In questi anni (marzo 2010 – febbraio 2015) 762 dirigenti su 1037 partecipanti sono stati ricollocati grazie ad un progetto chiamato “Managerattivo” promosso da Manageritalia e Confcommercio. È una esperienza unica in Italia. Poco conosciuta ma, secondo me, molto importante e degna di nota.
50 edizioni tra Milano e Roma svolte presso il CFMT accompagnate da una variazione interessante chiamata “Managerinmpresa” che ha permesso ad oltre 30 piccole imprese di “ingaggiare” un manager scelto tra quelli presenti nel database di “Managerattivo” per realizzare specifici progetti pilota. Manager che hanno potuto utilizzare parte del loro tempo arricchendo il proprio CV con una esperienza a stretto contatto con imprenditori desiderosi di “tirare fuori dal cassetto” sogni o idee alle quali non potevano dedicare tempo o energie interne. Il merito va a chi ha creduto nel progetto, lo ha pensato e lo ha gestito: Giuseppe Truglia, Luigi Iagulli e Roberta Corradini insieme a qualificati partner esterni. Ne cito due su tutti: Anna Calvenzi di Acoté e Anna Graglia di Standler. Professionisti che, con ruoli e punti di osservazione diversi, hanno intuito, compreso, studiato e proposto una modalità innovativa di gestione di una fase delicatissima nella carriera di un manager. A prima vista potrebbe sembrare la “solita” variazione sul tema dell’outplacement. Non è così. L’outplacement in Italia, purtroppo, non è mai decollato sul serio. Non amato particolarmente dai sindacati confederali, utilizzato con parsimonia dalle imprese e vissuto come poco utile da molti lavoratori ha prodotto piccoli numeri in rapporto alle necessità e alle potenzialità. Tra i dirigenti c’è stata sicuramente una maggiore consapevolezza ma i numeri non sono, neanche in questo caso, particolarmente incoraggianti. La stessa opzione pur prevista dal CCNL è utilizzata pochissimo. Sicuramente Manageritalia, l’associazione sindacale dei dirigenti del terziario, ha lavorato per far crescere questa consapevolezza tra i propri associati. Questo progetto ne è la dimostrazione. Innanzitutto i numeri e la durata dimostrano che esistono concretamente le possibilità di arricchire e rendere più efficaci e rapidi i processi di transizione. Il percorso proposto prevedeva, innanzitutto, un colloquio di orientamento. Questo ha rappresentato il primo approccio con il futuro percorso formativo ed è un’occasione per riflettere sulla propria storia professionale, mettere a fuoco le competenze acquisite e motivare le scelte future. A questo seguiva un assessment di una giornata che aveva lo scopo di valutare le competenze in un’ottica di potenziale lavorando sulla carriera e sul piano di sviluppo individuale. Il profilo veniva poi restituito con un colloquio a distanza di 15 giorni dell’assessment e rappresentava la base per il lavoro con il coach personale chiamato “guida”. Questo è, dal mio punto di vista, il vero valore aggiunto del percorso proposto unito alla possibilità di essere parte di un gruppo che viveva lo stesso problema e quindi si motivava partecipando ad un’esperienza comune. Altri moduli completavano il programma e prevedevano, a seconda delle scelte individuali, come affinare strategie e strumenti per rientrare in azienda o come affrontare il passaggio dalla managerialità all’imprenditorialità nel caso si optasse per proporsi come startupper. Ecco, la differenza, rispetto ad altre esperienze, è forse rappresentata dalla passione, dall’impegno e dal coinvolgimento sia di Manageritalia che di chi, nel CFMT, ha messo a disposizione la propria professionalità e il proprio impegno personale, determinando il successo dell’iniziativa. Una recente survey lo ha evidenziato in modo netto.
Adesso questa progetto, pur concluso, ha lasciato a tutti importanti spunti di riflessione su ciò che può essere attivato e proposto in futuro. Soprattutto come reimpostare un percorso utile che lasci ai professionisti dell’outplacement il loro ruolo ma che consenta al CFMT di mettere a disposizione del dirigente il supporto necessario per riflettere per tempo sul proprio percorso e utilizzare la leva formativa in modo adeguato. Interessante, infine, è l’idea partita da alcuni colleghi che sono passati da questa esperienza che vorrebbero lanciare la proposta di creare una community per promuovere iniziative e costruire una rete di relazione efficace nel tempo.
È da progetti come questi che possono nascere nuove proposte in grado di allinearci alle migliori esperienze europee di politiche attive utili per predisporre in futuro strumenti innovativi che possano aiutare a prevenire, evitare o ad attutire al massimo, il trauma personale conseguente alla interruzione forzata del rapporto di lavoro non solo dei manager.
Caporalato, proclami e soluzioni
un fenomeno radicato che può contare su connivenze di ogni tipo non si estirpa in quindici giorni. E chi ha responsabilità farebbe bene a non lanciare messaggi superficiali che rischiano di essere recepiti come tali dal territorio e da chi dovrebbe far seguire fatti alle parole. Lo sfruttamento dei lavoratori agricoli nel sud, migranti o meno, non nasce oggi. Oggi, semmai, si mostra in tutta la sua crudezza e impedisce di voltare altrove lo sguardo. È una delle facce più feroci del lavoro nero che, in molte realtà del sud, è ancora la modalità prevalente di accesso al lavoro. Durante la selezione di addetti per un’azienda della grande distribuzione in diverse realtà del sud, quindi in un settore lontano dall’agricoltura, mi è capitato spesso di sentirmi chiedere se la retribuzione proposta in fase di assunzione fosse “con o senza assicurazione” cioè con o senza i contributi. E alla mia reazione di sorpresa mi veniva spiegato che era assolutamente normale sentirsi proporre assunzioni in nero. Figuriamoci dove non esiste un minimo di società civile, dove l’indignazione è un lusso che non tutti possono permettersi, i controlli sono frammentari o inesistenti, il contesto è socialmente degradato e infine dove i soprusi e la presenza malavitosa sono assolutamente normali. In più parliamo di lavoratori migranti, spesso senza permesso di soggiorno e quindi ancora più esposti al ricatto e ai soprusi. Per questi motivi non c’è una soluzione semplice. Occorre agire su più piani. Innanzitutto sul territorio non è vero che c’è il nulla. Ci sono le istituzioni sia a livello locale che regionale, i sindacati e le associazioni datoriali che ben conoscono la realtà, le reticenze e le connivenze presenti, con le quali va costruito un possibile piano di intervento misurandole su proposte e coerenze. In secondo luogo va coinvolta tutta la filiera (non solo la produzione) nella quale il prodotto raccolto trova il suo sbocco di mercato fino al consumatore finale. E ciascuno deve essere in grado di garantire che il passaggio di cui è responsabile (a cominciare dal prezzo finale del prodotto) sia certificato e coerente con l’intero processo, se condiviso. Poi i controlli che dovranno essere incisivi con sanzioni e pene adeguate e prevedere premi per chi denuncia e aiuta a smantellare queste reti. Ultimo ma non ultimo la trasparenza nel collocamento, la tipologia contrattuale più idonea, gli eventuali sgravi contributivi finalizzati, l’ammontare della retribuzione e la certezza che finisca nelle tasche del lavoratore. Infine occorre considerare che il problema dell’alloggio e dei trasporti nelle campagne non va sottovalutato perché anche su questo i caporali costruiscono il loro potere assoluto. Non si deve però partire da zero. Nel settore delle costruzioni si è affrontato un tema analogo in termini di utilizzo dei lavoratori anche immigrati e, pur con una serie di limiti e reticenze, la situazione è certamente migliore anche grazie alla presenza della cassa edile. L’importante è non illudere nessuno che la soluzione sia semplice e a portata di mano. Sarà una partita lunga e complessa ma utile a dimostrare anche la volontà di sviluppo e di riscatto del mezzogiorno.
Gestione risorse umane e Jobs Act: quali sono i veri problemi delle imprese?
purtroppo siamo presi troppo dai numeri. Successo e fallimento del Jobs Act sembrano dipendere dalla quantità di assunzioni a tempo indeterminato (o a tutele crescenti) che si produrranno che, indipendentemente da tutto, restano un falso problema. Nonostante tutti concordino (a parole) che l’occupazione dipenda dalla ripresa economica l’interesse resta fisso sui numeri. Parliamoci chiaro. Alle imprese questa competizione non interessa. Prima, durante e dopo questo provvedimento alle aziende interessava e interessa che vengano affrontati alcuni problemi di contesto e specifiche ma sostanziali modifiche legati alla gestione conncreta delle risorse umane. Innanzitutto la forbice tra costo del lavoro e retribuzione netta. Così com’è oggi non è più sostenibile nel rapporto tra azienda e collaboratore. Inoltre c’è la necessità che una parte consistente della retribuzione dovrebbe essere legata all’andamento dell’azienda e del mercato con i relativi sgravi fiscali. E su questi due temi le aziende non possono che registrare un sostanziale rinvio negativo legato alla discussione sui livelli contrattuali, alle proposte di riforma e via discorrendo che dovranno trovare risposte probabilmente in un accordo interconfederale con l’avallo del Governo per quanto riguarda l’entità degli sgravi fiscali. Infine gli ostacoli gestionali. Per le imprese è fondamentale limitare la rigidità del rapporto di lavoro in entrata e in uscita, avere un tempo di valutazione delle risorse inserite più congruo rispetto ai periodi di prova previsti nei CCNL e, infine, la possibilità di risolvere i rapporti di lavoro che non funzionano in modo meno oneroso e, perché no, meno trumatico. Il successo del Jobs Act come strumento utile per le imprese si misura su queste problematiche. A nessuna impresa interessa assumere senza una corrispondenza con una necessità precisa così come a nessuna azienda interessa licenziare collaboratori sui quali si è investito. Nelle aziende il clima è tutto. Se è positivo i risultati arrivano se è negativo, no. E il clima non si costruisce né sui rapporti di forza né sulla subalternità fine a se stessa. Si costruisce e si mantiene se gli obiettivi e le regole del gioco sono chiari e condivisi. Per questo trovo di difficile comprensione il valutare il Jobs Act dal numero di assunzioni a tempo indeterminato che produce o dai costi che inevitabilmente determina. Se un’azienda ha bisogno di incrementare l’organico è perché scorge una prospettiva di crescita e di sviluppo. E questo resta l’unico modo per assicurare una prospettiva certa anche al collaboratore.
Tutte le novità sugli ammortizzatori sociali di Ferruccio Pelos
Il Consiglio dei ministri, nella seduta dell’11 giugno 2015, ha approvato in via definitiva due decreti delega del jobs act, che avevano gia’ svolto il proprio iter parlamentare e che sono stati pubblicati nella Gazzetta Ufficiale n.144 del 24.6.2015. Si tratta di:
– DECRETO LEGISLATIVO 15 giugno 2015, n. 80
Misure per la conciliazione delle esigenze di cura, di vita e di lavoro, in attuazione dell’articolo 1, commi 8 e 9, della legge 10 dicembre 2014, n. 183.
Entrata in vigore del provvedimento: 25/06/2015
– DECRETO LEGISLATIVO 15 giugno 2015, n. 81
Disciplina organica dei contratti di lavoro e revisione della normativa in tema di mansioni, a norma dell’articolo 1, comma 7, della legge 10 dicembre 2014, n. 183.
Altri quattro decreti sono stati approvati in via preliminare.
Gli schemi di questi decreti legislativi, presentati durante il Consiglio dei Ministri dell’11 giugno scorso, sono stati trasmessi alle Camere affinché presentino il loro parere entro 30 giorni.
I nuovi decreti attueranno gli altri quattro punti della Legge Delega 183/2014: ammortizzatori sociali in costanza di rapporto di lavoro; riordino della normativa in materia di servizi per il lavoro e di politiche attive; razionalizzazione e semplificazione delle procedure e degli adempimenti a carico di cittadini e imprese e altre disposizioni in materia di rapporto di lavoro e pari opportunità; realizzazione e semplificazione dell’attività ispettiva in materia di lavoro e legislazione sociale.
In particolare il Consiglio dei Ministri ha approvato, in esame preliminare, il decreto legislativo: “Riordino degli ammortizzatori sociali in costanza di rapporto di lavoro”.
Schema di D.Lgs. n. 179 (art. 1, co. 1, 2 lett. a), e 11, L.183 del 2014).
Di questo schema di decreto ci occuperemo in questo articolo.
Il nuovo testo tiene anche conto delle richieste delle Organizzazioni Sindacali (per citarne alcune: Cigs e Cigo da 24 a 36 mesi se abbinate ai contratti di solidarietà; applicazione dei nuovi strumenti anche alle aziende con più di 5 dipendenti; estensione di Cigo e Cigs all’apprendistato professionalizzante; Fondo triennale per il raccordo con il nuovo regime di Cigs; Fondi di Solidarietà ed estensione alle aziende da 6 a 15 addetti dell’obbligo ad aderire ai Fondi; lavoratori del settore turistico; miglioramento di Naspi e di Asdi). E’ possibile che questo confronto indiretto ed informale tra i sindacati e il Governo prosegua, attraverso il tentativo – che il sindacato farà anche nelle audizioni parlamentari sullo schema di Decreto Legislativo – di migliorare il testo definitivo che andrà in Consiglio dei Ministri, in particolare sui temi che sottolineeremo via via nella lettura dello schema di Decreto.
Le disposizioni contenute nel decreto si suddividono in:
disposizioni sulle norme generali sui trattamenti di integrazioni salariali;
disposizioni sull’integrazione salariale ordinaria;
disposizioni sull’integrazione salariale straordinaria;
disposizioni sui fondi di solidarietà;
disposizioni finanziarie (art. 42, Naspi e Asdi).
Secondo il Governo, per effetto del decreto, vengono estese le tutele a 1.400.000 lavoratori sinora esclusi.
Disposizioni sulle norme generali sui trattamenti di integrazioni salariali.
Le principali normative riguardano:
agli apprendisti assunti con contratto di apprendistato professionalizzante viene esteso il trattamento di integrazione salariale, unitamente all’estensione degli obblighi contributivi (e cioè gli apprendisti diventano destinatari della Cigo e, nel caso in cui siano dipendenti di imprese per le quali trova applicazione solo la Cigs, di quest’ultimo trattamento, limitatamente alla causale di crisi aziendale); per l’apprendista si richiede un’anzianità di servizio di almeno 90 giorni;
la revisione della durata massima complessiva delle integrazioni salariali che ora è di 36 mesi; viene portato, per ciascuna unità produttiva, il trattamento ordinario e quello straordinario di integrazione salariale ad un massimo complessivo di 24 mesi in un quinquennio mobile (non più fisso). Utilizzando i contratti di solidarietà tale limite può essere portato a 36 mesi nel quinquennio mobile; la causale di contratto di solidarietà viene infatti computata nella misura della metà. Per il settore edile la durata massima è di complessivi 30 mesi;
l’introduzione di meccanismi di condizionalità concernenti le politiche attive del lavoro: i lavoratori beneficiari di integrazioni salariali per i quali è programmata una sospensione o riduzione superiore al 50% dell’orario di lavoro sono convocati dai centri per l’impiego per la stipula di un patto di servizio personalizzato;
l’introduzione di un meccanismo di responsabilizzazione sulle aliquote pagate dalle imprese, con un contributo addizionale a fronte di un effettivo utilizzo. Viene previsto infatti un contributo addizionale del 9% della retribuzione persa per i periodi di cassa (cumulando Cigo, Cigs e contratti di solidarietà) sino a un anno di utilizzo nel quinquennio mobile; del 12% sino a due anni e del 15% sino a tre anni.
Il sindacato chiede di abolire il contributo addizionale per i contratti di solidarietà.
Disposizioni sull’integrazione salariale ordinaria.
Le principali normative riguardano:
una riduzione generalizzata del 10% sul contributo ordinario pagato su ogni lavoratore. L’aliquota del contributo ordinario pagato, indipendentemente dall’utilizzo della cassa, passa quindi dall’1,90% all’1,70% della retribuzione per le imprese fino a 50 dipendenti; dal 2,20% al 2% per quelle sopra i 50; dal 5,20% al 4,70% per l’edilizia;
l’introduzione del divieto di autorizzare ore di integrazione salariale ordinaria eccedenti il limite di un terzo delle ore ordinarie lavorabili nel biennio mobile, con riferimento a tutti i lavoratori dell’unità produttiva mediamente occupati nel semestre precedente la domanda di concessione dell’integrazione salariale; e ciò, al fine di favorire la rotazione nella fruizione del trattamento di Cigo, e il ricorso alla riduzione dell’orario di lavoro rispetto alla sospensione a zero ore;
la semplificazione della procedura di concessione delle integrazioni salariali ordinarie: viene cioè previsto che il trattamento sia concesso, dall’1.01.2016, dalla sede INPS territorialmente competente, abolendo le Commissioni provinciali della Cassa integrazione guadagni.
Disposizioni sull’integrazione salariale straordinaria.
Le principali normative riguardano:
la razionalizzazione della disciplina concernente le causali di concessione del trattamento: viene cioè previsto che l’intervento straordinario di integrazione salariale possa essere concesso per una delle seguenti tre causali:
riorganizzazione aziendale (che riassorbe le attuali causali di ristrutturazione, riorganizzazione o conversione aziendale);
crisi aziendale, ad esclusione, a decorrere dal 1° gennaio 2016, dei casi di cessazione dell’attività produttiva dell’azienda o di un ramo di essa. Viene previsto, tuttavia, che può essere autorizzata, per un limite massimo di 6 mesi e previo accordo stipulato in sede governativa, entro il limite di spesa di 50 milioni di euro per ciascuno degli anni 2016, 2017 e 2018, una prosecuzione della durata del trattamento di Cigs, qualora all’esito del programma di crisi aziendale l’impresa cessi l’attività produttiva e sussistano concrete prospettive di rapida cessione dell’azienda e di un conseguente riassorbimento occupazionale (Fondo Triennale);
contratto di solidarietà: pertanto, gli attuali contratti di solidarietà di tipo “A”, previsti per le imprese rientranti nell’ambito di applicazione della Cigs, diventano una causale di quest’ultima;
per le causali di riorganizzazione aziendale e crisi aziendale possono essere autorizzate sospensioni del lavoro soltanto nel limite dell’80% delle ore lavorabili nell’unità produttiva nell’arco di tempo di cui al programma autorizzato; questo per favorire la rotazione nella fruizione del trattamento di Cigs; questa disposizione non opera per un periodo transitorio di 24 mesi dall’entrata in vigore del decreto;
la revisione della durata massima della Cigs e dei contratti di solidarietà:
per la causale di riorganizzazione aziendale viene confermata l’attuale durata massima di 24 mesi, anche continuativi in un quinquennio mobile, per ciascuna unità produttiva;
per la causale di crisi aziendale viene confermata la durata massima di 12 mesi, anche continuativi;
per la causale di contratto di solidarietà viene confermata, rispetto agli attuali contratti di solidarietà di tipo “A”, la durata massima di 24 mesi, che può essere estesa a 36 mesi, in quanto viene previsto che la durata dei trattamenti per la causale di contratto di solidarietà, entro il limite di 24 mesi nel quinquennio mobile, sia computata nella misura della metà. Oltre tale limite, la durata di tali trattamenti viene computata per intero. Sempre a 36 mesi si arriva nel caso di solo contratto di solidarietà.
Solamente per questa fattispecie il sindacato chiede di arrivare ai 48 mesi.
Disposizioni sui fondi di solidarietà.
Le principali normative riguardano:
la previsione dell’obbligo di estendere i fondi di solidarietà bilaterali per tutti i settori che non rientrano nell’ambito di applicazione delle integrazioni salariali ordinarie o straordinarie, in relazione alle imprese che occupano mediamente più di 5 dipendenti (oggi l’obbligo è per le imprese con più di 15 dipendenti); la previsione che, a decorrere dal 1° gennaio 2016, il fondo di solidarietà residuale (ossia il fondo che opera per tutti i settori i quali, oltre a non rientrare nell’ambito di applicazione delle integrazioni salariali ordinarie o straordinarie, non abbiano costituito fondi di solidarietà bilaterali) assume la denominazione di Fondo di Integrazione Salariale (Fis) ed è soggetto a una nuova disciplina. Gli aspetti salienti di tale nuova disciplina sono i seguenti:
rientrano nell’ambito di applicazione del Fondo di integrazione Salariale i datori di lavoro che occupano mediamente più di 5 dipendenti (oggi più di 15 dipendenti), a fronte del pagamento di un’aliquota dello 0,45% della retribuzione a partire dal 2016 (per le imprese oltre i 15 dipendenti, l’aliquota sarà dello 0,65%).
il Fondo di Integrazione Salariale garantisce, a decorrere dal 1° gennaio 2016, l’erogazione di una nuova prestazione, ossia l’assegno di solidarietà. Si tratta di una integrazione salariale corrisposta – per un periodo massimo di 12 mesi in un biennio mobile – ai dipendenti di datori di lavoro che stipulano con le organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative accordi collettivi aziendali che stabiliscono una riduzione dell’orario di lavoro, al fine di evitare o ridurre le eccedenze di personale o di evitare licenziamenti plurimi individuali per giustificato motivo oggettivo: tale nuova prestazione sostituisce i contratti di solidarietà di tipo “B”, ossia quelli stipulati dalle imprese non rientranti nell’ambito di applicazione della Cigs. I datori di lavoro che occupano mediamente più di 5 e fino a 15 dipendenti possono richiedere l’assegno di solidarietà per gli eventi di sospensione o riduzione di lavoro verificatisi a decorrere dal 1° luglio 2016. Per i lavoratori di queste piccole aziende, 5 – 15 dipendenti, si pone il problema delle coperture fino a quando non si andrà a regime (1° luglio 2016). Il sindacato chiede quindi che il Governo, solo per coprire questo vuoto, rifinanzi i contratti di solidarietà di tipo B o la cassa integrazione in deroga;
nel caso di aziende che occupano mediamente più di 15 dipendenti, il Fondo di Integrazione Salariale garantisce l’ulteriore prestazione consistente nell’assegno ordinario, per una durata massima di 26 settimane in un biennio mobile, in relazione alle causali di riduzione o sospensione dell’attività lavorativa previste dalla normativa in materia di integrazioni salariali ordinarie (ad esclusione delle intemperie stagionali) e straordinarie (limitatamente alle causali per riorganizzazione e crisi aziendale);
revisione della disciplina dell’assegno ordinario corrisposto dai fondi di solidarietà bilaterali: i fondi (diversi dal fondo di integrazione salariale) stabiliscono la durata massima della prestazione, non inferiore a 13 settimane in un biennio mobile e non superiore, a seconda della casuale, alle durate massime previste per la Cigo e la Cigs (attualmente, invece, l’assegno ordinario, a prescindere dalla causale, non può eccedere la durata massima prevista per la Cigo);
introduzione di requisiti di competenza ed assenza di conflitto di interesse per gli esperti designati dalle organizzazioni sindacali dei datori di lavoro e dei lavoratori, quali membri dei comitati amministratori dei fondi di solidarietà bilaterali (ivi compreso il fondo di integrazione salariale);
introduzione di requisiti di onorabilità per tutti i membri dei comitati amministratori del Fondo di Integrazione Salariale e dei fondi di solidarietà bilaterali;
la previsione che, entro il 31 dicembre 2015, i fondi bilaterali cosiddetti puri, o alternativi al sistema sin qui descritto (quali il fondo bilaterale dell’artigianato) eroghino almeno una prestazione tra l’assegno ordinario per 13 settimane nel biennio o l’assegno di solidarietà per 26 settimane nel biennio, prevedendo un’aliquota di contribuzione al fondo dello 0,45% (diviso tra azienda e lavoratore secondo un accordo lasciato alle parti sociali).
Disposizioni finanziarie (art. 42, Naspi e Asdi)
Secondo le dichiarazioni del Governo le disposizioni del decreto consentono risparmi di spesa, utilizzati per rendere strutturali la Naspi a 24 mesi anche dopo il 2016 e per rendere strutturali i finanziamenti per importanti interventi di politica sociale in materia di: conciliazione dei tempi di cura, di vita e di lavoro; assegno di disoccupazione (Asdi); fondo per le politiche attive del lavoro. Il decreto – a detta del Governo – comporta anche una salvaguardia, ma limitatamente al 2015, della durata della Naspi con riferimento ai lavoratori stagionali del settore del turismo.