anche nell’ultimo anno il numero di immigrati è aumentato (+1,9%), mentre quello dei nati in Italia ha subito un lieve calo (-0,6%). (Elaborazioni Fondazione Leone Moressa). 2,4 milioni di lavoratori immigrati, producono 154 miliardi di PIL (9%). Sono previsti almeno altri 574 mila ingressi per lavoro tra il 2023 e il 2026. E  il fabbisogno di manodopera rimane alto a causa di crisi demografica e gap di competenze.

La popolazione straniera residente in Italia si conferma stabile a quota 5 milioni ad inizio 2023, pari all’8,6% del totale. L’età media degli stranieri è 35,3 anni, contro i 46,9 degli italiani. In Europa, i Paesi con più immigrati per lavoro sono Polonia, Spagna e Germania. In Italia, il rapporto tra ingressi per lavoro e popolazione residente (11,3 ogni 10 mila abitanti) rimane per ora inferiore rispetto alla media Ue (27,4). Il primo canale d’ingresso in Italia, infatti, rimane il ricongiungimento familiare (38,9% del totale). L’incidenza sul PIL aumenta sensibilmente in Agricoltura (15,7%), ed Edilizia (14,5%). In dodici anni (2010-22), gli immigrati sono cresciuti (+39,7%) mentre gli italiani sono diminuiti (-10,2%). Incidenza più alta al Centro-Nord e nei settori di Costruzioni, Commercio e Ristorazione.

Nel commercio alimentare, da noi, per ora sono essenzialmente piccoli negozi a conduzione familiare situati in centri commerciali periferici o in quartieri periferici frequentati prevalentemente da immigrati asiatici, o nord africani. Nonostante la loro recente crescita, questi negozi rappresentano ancora una percentuale estremamente modesta sul totale dell’intero comparto alimentare. Oggi temo che chi osserva i fenomeni si limita a guardare il presente proiettandolo nel futuro.  A mio parere il destino del commercio, piccolo o grande che sia,  è ben diverso. Oggi non parlo di omnichannel, multinazionali o tecnologia. Né di affermazione o crisi di formati distributivi, di sconti o di promozioni. Penso però che tra i diversi fenomeni da analizzare, dovremo fare i conti anche con altre situazioni  a cui non siamo ancora preparati. Negozi per ora, che sembrano lontani anni luce, dalle nostre abitudini. Leggi tutto “Imprenditori immigrati e commercio tradizionale…”

Destini incrociati. Walmart risponde ad Amazon..

In linguaggio calcistico, Amazon è stata “immarcabile” per tutto il primo tempo della partita di un campionato tutt’altro che concluso. Ha dominato l’online e insidiato l’offline con la sua pattuglia di negozi fisici. Walmart in quella prima fase non ha toccato palla. Oggi le parti  si stanno  invertendo. Amazon sembra aver rallentato l’iniziativa nel retail USA decisa a riflettere bene prima di piazzare le prossime mosse. Ha ingaggiato un’ottima squadra esperta di negozi fisici e si prepara a rilanciare. Nel frattempo l’avversaria più importante ha replicato mettendo in campo tutta la sua forza.

Secondo  Panos Mourdoukoutas, in un recente intervento su Forbes, proprio  nell’omnichannel, Walmart starebbe assaporando  la sua rivincita su Amazon. Contando sulla forza e sulla numerica dei suoi negozi fisici e dopo anni di investimenti in tecnologia e capacità digitali, i risultati cominciano a vedersi. “C’è stato un tempo in cui la leadership di Walmart stava perdendo colpi. Amazon l’ha presa in contropiede, ha invaso il suo  spazio cambiando le regole del gioco e dando l’impressione ai concorrenti tradizionali, che l’online, anche nel food,  avrebbe prevalso in tempi brevi. C’è voluta la pandemia e le cautele degli investitori nel  post pandemia per rallentarne la marcia e consentire  così a Walmart di riprendere il campo” ha concluso il professor  Mourdoukoutas.  Il retailer ha investito cifre folli  per risalire la china. Ha ingaggiato i migliori talenti dello sviluppo software, ha acquisito capacità digitali per espandere la sua presenza nell’online e ha sviluppato la sua versione del programma Prime di Amazon. Inoltre, il gigante di Bentonville  ha lanciato Walmart Connect. Una piattaforma di pubblicità digitale che consente agli inserzionisti di accedere alle proprietà online di Walmart, incluso il suo sito web, l’app mobile e altri canali digitali, rivolti alla enorme base di clienti dell’azienda. 

Più recentemente, Walmart ha acquisito VIZIO HOLDING CORP per circa 2,3 miliardi di dollari per accelerare ulteriormente Walmart Connect negli Stati Uniti. L’acquisizione di VIZIO e del suo sistema operativo (OS) SmartCast consentirà a Walmart di connettersi e servire i suoi clienti in modi nuovi, tra cui la televisione innovativa,  l’intrattenimento domestico e le esperienze multimediali. Il retailer  “tradizionale” sta lentamente iniziando ad assomigliare alla start-up online che ha cercato di portare via il suo mercato. “Sì, Walmart sta iniziando ad assomigliare di più ad Amazon”, ha detto Michael Zakkour, un esperto di retai ed e-commerce, alla rivista online International Business Times. “Walmart ha trascorso gli ultimi cinque anni a ricostruirsi, da leader nei negozi fisici a leader nel suo campo  più rivenditore di e-commerce, in un ecosistema commerciale completo”.

Nel frattempo, Walmart sta capitalizzando la sua vasta rete di negozi fisici per cavalcare la nuova tendenza: omnichannel o unichannel che dir si voglia.  “È la fusione delle vendite online e offline e l’integrazione di tutti i canali e dei punti di contatto di scambio. Questo nuovo modello organizzativo  consente al retailer di interagire con i clienti in modo coerente e offrire esperienze rapide, personalizzate e convenienti, guidando in ultima analisi la soddisfazione, la fedeltà e la crescita del business. Ad esempio, i clienti di Walmart possono ordinare la merce online e ritirarla in un negozio  locale o farla spedire loro per la consegna in giornata. È qualcosa che manca ad Amazon, almeno in luoghi in cui non ha una presenza fisica o un magazzino. Leggi tutto “Destini incrociati. Walmart risponde ad Amazon..”

Unire le forze per crescere. Il caso Decò Italia.

Inutile voltarsi indietro. Solo tra il 2012 e il 2023, in Italia, sono spariti oltre 111mila negozi al dettaglio (-20,2%, un’impresa attiva su cinque) e 24mila attività di commercio ambulante. La stessa GDO che aveva rappresentato lo spauracchio del piccolo commercio a partire dagli anni 70 del secolo scorso sta interpretando in termini dimensionali un modello di business  che, complessivamente,  inizia a intravedere il suo capolinea. Pochi si interrogano sul suo futuro. Sia l’incedere lento ma progressivo dell’online con la crescita dei discount che la proliferazione “selvaggia” dei punti vendita nei territori  segnalano che, la fase dove c’era spazio di crescita per tutti, indipendentemente dalla taglia e dalle risorse economiche e umane a disposizione,  si avvia al suo declino.

Sono due, a mio parere,  le domande cruciali che un piccolo imprenditore si trova oggi a dover rispondere. Innanzitutto se l’impresa che ha messo in piedi o ereditato dai suoi genitori e che è stata costruita in un certo modo debba andare avanti sempre così. Se il mantenerla e continuare a gestire avendo la stessa strategia, la stessa idea di fondo e la stesse intuizioni di chi lo ha preceduto anziché un vantaggio competitivo non rischi di trasformarsi piano piano  in un’ossessione etnocentrica. Le imprese sopravvissute o affermate, anche senza necessariamente crescere in doppia cifra, sono quelle dove le generazioni che le hanno ricevute in qualche modo le hanno reinterpretate attualizzandole. In altre parole se da “eredi”  si sono fatti, essi stessi,  “imprenditori”. L’impresa non basta replicarla uguale a sé stessa quando cambia il contesto intorno. Va necessariamente trasformata. La seconda  domanda è se, di fronte agli inevitabili passaggi generazionali  è più importante che sopravviva l’impresa oppure che ci continui a lavorare dentro la famiglia indipendentemente dalla capacità e dalle competenze che esprime. A queste due domande un imprenditore preoccupato del futuro della sua impresa non può sfuggire.

Il 99% del tessuto imprenditoriale italiano è rappresentato da PMI: un esercito di imprese che svolgono un’attività fondamentale per l’economia del nostro Paese. Il punto è come non perdere i vantaggi della dimensione senza subirne i limiti. Penso alla conoscenza del mercato di riferimento, alla flessibilità, al rapporto più stretto e personale con i clienti e con i collaboratori, che si traduce a sua volta in una maggiore fidelizzazione che facilita la personalizzazione dei servizi per soddisfare ogni esigenza e determina nei dipendenti un maggior coinvolgimento nella vita e  negli obiettivi dell’azienda. Creando però, alleanze e sinergie con altre realtà simili, si possono creare condizioni positive sia sui costi che sulla competitività ma soprattutto sulle prospettive future. Avere un partner permette di accedere a nuove risorse inclusi nuovi clienti, tecnologie e capitali. Creare una partnership con altre aziende consente di acquisire nuove conoscenze, condividere i rischi, mitigare le esposizione alle recessioni e ai cambiamenti imprevisti del mercato. La condivisione dei rischi economici e degli investimenti è un volano determinante per la crescita per le piccole insegne. Ciò consente anche  l’ingresso su nuovi mercati e il contatto con nuovi clienti.

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Confcommercio. Si cambia? Si, no, forse…

Per Confcommercio si sta avvicinando la scadenza congressuale.  Un momento importante nel quale il Presidente Carlo Sangalli  deve annunciare cosa ha intenzione di  fare. Il quinquennio che si chiude scade nel 2025 e le grandi manovre interne sono in corso  con l’obiettivo, credo,  di garantire, in prima battuta,  la  sua riconferma (per acclamazione) nonostante al 31 di agosto compirà 87 anni.  Escludo che chiunque, con un minimo di buon senso, compreso il diretto interessato, possa ipotizzare la riconferma per l’intero prossimo mandato visto che, nel 2030,  il presidente raggiungerebbe i 92 anni.

Una sostituzione quindi inevitabile ma non certo facile per come è costruito il potere reale interno alla Confederazione di piazza Belli. Indipendentemente da come la si pensi sull’uomo, Carlo Sangalli, oggi, “è” la Confcommercio. L’ha presa in mano in un momento critico dopo la defenestrazione di Sergio Billé, l’ha gestita, attraverso il suo cerchio magico impedendo, di fatto,  l’emergere di possibili concorrenti in questi vent’anni e si è visto sbriciolare tra le mani, l’unico grande progetto politico in cui ha creduto e si è impegnato  (Rete Imprese Italia) che ne avrebbe consacrato la leadership politica alternativa a Confindustria. Ha navigato con grande cautela il passaggio dalla concertazione alla disintermediazione evitando toni fuori misura nei confronti della politica, vellicando il centro destra senza però  mettere in discussione esplicitamente l’autonomia della Confederazione, ed ha chiuso il cerchio ottenendo, quasi sul filo di lana, la “bollinatura” del Presidente della Repubblica con la sua presenza alla assemblea generale del 2024  dopo le note vicende che ne avevano in parte incrinato il prestigio pubblico.  Carlo Sangalli è nella condizione di decidere cosa fare in assoluta libertà essendo  circondato, da un consenso praticamente  “bulgaro”. Per questo resto convinto   che  punti ad una soluzione transitoria che lo veda protagonista e consenta alla Confederazione  di costruire, una successione morbida in tempi accettabili. 

Confcommercio tra l’altro non sta affatto meglio, sul piano delle adesioni associative nei territori, rispetto a cinque anni fa. Vive una contraddizione evidente tra le entrate economiche che restano sostanziose  grazie anche ai meccanismi legati alla bilateralità discendente dai contratti dei dirigenti e dei lavoratori dipendenti ma il numero delle aziende associate è ormai di molto inferiore a quelle da sempre dichiarate ufficialmente. Crisi piccoli esercizi a parte, le attività di servizi alle imprese nei territori, a causa delle semplificazioni sugli adempimenti fiscali e gestionali intervenuti,  si sono compresse e molte di queste associazioni territoriali dipendono economicamente dalla risorse provenienti dal centro.

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In Europa Conad è in ottima compagnia…

Il futuro è nelle concentrazioni e nelle alleanze. Non solo a livello nazionale. Kaufland la catena dedicata ai formati maggiori del gruppo Schwarz  era da tempo alla ricerca di una nuova collaborazione internazionale. Dal 1 gennaio 2025 entrerà in AgeCore l’alleanza europea fondata nel 2015 e che comprende attualmente Colruyt (Belgio), Coop (Svizzera), Conad (Italia) ed Eroski (Spagna). Kaufland punta a sviluppare sinergie per i suoi acquisti internazionali.

Nel comunicato emesso dalla sede di Neckarsum e pubblicato dalla Lebensmittel Zeitung: “L’orientamento strategico di Agecore e dei suoi soci permetterà a Kaufland di “rispondere ancora meglio alle sfide in un ambiente in rapida evoluzione: Oltre alla cooperazione a lungo termine con i fornitori, anche temi come la sostenibilità, la digitalizzazione, l’IA e l’importanza dei marchi saranno al centro del lavoro dell’alleanza”. Joerg Ossenberg-Engels, Chief Procurement International di Kaufland ha dichiarato: “Attraverso le strutture di acquisto degli altri soci di Agecore, che sono ideali per noi, aumenteremo  la nostra efficienza nel business del marchio a livello internazionale. Di conseguenza, Kaufland, entro la fine dell’anno abbandonerà l’impegno con l’European Marketing Distribution (EMD).

Secondo Lebensmittel Zeitung la pressione competitiva negli acquisti di Rewe (Coopernic, Eurelec che ha da poco associato anche Ahold Delaize) e Edeka (Everest e Epic partner) li aveva messi in affanno. Per quanto riguarda la manutenzione ordinaria dei Pdv in Germania sono cinque le filiali Kaufland messe in discussione già nel 2023 e che chiuderanno   tra il giugno di quest’anno  e marzo 2025. Secondo Heilbronner Stimme nel giugno 2024 hanno già chiuso  Siegen e Greiz. Seguiranno nel settembre 2024 Bochum-Ruhrpark. Nel 2025, a gennaio, chiuderà la filiale del Palais Vest a Recklinghausen e infine Dortmund-Mengede a marzo prossimo. Niente di straordinario rispetto al numero complessivo di punti vendita della catena.

“Con l’entrata di Kaufland, confermiamo la nostra volontà di stringere collaborazioni di lungo termine con i nostri partner-fornitori – ha dichiarato Dirk Depoorter, CEO di AgeCore – Nei prossimi anni tutti noi dovremo affrontare sfide impegnative. Per questo, vogliamo rafforzare ulteriormente la collaborazione ed elaborare soluzioni nuove, volte a incrementare la sostenibilità delle filiere alimentari, avanzare nel percorso di digitalizzazione, guidare l’impatto dell’intelligenza artificiale, ridefinire il ruolo dei brand e sviluppare piani di crescita adeguati, in un momento storico caratterizzato da inflazione e difficoltà economiche.”

Kaufland, è un’insegna della grande distribuzione internazionale, è parte del Gruppo Schwarz, uno dei principali retailer  in Germania e in Europa. Il gruppo, con le sue due insegne, Kaufland e Lidl, è, ormai da anni, il primo retailer del continente. Nel mondo è quarto, dopo Walmart, Amazon e Costco. Kaufland ha la propria sede a Neckarsulm, nel Baden-Württemberg, e offre un ampio assortimento di prodotti alimentari (90%) e di articoli dedicati alle varie esigenze della vita quotidiana. I suoi oltre 1.550 negozi sono frequentati ogni anno da più di 1,4 miliardi di clienti, in Germania e in altri sette paesi. La società è in costante crescita, e nel 2023 ha raggiunto un fatturato di 34,2 miliardi di euro. “Più di 350.000 collaboratori lavorano nei nostri 9.405 negozi Agecore, offrendo un’ampia gamma di prodotti, con l’obiettivo alla crescita delle nostre attività e di quelle dei fornitori. La convinzione di oggi e la sfida per il domani è che questi prodotti soddisfino le esigenze dei nostri 8,5 milioni di consumatori giornalieri”, conferma Dirk Depoorter. Leggi tutto “In Europa Conad è in ottima compagnia…”

Conad. La Grande Distribuzione non è solo un insieme di supermercati…

Ci sono realtà della Grande Distribuzione che segnano il campo da gioco. L’eco di ciò che fanno esce dal solito cortile dove siamo un po’ tutti abituati a parlarci addosso. Conad è sicuramente una di queste. Leader del settore in Italia, con un fatturato di oltre 20 miliardi di euro, in crescita dell’8,11% rispetto all’esercizio precedente, con una quota di mercato di poco al di sopra del 15% sul totale della grande distribuzione italiana. Sul piano occupazionale al 31 dicembre 2023 gli occupati del Sistema Conad sono cresciuti passando dai 74.113 addetti del 2022 ai 77.820 del 2023, con un aumento del 5% rispetto all’anno precedente distribuito nelle 5 cooperative e gestiti dai  2100 soci che vi aderiscono. Conad è presente con 3.300 punti vendita in 1.600 Comuni e 107 province italiane.

Insieme a Esselunga, Coop Italia, Eurospin e Lidl formano il club  di aziende top class per il fatturato e le performance  (l’esclusivo over Five Billions Club). Il resto segue. Le decisioni che vengono assunte da queste insegne e da poche altre, le loro sperimentazioni, i loro investimenti e i loro comportamenti influenzano inevitabilmente a cascata tutto il comparto, e, di fatto,  ciò che succede, a monte e a valle della filiera. Restano le altre, multinazionali a parte,  con profili differenti. Ottime realtà regionali o multi regionali, consorziate in centrali o meno, con o senza franchisee in grado di tenere testa a chiunque nei loro perimetri ma più impegnate a mantenere  le proprie performance, like for like, che a provare ad  uscire, rischiando in proprio, dalla loro zona di comfort. 

Anche per questo  la presentazione del bilancio di sostenibilità del 2023 di Conad, diventa un elemento importante proprio per cercare di comprendere l’approccio su alcuni temi, la convinzione o meno che il comparto stesso assuma determinate priorità fuori dalle logiche di green washing e consolidi un percorso virtuoso che, oltre ai temi dell’innovazione tecnologica e organizzativa, metta al centro la sostenibilità ambientale del proprio agire, la condivisione delle iniziative con i rispettivi fornitori, il rispetto del lavoro nell’intera filiera e il rapporto con le comunità nelle quali ciascun loro punto vendita, opera e interagisce.

Il primo dato che emerge dal Rapporto è l’unità di intenti delle cinque cooperative che ne sorregge l’impianto e la serietà. Non sono certo superati i mal di pancia interni sulla gestione complessiva ma, dalla lettura, emergono valori condivisi, il senso di una  comunità in cammino, la condivisione di una responsabilità politica e sociale e una direzione di marcia assolutamente percepibili negli impegni e nelle azioni contenute nel documento presentato. Un passo in avanti. Dai dati emerge, dal punto di vista ambientale, come Conad abbia completato un ulteriore efficientamento delle proprie attività logistiche. A fronte di un aumento delle merci trasportate del 3,4%, le emissioni di co2 sono aumentate solo dell’1,4%, determinando una crescita dell’efficienza del 2,2%. Ciò è stato possibile grazie alla selezione di fornitori virtuosi per i servizi di trasporto, e grazie alla progressiva implementazione di Conad Logistics, modello unico in Italia basato sul trasporto franco fabbrica, che consente di ritirare la merce direttamente dai fornitori e gestire a livello centrale i trasporti verso i centri di distribuzione di Conad e delle cooperative associate. Leggi tutto “Conad. La Grande Distribuzione non è solo un insieme di supermercati…”